LA STAMPA NEL SECOLO
DEI LUMI NAPOLETANO

Il passato storico napoletano non ricorda, come ho gia detto, l’uso di tecniche serigrafiche, nemmeno allo stato rudimentale, tranne che per qualche sporadico uso artistico. La stampa tipografica a caratteri mobili aveva raggiunto il suo legittimo sviluppo. La cultura napoletana attraversò anch’essa il cosiddetto secolo dei lumi. Si era dissolta, finalmente, la stasi culturale del vicereame che, senza dubbio, ebbe un’influenza negativa sullo sviluppo della stampa tipografica a Napoli. Grazie a Dio le iniziative culturali riprendevano corpo malgrado la moda decadente dei cicisbei e delle parrucche incipriate del momento. Nella seconda metà del Settecento si affermò Gianbattista Vico, il quale dominò la cultura napoletana di tutto il secolo successivo. Come molti sanno fu poeta e scrittore, ma soprattutto filosofo. Figlio di un piccolo borghese, libraio, tanto per stare in tema di stampa, Gianbattista, da buon napoletano, fu prolifico in fatto di marmocchi; titolare della cattedra di Rettorica della nostra Università, questo studioso rappresenta un pilastro della cultura napoletana, tanto che quando si vuole esaltare Napoli nel senso culturale si dice: la città che diede i natali a Vico. Egli immortalò la sua filosofia attraverso la Scienza nuova, che influenzò gli studiosi di tutta Europa. Anticipo, tra l’altro, l’idealismo napoletano moderno rifacendosi agli studi rinascimentali. Fu, probabilmente, 1’incidentale botta in testa che, secondo i biografi, subì da bambino, a scatenare la sua genialità.§
Vittima, invece, della controversia tra Papato e Reame fu Pietro Giannone, che postulava lo stato laico nel suo Libera Chiesa, libero Stato. Nemmeno con l’avvento dei Borboni poté rientrare a Napoli e morì nelle carceri di Torino a metà secolo. Il Secolo dell’erudizione ci ricorda molti nomi della nostra cultura. Filologi e studiosi di vario indirizzo fondarono 1’Accademia di Ercolano, nell’antica città sepolta, che Carlo di Borbone cominciava a portare alla luce. La tipografia napoletana avanzava a braccetto col nostro Settecento culturale. Tutti gli operatori letterari dell’epoca contribuirono all’affermazione napoletana dell’arte nera. Tra questi ancora Antonio Genovesi con le sue Meditazioni sulla religione, abbastanza scabrosette per un sacerdote; Gaetano Filangieri, da cui il nome dell’odierno Istituto di pena giovanile; Pietro Colletta, con la sua Storia del Reame di Napoli, e via discorrendo.
Cert’è che per le tipografie campane non mancavano autori nel periodo in cui incominciava a svilupparsi il

 giornalismo, o perlomeno la stampa d’informazione in nuce. Ferdinando Galiani compose, all’epoca, diversi scritti sul dialetto napoletano, oltre al suo Socrate immaginario. Allora le poesie in vernacolo non venivano ancora allineate nelle fila delle composizioni artistiche. Si aveva, infatti, la poesia d’arte, dialettale, popolaresca, ecc.
A metà secolo XVIII sorse 1’Accademia delle Belle Arti. Carlo di Borbone prima e Ferdinando IV poi, bontà loro, elargirono molti ducati all’Università di Napoli, quindi furono istituite molte nuove cattedre. Il secolo XVIII prospettava un buon avvenire per le tipografie napoletane, perché andava concretizzandosi, come ho detto, la stampa d’informazione a larga diffusione. Più del secolo precedente il popolo veniva informato attraverso le famose gazzette: dei fogli, singoli graficamente poveri, censurati volitivamente e distribuiti, naturalmente, a pagamento al popolo più erudito.
Intorno al 1630 fu pubblicata una prima gazzetta di rilievo. Solo verso fine secolo, però, si ebbe un autentico giornalino, a Napoli, e veniva pubblicato, secondo alcune fonti, in un fabbricato dell’odierna Via Monteoliveto. La stampa tipografica d’informazione napoletana aveva preso piede. Erano, certo, ancora lontane le agenzie giornalistiche, ma non mancavano delatori con notizie di prima, seconda, terza mano ed oltre; tutto, però, sotto la stretta sorveglianza del governo.
Ma a prescindere dall’informazione, sotto Carlo di Borbone, il giornalismo aveva preso indirizzo letterario. Così Napoli, la Capitale del Regno delle due Sicilie, vantava alla fine del secolo XVIII diverse pubblicazioni periodiche, sebbene di veste grafica rudimentale, ma di grande importanza giornalistico-culturale. Il Vico, il Genovesi e il Giannone erano alcuni eminenti collaboratori.
Prima di passare alle macchine serigrafiche diamo una spulciatina ai maggiori giornali di quell’epoca: La Gazzetta Napolitana, che comprendeva una specifica rubrica letteraria; Il Giornale Letterario di Giuseppe Maria Boezio; Il Giornale Enciclopedico di Napoli di Giuseppe Vairo Rosa; La Scelta Miscellanea, di De Silva; Il Giornale Enciclopedico d’Italia dell’abate Scarpelli, fino ai più famosi: Il Giornale e Il Monitore di Eleonora Pimentel Fonseca, la cui avvincente, avventurosa biografia si può attingere in uno dei romanzi storici moderni più famosi e di grande levatura artistico-culturale: “Il resto di niente” di Enzo Striano che è stato paragonato ai “Promessi Sposi”; infatti si studia nelle scuole.