13
settembre 1943: quei bombardieri su Torre
di
Peppe D'Urzo
Nella
ricostruita chiesa di Santa Maria del Popolo, grazie al pio e certosino
lavoro di don Filippo Eredità, fu edificato un monumento ai caduti nel
bombardamento aereo del 13 settembre 1943. La commemorativa lapide
marmorea, oltre a ricordare i nomi di quelli che persero innocentemente la
vita, recita così: "Per monito ai posteri e perché il sangue
versato affretti la fratellanza universale nel regno di Dio, qui sono
eternati nel marmo i nomi dei cittadini di Torte del Greco, vittime degli
indiscriminati bombardamenti aerei nell'anno 1943".
E fra i nominati, vogliamo qui citare Giuseppe e Raffaele Gambini, padre e
figlio, deceduti in quella improvvisa e folle incursione di un cielo,
settembrino che sovrastava nitido e terso sulla nostra città. Giuseppe
era nato a Cava de' Tirreni il 5 giugno 1860, da Pietro e Concetta Pizzo
(originari di San Michele di Serino; venne a Torre per sviluppare di più
la sua attività di bravo falegname-ebanista (eredita dal padre). Aprì un
laboratorio di falegnameria con annessa abitazione al Corso Vittorio
Emanuele (attuale filiale della Banca di Roma, al civico nuovo 66) di
fronte la chiesa di Santa Maria del Popolo.
Si unì in matrimonio con Emilia Buonadonna (appartenente ad una
benestante famiglia avellinese) che conobbe occasionalmente a Napoli; la
giovane, in procinto di raggiungere le sorelle in America, si recò a
Napoli presso l'ambasciata statunitense per il visto. Non sapendo carne
arrivarci, chiese a Giuseppe, incontrato per strada, come poter
raggiungerla: all'ambasciata non ci andò più... i due si innamorarono.
Nell'inoltrato dopoguerra furono alcuni parenti americani a venire a Torre
a salutare la famiglia italiana. Nacquero Pietro (1913), Armando (1914/2000),
Raffaele(1917/1943) e Mario (1925).
Nel fatidico giorno del 13 settembre 1943, poco dopo l'armistizio con le
imponenti forze anglo-americane, in cui le sorti della guerra sembravano
volgere al meglio, il nostro "menuisier" uscì di casa, insieme
al fido ragazzo di bottega a comprare materiale ed attrezzi da lavoro;
arrivato nei pressi della villa comunale, si udì un assordante rumore:
erano i bombardieri americani che sorvolavano a bassa quota in dilezione di
Resina. Prontamente, tirando a sé il ragazzo, riparò sotto il portone
del fabbricato ubicato al Corso Vittorio Emanuele, 162 (storicamente
ricordato come "'U palazzo 'i D'Elia", di proprietà Giuseppe
D'Elia, corallaro; poi "Villa Yaeko" di D. Liguoro ed
attualmente dell'ing. G. Pappalardo).
Subito dopo vi cadde all'interno una bomba che esplose e deflagrò
violentemente; fra le altre persone persero la vita Giuseppe ed il
ragazzo, i cui genitori provenienti dalla vicina città degli Scavi, dopo
aver chiesto notizie del diletto figliolo, si recarono al cimitero torrese
a recuperare il martoriato suo corpo.
A casa, intanto, erano rimasti la moglie e i figli Mario e Raffaele
quest'ultimo era militare in convalescenza presso l'Ospedale succursale
degli "Incurabili" di Napoli, attiguo alla Chiesa di Santa Maria
del Popolo; combattente sul fronte francese, greco e jugoslavo (su cui
aveva contratto la pleurite). Il padre era riuscito a fargli avere un
altro mese di riposo.
Gli altri fratelli si salvarono: Armando si trovava
in Toscana e dopo l'8 settembre trovò rifugio nel mantovano presso alcuni
parenti e Pietro si trovava in Friuli.Caddero gli ordigni esplosivi dal cielo e uno di questi scoppiò
davanti all'abitazione dei Gambini terribilmente
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prorompente. Mario e Raffaele si
trovarono sotto le macerie all'intero della casa,
toccandosi l'uno con l'altro; la
madre che stava in un'altra stanza fu leggermente ferita. Mario stava bene
ma non "sentiva" più le gambe e Raffaele, colpito all'addome,
si preoccupava dei fratello più piccolo.
La signora Emilia fu soccorsa e portata all'attuale "Bottazzi"
in quanto l'ospedale attiguo alla chiesa di Santa Maria del Popolo subì
notevoli danni. I due fratelli furono estratti dopo due ore circa dalle
macerie e ricoverati anch'essi al presidio ospedaliero di via Marconi.
Raffaele purtroppo non ce la fece, probabilmente se fosse stato soccorso
prima e gli avessero trasfuso sangue, si sarebbe potuto salvare.
Mario vi rimase per circa due mesi riuscendo pian piano a recuperare. Un
medico militare, tale Saggese, lo esortava ed aiutava a camminare,
nonostante le varie fratture (una scheggia gli arrivò a pochi millimetri
dalla colonna vertebrale) ed il lancinante dolore.
Nella stanza ove era in degenza, alcuni militari feriti (provenienti da
vari fronti bellici in special modo dal sud Italia), lo sollevavano sotto
le braccia per farlo camminare.
I ricordi di Mario vanno a quando era
studente e frequentava il terzo anno all'istituto "A. Volta" a
Napoli: era solito prendere il tram per recarsi a scuola.
Si trovò, una volta, nei pressi di piazza Municipio, quando le sirene
annunciarono un allarme aereo; corse, con alcuni compagni di scuola, a
trovar riparo nella galleria Vittoria, adibita a ricovero con
all'ingresso strutture murarie in cemento e sacchetti di sabbia
antischegge.
Appena entrato, vennero giù bombe a grappoli, lanciate dalle
"fortezze volanti" e per lo spostamento d'aria cadde in mezzo
alla gente che già si trovavano al riparo: subì qualche danno, ma nulla
di serio.
Finito l'allarme, usci fuori: lo spettacolo fu tremendo e per non vedere i
morti si coprì gli occhi con le mani, si mise, poi, in cammino per
raggiungere la casa a Torre. Dopo varie peripezie e percorsi in zone
interne di campagne, riuscì ad arrivarci.
Oggi l'affabile Mario è in
pensione. Persona squisita e alla mano. Invalido civile di guerra
(esonerato dal servizio Militare), ex dipendente del Dazio in piazza Luigi
Palomba ed ex bancario della Bcp, vive con la moglie Carmela Beffi in una
ridente palazzina in via Marconi. Il fratello Armando (coniugato con
Concetta Palumbo), purtroppo ha lasciato la vita terrena il 28 marzo 2000
(il figlio Raffaele vive fuori Torre, ex marittimo, poi dipendente del
Genio Civile Navale, cordiale e simpaticone).
L'altro fratello, Pietro, lo si incontra spesso per le strade cittadine.
Queste le foto di Giuseppe (padre) e Raffaele (figlio), vittime innocenti
dell'incoscienza umana. Si disse, in seguito, che la causa di quei
bombardamenti aerei fu la presenza di una motocicletta (moto "Zundapp"
con sidecar) con a bordo due soldati tedeschi. che, zig-zando per il corso
Vittorio Emanuele si dirigeva verso Resina: questo movimento,
probabilmente, insospettì i piloti americani, convinti che un grosso
convoglio stesse abbandonando la città.
E, quindi, per danneggiare le vie
di transito ai tedeschi in fuga decisero di fare una cosa che molti
torresi ricorderanno per sempre.
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