Scavando
e scovando tra le storie e le leggende della nostra città, emerge
l'immagine di un personaggio che merita per i tantissimi chilometri percorsi
a piedi, considerevole attenzione. Per onor di ossequiosa memoria, viene
narrata la figura di Bernardino Ascione (1914, Torre del Greco, 1999),
detto "l'acquaiuolo", uomo di infinite virtù, di sprizzante
energia e di inverosimile bontà.
Ha lavorato sin da ragazzo:
portava l'acqua (dopo averla attinta dalle Cento Fontane, monumento
costruito assieme alla Pescheria comunale e al teatro
"Garibaldi" e detto "Fontana delle cento cannelle")
sulle abitazioni. In seguito trasportò pasta e farina su di un carretto; è
stato il suo mestiere finché la forza fisica lo ha sorretto. Ha lavorato
per il pastificio Voiello, Filippone e Vitagliano di Torre Annunziata,
Landolfi (ex pastificio, poi caserma militare durante la seconda Guerra
Mondiale, in via Circonvallazione, di fronte all'attuale stazione dei
carabinieri), Dota in via Nazionale e la ditta Sorrentino ("'u
fasularo") di Torre del Greco.
Aveva poco più di dieci anni quando si aggrappò dietro una carretta che
transitava in via Colamarino. Il conducente, pur accorgendosi della
presenza del giovanetto, continuò la marcia, incitando il cavallo.
All'angolo di via Comizi, Bernardino per paura di essere "preso"
si lanciò dalla carretta; si fece male ad un piede, da cui uscì molto
sangue. Fu portato all'ospedale "Loreto mare" a Napoli dove gli
prestarono le cure del caso, ma rimase claudicante.
Fu esonerato dal servizio militare per i tagli e le ferite riportate al
piede destro (Distretto militare di Nola). Quando il 13 settembre 1943 su
Torre del Greco caddero le bombe che distrussero Capo Torre e la zona di
Santa Teresa vi fece ritorno a piedi (era fuori città per lavoro). Ai
suoi occhi si presentò un terrificante spettacolo di macerie e morte.
Durante i rastrellamenti dei soldati tedeschi, si trovava a Torre
Annunziata a comprare del pane; qui delle donne gli riferirono che i
tedeschi stavano prendendo gli uomini.
Cercò di svignarsela e se la diede
a gambe levate, ma ai confini, in zona Leopardi, fu preso dai soldati e
condotto in via Campanariello (per strada incontrò una zia a cui consegnò
il pane,
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trattenendone un pezzo), dove erano radunate
più di trecento
persone suddivise in classi di nascita,
poi,
in via Nazionale, in un palazzo del quartiere Sant'Antonio. Qui, i
prigionieri, dopo un sommano interrogatorio, furono caricati su camion per
essere condotti a Maddaloni o a Marcianise, in provincia di Caserta, per
l'invio nei campi di lavoro in Germania. Il buon Bernardino, toltasi la
scarpa, mostrò il piede ferito ai militari tedeschi che gli dissero di
andare a casa. Recuperata la scarpa s'incamminò verso la libertà.
Era
incredulo e felice nello stesso tempo, chi lo incontrò per strada lo
dovette scuotere per avere delle informazioni sui prigionieri torresi.
Lavorò per gli Alleati nei pressi di San Giovanni a Teduccio e nella
caserma della Scuola Trasmissioni di San Giorgio a Cremano (zona Croce del
Lagno): caricava e scaricava merce varia su camion e vagoni ferroviari.
Per
guadagnare quaranta lire (grossa cifra allora) dovette recarsi a Cava dei
Tirreni per trasportare della merce. Vi riuscì con enorme sforzo,
sottoponendo il fido cavallo a duro straordinario.
Nel 1948, il giorno
dell'Immacolata (8 dicembre) ebbe l'incarico di portarsi ad Ogliastro
Marina, sempre in provincia di Salerno, per caricare del materiale da
riportare a Torre. All'andata ebbe un passaggio con un camion, guidato da
un saggio e genuino come Adriano Tazioli, detto "'u modenese",
ex militare a Torre, sposatosi con una torrese, tranviere, grande cuore
"corallino", deceduto.
Tazioli fece ritorno nella nostra città verso l'una e poté anche assistere
al passaggio del carro dell'Immacolata, invece il duro e tenace Bernardino
vi ritornò col carretto e ci impiegò quasi due giorni.
Spesso faceva tappa e sosta al bar "Italia" dei fratelli Conte in
piazza Luigi Palomba: si rifocillava e poi metteva in ordine la pasta che
si trovava sul carretto; con consumata esperienza aggiustava i sacchi, in
cui erano contenute alcune qualità, fra esse c'era la "ruttamma"
o "mazzamma" (genere di pasta sfusa) che contribuì ad alleviare
la fame che imperversava durante e dopo la fine della guerra.
A lui,
instancabile lavoratore e "maratoneta" dei trasporti, è
dedicata questa omaggevole rimembranza.
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