Don
Peppe 'a renella
di
Peppe D'Urzo
E’
la pura e semplice storia di un uomo del popolo che tra pochi anni,
suffragato da un’ottima salute e con l’aiuto di Nostro Signore,
raggiungerà l’ambito traguardo dei cento anni. Complimenti vivissimi,
lodi, squisitezze e festeggiamenti... Tutti rivolti a Giuseppe Panariello,
ricordato come "Don Peppe ’a renella" (per atavica
tradizione), nato a Torre del Greco il 16 giugno1904, da Giuseppe colono e
da Cecilia Vilghetti, casalinga e dalle origini ischitane, detta "
’a testulella".
Ha avuto cinque i figli: tre maschi e due femmine,
nati dal matrimonio con Raffaella Borriello (1912-1992), la cui madre
aveva una salumeria in via Nazionale nei pressi di villa Fienga (ex
Guglielmina, secolo XVIII). Le sue due figlie femmine sono Cecilia,
coniugata con Antonio Formisano (pensionato, ex Cassa del Mezzogiorno) e
Candida, sposata con Bernardino Erculanese, marittimo (la madre Maria
Balzano abita in via Piscopia sullo stesso pianerottolo ove abitava il
Beato Vincenzo Romano, per devozione e fede è la fiduciaria di questo
luogo sacro).
Giuseppe sin da giovane è attratto dal mare ed effettua il
suo primo imbarco come mozzo sul cutter "Maria SS. di Pompei".
Nel 1914 è arruolato di leva nella Regia Marina. Dopo il congedo lavorò
nella campagna del padre e nel 1928 riprese a navigare. Trovò lavoro, sempre
come mozzo, sul "Mark Washington", piroscafo a motore che
effettuava viaggi in America latina. Militarizzato sulla stessa unita
mercantile che fu silurata ed affondata da aerei nemici nelle acque della
Sicilia, riuscì a salvarsi insieme a tutti i suoi compagni, ricoverati in
ospedale a Siracusa e in seguito ad Augusta, Messina, Villa San Giovanni e
finalmente a casa.
Qui
rimase ben nascosto. Era il tempo degli imbarchi "forzati" e
molte navi con torresi a bordo furono abbattute a largo di Capri. Nel 1942
si unì in matrimonio con la diletta Raffaella nella chiesa della Madonna
del Pianto in via Purgatorio. Le mete del breve viaggio di nozze furono
Pompei e Scafati.
Il resto del periodo dell’ultimo conflitto bellico lo
ha vissuto tra nascondigli, rifugi, pericoli e rischi. Sono i tragici
giorni in cui gli ex camerati tedeschi, per ordini superiori, cominciano a
rastrellare uomini e giovani nella nostra città. Il
"voltafaccia" dopo la resa dell’armistizio dell’8 settembre
1943, irrita le truppe germaniche in via di ritirata per la vicinanza
degli anglo-americani, provenienti da Palermo. Il terrore cala su Torre
ove ognuno cerca di trovare un posto sicuro per non cadere nelle mani dei
tedeschi. Giuseppe, in quelle giornate, si trovò nella vicina Torre
Annunziata; mentre si dirigeva verso casa, fu avvertito da una signora che
i soldati germanici rastrellavano bottino... umano; si
"mimetizzò" su di un lastricato solare di un vecchio
fabbricato fino alle cinque del pomeriggio, riprese la "perduta"
strada ed un buon tratto lo fece in compagnia di un vecchio che portava
della pasta. Attraverso le campagne, arrivò a via Giacomo Leopardi
("’u muraglione") ed anche qui trovò i segugi e rabbiosi
tedeschi. Con un certo Ciro Borriello, detto "Ciro ’a pandella"
(colono, deceduto) si nascose in una terra, sconfinando nelle cosiddette
"linee dei pomodori", per tre-quattro giorni.
Poi,
finalmente, tornò alla propria abitazione in via Nazionale, di fronte a
villa Fienga, ove nel frattempo la moglie e la figlia Cecilia erano
rimaste nel ricovero antiaereo al 2° Vico San Vito. Poco
prima dell’arrivo
delle "allied troops" |
si trovava con alcuni amici
nella zona dell’autostrada in via del Monte: cadde una bomba che arrecò
danni al tratto autostradale e fermò i tedeschi in "retraite".
Alcuni soldati fermarono Peppe e gli altri, costringendoli a riparare nel
più breve tempo possibile l’inconveniente causato dall’esplosione
della bomba caduta. A lavoro finito, la paura avvolse i poverini,
fortunatamente furono rilasciati in cambio di un pacchetto di sigarette.
Inizia il lento dopoguerra, dal buio un po' di chiarore.
Si recò col
treno ai mercati ortofrutticoli di Scafati, Poggiomarino e Sarno a
comprare qualcosa per poi rivenderla a Torre. Nel 1949 riprese a navigare
sul "Saturnia", mitica nave d’epoca, come garzone di camera
con viaggi nel nord America. Era il periodo dei clandestini e disertori.
Poi sul "Viminale" che portava tanti italiani in Australia,
"Giulio Cesare", "Leonardo da Vinci" ed altri: 22 anni
di navigazione mercantile (con 60 viaggi al nord America) e più di 2 anni
di servizio militare.
Negli anni ’60, in una traversata nelle acque
greche a largo di Patrasso, durante un gelido mese di gennaio, la nave su
cui era imbarcato subì un classico colpo di mare con nocumento allo
scafo. Don Peppe dormiva nella sua "cuccetta", quando
improvvisamente si ruppe il vetro dell’oblò che gli passò sopra la
testa, restò illeso per miracolo. Ricorda il rito, dopo le orazioni
religiose, dei morti che venivano "lanciati" in mare, ciò fu
poi vietato dalle preposte autorità che stabilirono che chiunque morisse
a bordo, doveva essere tumulato e sbarcato in Patria. Fu il caso di un
direttore di macchina, originario di Savona, il quale durante un giro d’ispezione
cadde accidentalmente in mare.
Dopo il recupero del suo corpo che fu chiuso ermeticamente in una bara d’occasione,
lo si poté consegnare ai congiunti in Italia. "Don Peppe ’a renella"
è nativo di via Lava Troia (all’inizio, scendendo a destra) dall’incerta
denominazione. Raffaele Raimondo nei suoi "Itinerari Torresi"
riporta che alcuni vecchi abitanti del luogo affermano che il nome Troia
deriva da quello di un signore che abitava nella zona, detto: " ’u
signore ’i Troia".
Si potrebbe azzardare l’ipotesi che il
"signore" in questione sia stato Carlo Troya, l’insigne
storico napoletano vissuto dal 1784 al 1858 o qualcuno della sua famiglia;
oppure, con maggiore probabilità, a Ferdinando Troja, presidente del
Consiglio dei Ministri che controfirmò il regolamento della pesca del
corallo, emanato da Ferdinando II di Borbone dal Palazzo Reale di Caserta
il 29 gennaio 1856. Al presente si dice che potrebbe cambiare in via
Giovanni Orsi, nome dato alla scuola elementare della zona. Parente di
Francesco Panariello da Giuseppe, soprannominato "Ciccio ’a
guardia" (1880-1954), guardia municipale poi Caporale, adibito ai
servizi rurali e periferici (svolgeva anche mansioni di volontariato con
adeguato equipaggiamento), appartenente a famiglia di ricchi possidenti
agricoli. Nonno di "Ciccio" Raimondo e Franco Panariello,
entrambi dipendenti al Comune di Torre del Greco.
Ecco descritta la "histoire"
del quasi centenario Giuseppe. Sul suo volto è dipinta la sua vita, le sue
vicende, i suoi ricordi, le sue origini, i suoi viaggi ed il suo amore per
il lavoro e la famiglia. Attualmente è circondato da un profondo ed
immenso affetto dei suoi cari che lo aiutano a vivere in armonia e all’aria
aperta in mezzo a quella terra, da cui gli sembra impresa ardua
staccarsene.
Le foto
mostrano Giuseppe Panariello, detto "Peppe ’a renella", e la
moglie Raffaella Borriello |