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Vincenzo D'Urzo

di Peppe D'Urzo

            

Anche la sua è stata un’avventurosa odissea, iniziata quel 3 settembre del 1943, a soli sedici anni, e terminata alla fine del 1945. Vincenzo D’urzo, uno dei più giovani razziati civili di Torre del Greco, conobbe la triste e sofferente prigionia nei territori occupati dal Terzo Reich... Era nato nella nostra città il 24.02.1927 dalle parti di "’Ncopp ’u Priatorio" e, precisamente, in "vico di rimpetto al Purgatorio", da Antonino, marittimo (fuochista), e da Angela Ferrantino, casalinga.
Sei i figli di cui due femmine e quattro maschi (tutti viventi). Andò a scuola fino al compimento della quinta elementare alla "Nazario Sauro" in via Circonvallazione ("'A via Nova"). In seguito trovò un lavoro come operaio carpentiere a Napoli. Dopo l’armistizio italiano con le forze intere-alleate, in cui, la maggior parte della gente era convinta che le ostilità fossero del tutto finite, cominciò il "terreur" degli ex camerati tedeschi che, su ordini superiori, iniziarono a rastrellare quante più persone, in vari luoghi di Torre, da inviare nei campi di lavoro in Germania. Ognuno si nascondeva dove poteva e Vincenzo rimase nascosto nel cimitero di via San Giuseppe alle Paludi.
Il suo destino di giovane internato fu segnato in quel tardo pomeriggio del 23.09.1943; infatti, fu catturato insieme ad una trentina di sventurati, in una macchia di canneto nei pressi di questo luogo sacro e silenzioso. Stanato dal nascondiglio, fu condotto su di un camion con destinazione in un campo di raccolta in quel di Sparanise (CE). Durante il percorso al camion la madre di Vincenzo supplicò i soldati germanici di lasciarlo, indicando loro che era un ragazzo; ma non ci fu nulla da fare...

           

Dal piccolo centro casertano, dopo una notte a "pane e marmellata", fu stipato in un vagone merci, occupato da una cinquantina di prigionieri, il cui lungo convoglio lo porterà, purtroppo, verso l’internamento coatto della svastica tedesca... Prima di giungere a destinazione, il treno del forzato trasferimento effettuò diverse fermate in territorio italiano e straniero; durante le soste per i bisogni corporali dei prigionieri, i militari armati di tutto punto, li perquisivano e portavano via oggetti di valore ed altri beni...
Qualcuno tentò di scappare, riuscendo a salvarsi, ma altri ci lasciarono le pelle per le raffiche di fucili e mitra degli odiati aguzzini. Prima tappa: Emberodi nella Prussia Orientale, agli italiani aderenti alla R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana), i quali esortavano ed invitavano i nostri prigionieri ad arruolarsi nel nuovo governo della risorta Italia Fascista, onde evitare la soggiogante reclusione.
Nel campo di Emberodi, Vincenzo vi giunse in data 04/10/ 1943 e vi trovò alcuni compaesani, fra cui Liborio Sorrentino, Armando Vespasiano ed altri, coi quali, successivamente, perse le tracce per le diverse destinazioni; fu trasferito l’ 8/12/1943 a Weiluo nei campi di una fattoria, con prigionieri russi, a lavorare la terra. Poi in una fabbrica di munizione a Pouwaien (sempre in Prussia) in provincia di Kronisberg, a caricare munizioni su vagoni ferroviari e ad incapsulare bossoli di varie dimensioni.
Fu liberato dalle truppe russe il 03/02/1945; lavorò per la "rossa bandiera stellata" sui binari ferroviari nei pressi di Kumbinen.


Rimpatriato il 12/10/1945. Il treno del rimpatrio e della sospirata liberta impiegò più di un mese prima di oltrepassare il Brennero.

             

In territorio italico, le preposte autorità militari regolarono la posizione degli ex internati; furono controllati e schedati con il rilascio di appositi documenti; questa prova scritta – i precedenti atti concessi dai russi si erano bruciati in una baracca lungo il travagliato percorso ferroviario – fu la nota testimonianza di una lunga prigionia.
In seguito da Bologna con vetture italiane e con cibo elargito dalla Santa Sede, giunsero a Napoli e a Torre, allora distrutta dall’eruzione del Vesuvio (23 marzo 1944), come si diceva da quelle poche notizie recepite nei campi di lavoro...
I genitori di Vincenzo non ebbero più notizie del figlio dal giorno in cui fu rastrellato nella nostra città; poi, grazie alla Croce Rossa Italiana seppero ove egli si trovasse; il tutto fu scritto su di una cartolina con non più di trenta striminzite e commoventi parole, uscite dal sofferente cuore di Vincenzo.
Egli ricorda alcuni episodi della terribile destinazione: sulla via del tragitto lavorativo, freddo e nevoso, fu trovato un asino morto e congelato dalla neve; ognuno ne prendeva un pezzo; quel pezzo bollito e cucinato nelle baracche fu un ottimo pasto per tutti i detenuti...; dovette, un giorno, coprire una grande fossa comune, ove poco prima erano stati fucilati una trentine di ebrei; il terreno che andava giù e spalato in fretta, copriva i volti ed i corpi insanguinati di esseri umani che avevano il torto di essere di razza ebraica... Ed inoltre, durante una marcia delle retrovie lontane dal fronte, accompagnati da soldati sovietici, passò di lì un camion da cui furono lanciati alcuni pezzi di pane sulla massa di prigionieri. Vincenzo nell’afferrare con tutta la sua rimanente energia uno di quei preziosi pezzi, fu investito dal camion (con ferita alla testa); al che il fratello Giuseppe, con lui internato, ed altri amici lo accorsero, caricandolo su di un carretto; aveva perso i sensi, rivenendo di sera nella baracca, ove fu, poi, dovutamente curato.
Quando arrivò a casa, che avrebbe potuto anche non rivedere più, disse ai cari genitori di bruciare i panni che indossava: gli ricordavano la forzata lontananza e quelle efferate condizioni, patite in prigionia.
Effettuò, nonostante le tribolazioni dell’internamento, il servizio militare di leva in Marina con venti mesi di naja.; l'altro fratello, Raimondo, non fu chiamato sotto le armi, grazie a Vincenzo. Marittimo (reparto camera) con la società "Ignazio Messina"; medaglia d’oro di Lunga Navigazione, conferitagli il 24/06/1991. Coniugato con Maria Scamardella, il cui padre, marittimo/carbonaio fu preso dagli inglesi a Massaua (Eritrea), era imbarcato su di una nave mercantile italiana, ed internato in India; tornò in patria nel 1947. Due i figli: un maschio e una femmina; risiede in v/le Privato Del Gatto n. 1, (attuale 1° Maggio).
Ricorda anche i bombardamenti aerei su Torre; era muratore presso l’ospedale attiguo alla chiesa di S. Maria del Popolo; il 13/09/1943 non si recò al lavoro; caddero giù bombe in notevole quantità su quel c/so V. Emanuele, causando morte e rovina...; si trovava al mercato ("'mmiez ’a piazzetta") quando senti il boato degli ordigni micidiali.
Nel 1985 fece richiesta premio di internato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma non gli fu accettata in quanto non deportato in un campo di sterminio nazista K.Z., ne costretto alla risiera di San Sabba di Trieste. "La guerra è stata la mia rovina -conclude il D’Urzo- penso di essere forse il più giovane deportato torrese, preso dai tedeschi durante i rastrellamenti alla fine di settembre del ’43. I miei giovani ed innocenti occhi hanno visto tanta fame, freddo, pidocchi, malattie, armi sempre puntate addosso, percosse, brutalità ed umiliazioni; quanti amici non più rivisti... I tedeschi ci etichettavano come traditori. E' stata un’avventura indimenticabile, il tempo mi ha aiutato a dimenticare... Ci nutrivamo con una brodosa sbobba, un pezzo di pane nero, un po’ di burro e, ogni due giorni un po’ di marmellata; ho subito maltrattamenti dai tedeschi, mentre dai russi nessun fastidio; nel mentre si attendeva di venire a casa, si occupava del tempo giocando a pallone con altri internati... chissà se sono vivi..."
Da un attestato del Prefetto di Napoli del 21/05/1964 risulta che Vincenzo D’Urzo è reduce civile dalla deportazione in Germania; un indelebile segno del tempo.

Le foto: Vincenzo D’Urzo in prigionia (ottobre 1943); in divisa da militare (Marina Militare); al presente; la moglie, Maria Scamardella (anno: 1957)