Peppe 'o
pasticciere
di
Peppe D'Urzo
Il
suo passato lo rivive nei fulgidi occhi che sembrano raccontare porzioni
di vita ormai appartenenti ad un mondo in "retrospettiva". E dal
cilindro della memoria fuoriesce per essere raccontata, la storia di
Giuseppe Aurilia, uomo calmo e dall’aspetto tranquillo, perbene,
rispettabile e riservato. Nato a Torre del Greco il 13 maggio 1916 da
Giuseppe (marittimo, deceduto a Tenerife nel 1948) e da Grazia Maria Miele,
casalinga, nipote dell’ingegner Focone. Padre di quattro figli, un
maschio e tre femmine, tra cui suor Grazia, madre generale di S. Maria
dell’Addolorata, deceduta nel 1998. Il nonno di Giuseppe, originario di
via Salvator Noto ("’u vico ’de carrozze"), era detto "Pappiello
’a pazza" ed era titolare di barche.
Dopo aver frequentato le
scuole fino alla sesta (in via Teatro e in piazza Luigi Palomba), cominciò
a lavorare a 12 anni, imparando i segreti dell’arte pasticcera presso i
fratelli Romano, appartenenti alla stirpe de "’A maccurunara".
Arruolato di leva in Marina, imbarcherà per 14 mesi sull’incrociatore
"Eugenio di Savoia". Richiamato il 16 giugno 1940, da Taranto
viene destinato a Roma quale attendente di un Ufficiale (un certo
Fenocchio) fino all’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio.
I
ricordi della guerra gli vengono in mente piano piano.
Era sfollato a Guarcino (comune del Lazio, in provincia di Frosinone a 625 metri sul
livello del mare) presso l’abitazione del suocero Adolfo. Quest’ultimo,
tornato dalla grande guerra (1915/’18), si trovò con quattro figli ed
in ristrettezze economiche. Preso dalle tristi circostanze ed animato da
notevole audacia, scrisse a donna Rachele Guidi, moglie del Capo dello
Stato, Benito Mussolini, chiedendole un aiuto ed un lavoro. Non passò che
poco tempo il nostro reduce di guerra andò a lavorare nella fabbrica di
munizioni a Colleferro (Roma). Per quanto ricevuto, rimase fedele al Duce.
Nella casa di Adolfo erano alloggiati soldati tedeschi, impegnati a difesa
del fronte di Montecassino per l’avanzata degli Alleati verso Roma (dal
12 gennaio al 18 maggio 1944). Fra i camerati germanici v’era un
Ufficiale, ingegnere nella vita privata, che ben si trovò con i suoceri di
Giuseppe: li rispettava e spesso mangiava con loro; era solito ricordare
la moglie e le figlie che aveva lasciato in Germania e la sua fedeltà al
Fuhrer.
Don
Peppe, durante un rastrellamento in paese, fu preso prigioniero dai
tedeschi, ma fu, in seguito, liberato dall’Ufficiale amico di famiglia,
che lo prelevò fra gli sventurati diretti nei campi di lavoro in Germania
e lo riportò a casa. Quando andò via salutò tutti coloro che aveva
conosciuto, serbando sempre un buon ricordo della sua permanenza nel
piccolo centro frusinate.
Poco prima dell’arrivo degli anglo-americani, sul campanile della chiesa
del paese, v’erano appostati tre soldati tedeschi che a lungo
resistettero al nemico avanzante. Giunti finalmente i
"liberatori" che furono accolti fra gioia e letizia, Adolfo
subito "fiutò" che i nuovi arrivati, spesso ubriachi, davano
fastidio alle donne locali. Bene fece, dunque, a "nascondere" le
sue donne di casa da l’"assalto" dei soldati alleati.
Si unì in
matrimonio il primo aprile 1942 con Giulia Santurri, nata a Guarcino il 4
marzo 1924, da Adolfo e Margherita Innocenti.
I
due si conobbero a Roma. La giovane Giulia si trovò su di un treno che dal
paese era diretto a Roma: aveva con sé il figlioletto Antonio ed una valigia, piena di carne. Il treno fu
bombardato e la gente vi si riversò fuori per cercare riparo; ella riparò
in un rifugio, correndo a piedi con il bambino in braccio e la valigia. |
Sembra
di assistere, in questa rievocazione, a quel particolare filmato de
"La ciociara" (famoso "cult movie" di Vittorio De Sica
del 1960), in cui, da un treno fermo sui binari, scendono le protagoniste
e si incamminano verso il paese natio.
Giuseppe venne a Torre dopo l’armistizio:
viaggiò su di un camion con un’altra famiglia napoletana. A casa, dopo
vari giorni, si presentò, su consiglio di un amico, al Comando Marina
Militare a Santa Lucia in Napoli. Qui, dopo essere stato interrogato circa
la sua provenienza, esibì un documento di riconoscimento all’addetto
militare. Purtroppo, fra le carte che aveva con sé, uscì fuori un
lasciapassare (rilasciato dalle Autorità tedesche, dopo che fu preso e
liberato dai rastrellamenti a Guarcino) che lo "condannò" come
collaboratore degli ex camerati tedeschi; fu condotto quindi in prigione
di rigore a Taranto, poi tornò a Napoli e nel dicembre del ’44 fu definitivamente congedato.
Un altro indelebile ricordo di Giuseppe va alla campagna di Spagna
(guerra civile, 1936/’39) sull’"Eugenio di
Savoia". Partecipò ad una importante missione nella città di Cadice
(in Andalusia). Nel dopoguerra riprende il lavoro presso la pasticceria
dei Romano in via Salvator Noto (ex pasticceria De Rosa e poi Livio,
parrucchiere) fino al 1949. Poi intraprende la "via del mare"
come garzone, pasticciere e capo-pasticciere. Navigò sul "Francesco Morosini" (società Sidarma), sulla "Sydney" (società
Lauro).
Costruì in scala il famoso teatro della città australiana (da
poco inaugurato) con zucchero a banchetto, durante la traversata oceanica:
fu un grande successo, degno di un’opera d’arte. In occasione dell’inaugurazione
delle navi "Achille" e "Angelina" fu chiamato dai
responsabili della flotta Lauro affinché organizzasse il servizio di
pasticceria a bordo; era sul "Roma", per il primo viaggio a New
York: fra gli illustri passeggeri c’era Gioacchino, figlio dell’armatore
Achille Lauro. Altra nave che ricorda è il "Ravello", diretto in
America Latina. Quanti italiani ha visto raggiungere le sponde dell’America
del sud e dell’Australia, tanti emigranti in cerca di miglior fortuna.
Pensionato dal 1966 con venti anni di navigazione mercantile, specialista
ed "artista" in lavori di caramello, zucchero e pastigliaccio,
ha un’attività in proprio dal 1959 con locale in via Nazionale, 101 e
dal 1969 al civico 129, gestito dai figli, sotto la sua esperta e vigile
direzione. Dall’unione con Giulia Santurri sono nati sei figli (cinque
maschi e una femmina): due pasticcieri, un ex dipendente delle Poste in
pensione, un bancario, un impiegato e Grazia, casalinga.
Alessandro (1945)
ha giocato come terzino nell’Alba Primavera, Giuseppe (1947), mediano
nella Turris Boys e Leonardo Bianchi e Adolfo (1949), terzino destro nella Camaldolese e Turris Boys (con tre tornei vinti). Tutti i figli sono
grati ai loro carissimi genitori per i sani principi morali ricevuti ed al
padre Giuseppe per la lealtà, trasparenza ed onesta professionale.
I
coniugi Aurilia festeggeranno il prossimo primo aprile le nozze di
diamante. L’invidiabile tappa, che rafforza l’unione dei due sposi,
sarà celebrata nella chiesa di San Michele al Colle di Sant’Alfonso.
Sarà certamente una grande festa.
Don Peppe lo trovi ogni mattina all’interno
della pasticceria alle prese con "i biscotti all’amarena" e le
"chiacchiere" (altra sue specialità).
E’ un piacere
colloquiare con questo "expert patissier", dai modi garbati e
dal baffetto bianco ben curato (come un attore di una Hollywood che non c’e
più), che i figli, con rispetto ed affetto, definiscono il più anziano
dei pasticcieri torresi in attività.
Le foto
mostrano Giuseppe Aurilia a bordo, davanti ad alcune sue specialità, ed
il figlio Antonio nella pasticceria in via Nazionale n. 1O1 (anno 1961) |