'U capitone
di PEPPE D'URZO
Da "Natale in
casa Cupiello", famosa commedia tragi-comica napoletana scritta da
Eduardo De Filippo (Napoli, 1900-Roma, 1984), attore, regista, ed autore
italiano del teatro dialettale napoletano e in lingua, nel 1931 (fino al
1934).
Concetta: Lucarie', Lucarie' !
Luca: Ch'è stato?
Ninuccia: Se n'è scappato nu capitone pè tramente 'o tagliàvemo!Luca: Nun sapevo che era...
Ninuccia: 'Ma chella mammà p' afferrà 'o
capitone ha tuzzato cu
'a capa vicino 'o fuculare.
Luca: E s'è fatta male?
Pasquale: Voi vedete...
Tommasino: Mammà, ve
site fatta male? (e corre in soccorso alla
madre) Assèttate ccà. Cunce'
tu cierti cose nun 'e può ffà
cchiù.
'O vuo' capì ca tiene n'età? Te si'
fatta male assaiè? Guardate ccà, se era la tempia, te ne andavi
all'altro mondo.
Luca: 'O capitone addò se n'è scappato?
Concetta: Miez' 'e gravune, sott' 'o foculare.
Luca: Vediamo si 'o putimmo acchiappà.
Tommasino: È caduta 'a credenza!
Prendendo spunto da questa scenetta familiare, "made in Neaples"
, parliamo di quella grossa anguilla femmina che prende il nome di
"capitone". Le anguille (dal latino: anguilla, dimin. di Angius:
serpente; lunghe fino a 1,50 mt., molto apprezzate come cibo) sono
generi di pesci commestibili e carnivori che vivono nelle acque
fluviali fino ad un certo grado di maturità e, raggiunto il quale, si
portano al mare dei Sargassi (vicino alle isole Bermuda e alle Antille)
per la riproduzione.
In Italia si trovano allevamenti a Comacchio e nel lago di Bolsena.
Famiglia degli anguillidi. Anguilla marinata fritta poi conservata in
salsa d'aceto. Figurativamente: essere, sembrare un'anguilla o per
agilità o per volubilità di carattere; fare l'anguilla: tergiversare,
avere condotta volubile ed ambigua.
Da ricordare, inoltre, l'isola di Anguille, colonia britannica (96 kmq.
e 6875 ab.) delle Piccole Antille (isole Sottovento); capoluogo: The
Valley; la popolazione è costituita in massima parte da negri e mulatti.
L'economia si basa tradizionalmente sulla pesca, sull'estrazione di
sale marino, fosfato di calce e su poche risorse agricole (mais, ananas,
patate dolci); ma si dedica con particolare attenzione allo sviluppo del
turismo favorito dalle bellezze naturali dell'isola.
Lo storico e ricercatore Salvatore Argenziano dai natali torresi, ci
ricorda che la vendita del capitone a Torre era limitata al periodo
delle festività natalizie. Il capitone arrivava da Comacchio e quindi
non era economico quanto il pescato locale. Dove c'era la banchina di
legno giù al porto, sgorgava dell'acqua dolce, quella della "Funtana".
Tra quei sassi c'erano tane di anguille.
Col nonno andavamo a pescare...
"E nella fredda sciummarella, tra i sassi viscidi della banchina,
anguille con l'ombrello..." (da Ricordi di S. A.). C'era chi per
risparmiare, comprava il capitone la settimana precedente la vigilia.
Il problema era conservarlo vivo. Tinozza o scafarea servivano allo
scopo. Anche la vasca da bagno, ma chi l'aveva? I nostri "pisciavini"
(pescivendoli) nei giorni che precedevano la vigilia del Santo Natale e
dell'ultimo dell'Anno, mantenevano vivi i capitoni in grosse e medie
vasche, vigilandoli per l'intera nottata - erano svegli anche per
l'arrivo di pesci freschi e frutti di mare - per venderli ad una vasta
clientela che, oltre alle |
linguine ai frutti marini ("ranci", mazzancolli, polipi, ecc.) in salsa
rossa (o spaghetti in salsa bianca con vongole, lupini, "cacavuòzzoli"
ed altro), doveva per storica tradizione assaggiare il capitone fritto
(in seguito anche alla brace) che emanava un certo odorino incucina.
Ai più piaceva, e sulla tavola non poteva mancare questo piatto
alquanto prelibato; altri non lo gustavano poiché era molto grassoso. Il capitone era un "happening" culinario che, vuoi o non vuoi, non
poteva mancare sulle tavole imbandite a festa, quella festa natalizia
che noi ragazzi aspettavamo con ardore e ansia... Ed oggidì
fortunatamente questa tradizione non si è persa e speriamo che duri
sempre nel segno dell'unione familiare e del Natale quando siamo più
buoni e... "vogliamoci sempre bene", un messaggio rivolto a tutti per
commemorare la natività del Nostro Signore e veder spuntare l'alba del
nuovo anno dai migliori auspici e fortune.
Era il 30 dicembre del 2007... Mi sono imbattuto con l'amico Carlo
Boccia nei pressi della pescheria "Don Do" (da "Secchitiello", un certo
Vincenzo Russo) al C/so V. Emanuele n. 65. Ci siamo fermati ad osservare
una vasca piena di capitoni, all'esterno del locale. Erano vivi e
respiravano; si muovevano in velocità ed agilità...; solo mani
esperte li possono afferrare e chiuderli in buste di plastica per
venderli ai clienti. Tagliarli, poi, a pezzi è il solito rito in cui i
componenti familiari sono chiamati ad un'impresa ardua, in un clima di
gioiosa competizione.
Guai a farlo scappare (cosa molto facile e prevedibile per la sua pelle
viscida), perché il capo famiglia s'infuria ed ordina di riprenderlo...
E tutti vi partecipano... Usi e costumi di una volta e di sempre...
Qualcuno, uscendo dalla pescheria, mi riferisce che "Sicchitiello" è
sinonimo di pesce sicuro e sempre fresco. Ed aggiunge: "La sua è una
pescheria d'autore, come non esistono più; dal peschereccio al banco
direttamente sulla tavola..." Concludiamo con un componimento poetico,
dettato dalla circostanza, dell'amico Carlo Boccia, dall'emblematico
titolo: " 'U Capitone":
E' luong e nir
Sule a Natale 'u vir. E' 'u capitone
che si cucina in chesta occasione.
E' nusanza antica assaie, pecchè si
mangia, nisciune 'u sape. Sciulea, fuie e sbatte
Ma 'u destino suoie già è signato.
Pirciò, quann vvuò male a 'na perzona,
ce rici:
"Hai fa' 'a fine
du capitone!" |