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"Ciro Sciarrello"

di PEPPE D'URZO
 

Dalla notte dei tempi emerge il passato, accompagnato in genere da tante oscillazioni. Questo pendolo che va e viene senza fine, rende il ricordare un piacere inesauribile. I ricordi generano ricordi, che, rispolverati dal tempo, riportano alla luce la figura di Ciro Marrazzo, detto "Ciro Sciarrello" (il cui probabile significato era uomo dal carattere vivace).
Nato a Torre del Greco nel 1900 (è deceduto nel 1976) da Vincenzo e Carolina Vitiello, coniugato con Lucia Russo (12 luglio 1906, ancora in vita), discendente di una nobile famiglia calabrese. Contadino, "business-man" e mediatore di carni e bestiame, frequentatore di mercati in quel di Nola, San Giuseppe! Vesuviano, Trecase, Modena (una volta si recò anche in Germania). Quando era impegnato a trattare la merce con altri commercianti, spesso si animava in "calde" discussioni che, fortunatamente, si concludevano a lieto fine. Era solito vendere i suoi pezzi nelle zone periferiche di Torre (come Cappella Bianchini e Cappella Nuova).
Sin da ragazzo aiutava la nonna in una cantina a fianco dell'attuale macelleria del figlio Gennaro, in via Nazionale n. 444 (ex 534), all'altezza di Ponte della Gatta, zona denominata "I vasoli  'i Marrazzo", estesi sino all'ex Casa del Fascio, che annovera fra i suoi "mèmoires" l'immagine di due tutrici dell'ordine "littorio", dette "'i ddoie signurine", rispettose dei metodi e punitive verso chi sbagliava. Nella cantina spesso venivano persone d'onore che ben gustavano le genuine cibarie della casa. Si narra che una volta ci furono incomprensioni e questioni, "risolte" da Ciro e i suoi fratelli.
Ai tempi della gioventù "Sciarrello" faceva la corte ad una ragazza del luogo: l'unica possibilità per poterle parlare era attraverso un foro di un muro posto dove alloggiava la giovane. Mentre teneramente colloquiava, si trovarono a passare da lì due Carabinieri (la caserma era ubicata a fianco di via Agnano), pensando a qualcosa di poco chiaro, si insospettirono. Volarono parole grosse, ma alla fine tutto si concluse nella giusta maniera. Sotto le armi, nell'esercito, imparò per passione a maneggiare la spada. Diventò così bravo che in una competizione sportiva sconfisse il suo istruttore.
Gli piaceva andare a caccia ed era provvisto di una buona mira che faceva invidia a chi gli stava accanto. Era un uomo tutto di un pezzo, provvisto di una notevole forza caratteriale (e ben seppe educare, con quel pizzico di severità, i propri figli; amò la famiglia che tenne sempre unita) e di una bontà d'animo non comune.
Era solito dare una mano a chi era in difficoltà; essendo le morie di bestiami frequenti, organizzava delle collette (ma il più delle volte metteva mano alle proprie tasche) a favore di

 

chi, contadini e commercianti, aveva subito notevoli danni. Questo suo comportamento era dettato da un sensibile altruismo, foriero di benevolenza e stima. Quando poteva, aiutato dai figli, curava, l'allevamento dei suoi animali. Era il tempo della "cupella" (contenitore di legno per cibo) e la "capezza" (fune che lega l'animale alle corna e al muso. legata, a sua volta, ad un "cateniello" per evitargli bruschi movimenti). Durante la permanenza degli alleati nella nostra città (ottobre 1943) dovette difendere con un bastone delle donne, molestate da alcuni soldati di colore nei pressi de "'U palazzo 'ddi monaci" (fabbricato in cui era nato, ubicato in una traversa di via Camaldoli.
Dal suo matrimonio nacquero 12 figli (sei femmine e sei maschi, di cui cinque macellai ed un infermiere). La sua famiglia fu definita da un nobile della zona (un certo barone De Blasio di Napoli, proprietario terriero) la più bella famiglia numerosa di Ponte della Gatta. Il governo fascista lo premiò con medaglia per aver dato tanti figli alla patria.
Quando morì, ricorda il nipote Crescenzo (macellaio in via Diego Colamarino) cui voleva molto bene, il nonno, alzandosi di notte, mise i piedi a terra. Crescenzo doveva vigilare che ciò non accadesse. Lui, ragazzino tentò di opporsi a questa cosa, ma fu inutile.
Don Ciro, la mattina seguente, lasciò la vita terrena.