Fondazione e
manifesto del futurismo
Pubblicato dal «Figaro» di Parigi il 20 febbraio 1909
Esaltazione dei progresso tecnico e scientifico, e
delle prospettive affatto nuove che esso apre, passione per il nuovo
valore, la velocità, corsa verso il futuro e bisogno di liberarsi dei
limiti, dei retaggi che la vecchia cultura impone: sono questi gli
elementi base del Manifesto dei futurismo, esasperati in asserzioni
dogmatiche quanto quelle della cultura che si vuole distruggere, tanto che
dalla letteratura nuova il Manifesto passa ad appoggiare l'interventismo,
il nazionalismo, la guerra, come valori, come realizzazione dell'uomo
nuovo. Così le giuste istanze contro una letteratura accademica, barbosa,
immobile, vengono fuorviate, strumentalizzate, diremmo oggi, associandosi
a un progetto politico che non ne raccoglie se non le immagini e le forze
superficiali, il fascismo, ma che in realtà ne distrugge le potenzialità
innovatrici.
Avevamo vegliato tutta la notte - i miei amici ed io sotto lampade di
moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime,
perché come queste irradiate dal chiuso fulgòre di un cuore elettrico.
Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra
atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed
annerendo molta carta di frenetiche scritture.
Un immenso orgoglio
gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo soli, in quell'ora, ad esser
desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte
all'esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti
accampamenti. Soli coi fuochisti che s'agitano davanti ai forni infernali
delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance
arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi
annaspanti, con un incerto batter d'ali, lungo i muri della città.
Sussultammo ad un tratto,
all'udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che
passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in
festa che il Po straripato squassa e sràdica d'improvviso, per
trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso i gorghi di un
diluvio.
Poi il silenzio divenne
più cupo. Ma mentre ascoltavamo l'estenuato borbottìo, di preghiere del
vecchio canale e lo scricchiolar dell'ossa dei palazzi moribondi sulle
loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le
finestre gli automobili famelici.
«Andiamo,» diss'io, «andiamo,
amici! Partiamo! Finalmente, la mitologia e l'ideale mistico sono
superati. Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto
vedremo volare i primi Angeli!... Bisognerà scuotere le porte della vita
per provarne i cardini e i chiavistelli!... Partiamo! Ecco, sulla terra,
la primissima aurora! Non v'è cosa che agguagli lo splendore della rossa
spada del sole che schermeggia per la prima volta nelle nostre tenebre
millenarie! ... »
Ci avvicinammo alle tre
belve sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. lo mi stesi
sulla mia macchina come un cadavere nella bara, ma subito risuscitai sotto
il volante, lama di ghigliottina che minacciava il mio stomaco.
La furente scopa della
pazzia ci strappò a noi stessi e ci cacciò attraverso le vie, scoscese e
profonde come letti di torrenti. Qua e là una lampada malata, dietro i
vetri d'una finestra, c'insegnava a disprezzare la fallace matematica dei
nostri occhi perituri.
Io gridai: «Il fiuto, il
fiuto solo, basta alle belve!»
E noi, come giovani
leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci,
che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante.
Eppure non avevamo
un'Amante ideale che ergesse fino alle nuvole la sua sublime figura, né
una Regina crudele a cui offrire le nostre salme, contorte a guisa di
anelli bisantini! Nulla, per voler morire, se non il desiderio di
liberarci finalmente dal nostro coraggio troppo pesante!
E noi correvamo
schiacciando su le soglie delle case i cani da guardia che si
arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il
ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto,
per porgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra
con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera,
sguardi vellutati e carezzevoli.
«Usciamo dalla saggezza
come da un orribile guscio, e gettiamoci, come frutti pimentati
d'orgoglio, entro la bocca immensa e tôrta del vento!... Diamoci in pasto
all'Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi
pozzi dell'Assurdo! »
Avevo appena pronunziate
queste parole, quando girai bruscamente su me stesso, con la stessa ebrietà
folle dei cani che voglion mordersi la coda, ed ecco ad un tratto venirmi
incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come
due ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contradittorii. Il loro
stupido dilemma discuteva sul mio terreno... Che noia! Auff!... Tagliai
corto, e, pel disgusto, mi scaraventai colle ruote all'aria in un
fossato...
Oh! materno fossato,
quasi pieno di un'acqua fangosa! Bel fossato d'officina! lo gustai
avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella
nera della mia nutrice sudanese... Quando mi sollevai - cencio sozzo e
puzzolente - di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il
cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia!
Una folla di pescatori
armati di lenza e di naturalisti podagrosi tumultuava già intorno al
prodigio. Con cura paziente e meticolosa, quella gente dispose alte
armature ed enormi reti di ferro per pescare il mio automobile, simile ad
un gran pescecane arenato. La macchina emerse lentamente dal fosso,
abbandonando nel fondo, come squame, la sua pesante carrozzeria di buon
senso e le sue morbide imbottiture di comodità.
Credevano che fosse
morto, il mio bel pescecane, ma una ta, malattia che si riteneva colmia
carezza bastò a rianimarlo, ed eccolo risuscitato, eccolo Pisse le
persone sedentarie). in corsa, di nuovo, sulle sue pinne possenti!
Allora, col volto coperto
della buona melma delle officine - impasto di scorie metalliche, di sudori
inutili, di fuliggini celesti - noi, contusi e fasciate le braccia ma
impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi
della terra:
Manifesto del futurismo
1. Noi
vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla
temerità.
2. Il coraggio,
l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò
fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo
esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa,
il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4. Noi affermiamo che la
magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza
della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi
tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che
sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di
Samotracia.
5. Noi vogliamo
inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la
Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6, Bisogna che il poeta
si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare
l'entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v'è più
bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere
aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come
un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi
davanti all'uomo.
8. Noi siamo sul
promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle,
se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'Impossibile? Il Tempo e lo
Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già
creata l'eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo
glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il
patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si
muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo
distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e
combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà
opportunistica o utilitaria.
11. Noi canteremo le
grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo
le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali
moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei
cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde,
divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei
contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che
scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i
piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio
petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio
imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica
garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla
entusiasta.
È dall'Italia, che noi
lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e
incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché
vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologhi,
di ciceroni e d'antiquarii.
Già per troppo tempo
l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla
dagl'innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.
Musei: cimiteri!...
Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non
si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre
accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e
scultori che varino trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee,
lungo le pareti contese!
Che ci si vada in
pellegrinaggio, una volta all'anno, come si va al Camposanto nel giorno
dei morti... ve lo concedo. Che una volta all'anno sia deposto un omaggio
di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo... Ma non ammetto che
si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze,
il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché
volersi avvelenare? Perché volere imputridire?
E che mai si può vedere,
in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell'artista, che si
sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di
esprimere interamente il suo sogno?... Ammirare un quadro antico equivale
a versare la nostra sensibilità in un'urna funeraria, invece di
proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.
Volete dunque sprecare
tutte le forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del
passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?
In verità io vi dichiaro
che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle
accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri
di slanci troncati! ... ) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la
tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e
della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl'infermi, pei
prigionieri, sia pure: - l'ammirabile passato è forse un balsamo ai loro
mali, poiché per essi l'avvenire è sbarrato... Ma noi non vogliamo più
saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!
E vengano dunque, gli
allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!... Suvvia!
date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali,
per inondare i musei!... Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva,
lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!... Impugnate i
picconi, le scuri, i martelli e demolite senza pietà le città venerate!
I più anziani fra noi,
hanno trent'anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l'opera
nostra. Quando avremo quarant'anni, altri uomini più giovani e più
validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi
lo desideriamo!
Verranno contro di noi, i
nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la
cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori,
e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle
nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle
biblioteche.
Ma noi non saremo là...
Essi ci troveranno alfine - una notte d'inverno - in aperta campagna,
sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci
vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell'atto di
scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri
d'oggi fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini.
Essi tumultueranno
intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti, esasperati
dal nostro superbo, instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci,
spinti da un odio tanto più implacabile inquantoché i loro cuori saranno
ebbri di amore e di ammirazione per noi.
La forte e sana
Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. - L'arte, infatti, non può
essere che violenza, crudeltà ed ingiustizia.
I più anziani fra noi
hanno trent'anni: eppure, noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori
di forza, di amore, d'audacia, d'astuzia e di rude volontà; li abbiamo
gettati via impazientemente, in furia, senza contare, senza mai esitare,
senza riposarci mai, a perdifiato... Guardateci! Non siamo ancora
spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poiché sono
nutriti di fuoco, di odio e di velocità!... Ve ne stupite?... E logico,
poiché voi non vi ricordate nemmeno di aver vissuto! Ritti sulla cima
delmondo, noi scagliamo una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!
Ci opponete delle
obiezioni?... Basta! Basta! Le conosciamo... Abbiamo capito!... La nostra
bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il
prolungamento degli avi nostri. - Forse!... Sia pure!... Ma che importa?
Non vogliamo intendere!... Guai a chi ci ripeterà queste parole
infami!...
Alzare la testa!...
Ritti sulla cima del
mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!...
Manifesto
tecnico della letteratura futurista
11 maggio 1912
Abbiamo visto, nel manifesto precedente, quale
intervento sui contenuti dell'arte e della letteratura intendesse operare
il rnovimento futurista. Questo manifesto tecnico - datato 11 maggio 1912
- propone, invece, di regolare l'intervento sulle forme letterarie. Era
accluso alla prima antologia dei Poeti futuristi pubblicata dalle Edizioni
di «Poesia», rivista internazionale fondata a Milano nel 1905 dallo
stesso Marinetti con Sem Benelli e Vitaliano Ponti. Tra i collaboratori
italiani sono, tra gli altri, Pascoli, Gozzano, Lucini e Palazzeschi.
Proprio sul «manifesto tecnico» Lucini ruppe con Marinetti, per motivi
politici (era contrario all'intervento militare in Libia) e letterari.
In
aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla
testa dell'aviatore, io sentii l'inanità ridicola della vecchia sintassi
ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori
dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni
imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti,
ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre
un momento e fermarsi quasi subito sbuffando!
Ecco che cosa mi disse
l'elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti
fumaiuoli di Milano. E l'elica soggiunse:
1. Bisogna distruggere
la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono.
2. Si deve usare il
verbo all'infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e
non lo sottoponga all'io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo
all'infinito può, solo, dare il senso della continuità della vita e
l'elasticità dell'intuizione che la percepisce.
3. Si deve abolire
l'aggettivo, perché il sostantivo nudo conservi il suo colore
essenziale. L'aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è
inconcepibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta,
una meditazione.
4. Si deve abolire
l'avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l'una all'altra le parole.
L'avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di tono.
5. Ogni sostantivo
deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito,
senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio:
uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto,
porta-rubinetto.
Siccome la velocità
aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza dei mondo, la percezione per
analogia diventa sempre più naturale per l'uomo. Bisogna dunque
sopprimere il come, il quale, il così, il simile a.
Meglio ancora, bisogna fondere direttamente l'oggetto coll'immagine che
esso evoca, dando l'immagine in iscorcio mediante una sola parola
essenziale.
6. Abolire anche la
punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le
congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità
varia di uno stile vivo che si crea da sé, senza le soste assurde delle
virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro
direzioni, s'impiegheranno segni della matematica: + - x : = > <, e
i segni musicali.
7. Gli scrittori si sono
abbandonati finora all'analogia immediata. Hanno paragonato per esempio
l'animale all'uomo o ad un altro animale, il che equivale ancora, press'a
poco, a una specie di fotografia... (Hanno paragonato per esempio un
fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue. Altri, più avanzati,
potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante a una piccola
macchina Morse. Io lo paragono invece a un'acqua ribollente. V'è in ciò
una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti
sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi.)
L'analogia non è altro
che l'amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse
ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad
un tempo policromo, polifonico, e polimorfo, può abbracciare la vita
della materia.
Quando nella mia Battaglia
di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di baionette a
un'orchestra, una mitragliatrice ad una donna fatale, ho introdotto
intuitivamente una gran parte dell'universo in un breve episodio di
battaglia africana.
Le immagini non sono
fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come diceva Voltaire.
Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia deve essere un
seguito ininterrotto di immagini nuove senza di che non è altro che
anemia e clorosi.
Quanto più le immagini
contengono rapporti vasti, tanto più a lungo esse conservano la loro
forza di stupefazione. Bisogna - dicono - risparmiare la meraviglia del
lettore. Eh! via! Curiamoci, piuttosto, della fatale corrosione del tempo,
che distrugge non solo il valore espressivo di un capolavoro, ma anche la
sua forza di stupefazione. Le nostre vecchie orecchie troppe volte
entusiaste non hanno forse già distrutto Beethoven e Wagner? Bisogna
dunque abolire nella lingua tutto ciò che essa contiene in fatto
d'immagini stereotipate, di metafore scolorite, e cioè quasi tutto.
8. Non vi sono
categorie d'immagini, nobili o grossolane o volgari, eccentriche o
naturali. L'intuizione che le percepisce non ha né preferenze né
partiti-presi. Lo stile analogico è dunque padrone assoluto di tutta la
materia e della sua intensa vita.
9. Per dare i movimenti
successivi d'un oggetto bisogna dare la catena delle analogie che
esso evoca, ognuna condensata, raccolta in una parola essenziale.
Ecco un esempio
espressivo di una catena di analogie ancora mascherate e appesantite dalla
sintassi tradizionale:
Eh sì! voi siete,
piccola mitragliatrice, una donna affascinante, e sinistra, e divina, al
volante di una invisibile centocavalli, che rugge con scoppii
d'impazienza. Oh! certo fra poco balzerete nel circuito della morte,
verso il capitombolo fracassante o la vittoria!... Volete che io vi
faccia dei madrigali pieni di grazia e di colore? A vostra scelta
signora... Voi somigliate per me, a un tribuno proteso, la cui lingua
eloquente, instancabile, colpisce al cuore gli uditori in cerchio,
commossi... Siete, in questo momento, un trapano onnipotente, che fora
in tondo il cranio troppo duro di questa notte ostinata... Siete, anche,
un laminatoio, un tornio elettrico, e che altro? Un gran cannello
ossidrico che brucia, cesella e fonde a poco a poco le punte metalliche
delle ultime stelle!.. (Battaglia di Tripoli)
In certi casi bisognerà
unire le immagini a due a due, come le palle incatenate, che schiantano,
nel loro volo tutto un gruppo d'alberi.
Per avviluppare e
cogliere tutto ciò che vi è di più fuggevole e di più inafferrabile
nella materia, bisogna formare delle strette reti d'immagini o analogie,
che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni. Salvo la forma a
festoni tradizionale, questo periodo del mio Mafarka il futurista
è un esempio di una simile fitta rete di immagini:
Tutta l'acre dolcezza
della gioventù scomparsa gli saliva su per la gola, come dai cortili
delle scuole salgono le grida allegre dei fanciulli verso i maestri
affacciati al parapetto delle terrazze da cui si vedono fuggire i
bastimenti...
Ed ecco ancora tre reti d'immagini:
Intorno al pozzo della
Bumeliana, sotto gli olivi folti, tre cammelli comodamente accovacciati
nella sabbia si gargarizzavano dalla contentezza, come vecchie grondaie
di pietra, mescolando il ciac-ciac dei loro sputacchi ai tonfi regolari
della pompa a vapore che dà da bere alla città. Stridori e dissonanze
futuriste, nell'orchestra profonda delle trincee dai pertugi sinuosi e
dalle cantine sonore, fra l'andirivieni delle baionette, archi di
violino che la rossa bacchetta del tramonto infiamma di entusiasmo...
È il il
tramonto-direttore d'orchestra, che con un gesto ampio raccoglie i
flauti sparsi degli uccelli negli alberi, e le arpe lamentevoli degli
insetti, e lo scricchiolìo dei rami, e lo stridìo delle pietre. È lui
che ferma a un tratto i timpani delle gamelle e dei fucili cozzanti, per
lasciar cantare a voce spiegata sull'orchestra degli strumenti in
sordina, tutte le stelle d'oro, ritte, aperte le braccia, sulla ribalta
del cielo. Ed ecco una gran dama allo spettacolo... Vastamente
scollacciato, il deserto infatti mette in mostra il suo seno immenso
dalle curve liquefatte, tutte verniciate di belletti rosei sotto le
gemme crollanti della prodiga notte. (Battaglia di Tripoli)
10.
Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell'intelligenza
cauta e guardinga, bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un
maximum di disordine.
11. Distruggere nella
letteratura l'«io», cioè tutta la psicologia. L'uomo
completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una
logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più
interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e
sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l'essenza a
colpi d'intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i
chimici.
Sorprendere attraverso
gli oggetti in libertà e i motori capricciosi, la respirazione, la
sensibilità e gli istinti dei metalli, delle pietre, del legno ecc.
Sostituire la psicologia dell'uomo, ormai esaurita, con l'ossessione
lirica della materia.
Guardatevi dal prestare
alla materia i sentimenti umani, ma indovinate piuttosto i suoi differenti
impulsi direttivi, le sue forze di compressione, di dilatazione, di
coesione, e di disgregazione, le sue torme di molecole in massa o i suoi
turbini di elettroni. Non si tratta di rendere i drammi della materia
umanizzata. È la solidità di una lastra d'acciaio, che c'interessa per sé
stessa, cioè l'alleanza incomprensibile e inumana delle sue molecole o
dei suoi elettroni, che si oppongono, per esempio, alla penetrazione di un
obice. Il calore di un pezzo di ferro o di legno è ormai più
appassionante, per noi, del sorriso o delle lagrime di una donna.
Noi vogliamo dare, in
letteratura, la vita del motore, nuovo animale istintivo del quale
conosceremo l'istinto generale allorché avremo conosciuto gl'istinti
delle diverse forze che lo compongono.
Nulla è più
interessante, per un poeta futurista, che l'agitarsi della tastiera di un
pianoforte meccanico. Il cinematografo ci offre la danza di un oggetto che
si divide e si ricompone senza intervento umano. Ci offre anche lo slancio
a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e rimbalzano
violentemente sul trampolino. Ci offre infine la corsa d'un uomo a 200
chilometri all'ora. Sono altrettanti movimenti della materia, fuor dalle
leggi dell'intelligenza, e quindi di una essenza più significativa.
Bisogna introdurre nella
letteratura tre elementi che furono finora trascurati:
1. il rumore
(manifestazione del dinamismo degli oggetti);
2. il peso (facoltà
di volo degli oggetti);
3. l'odore (facoltà
di sparpagliamento degli oggetti).
Sforzarsi di rendere per esempio il paesaggio di odori che percepisce un
cane. Ascoltare i motori e riprodurre i loro discorsi.
La materia fu sempre
contemplata da un io distratto, freddo, troppo preoccupato di sé
stesso, pieno di pregiudizi di saggezza e di ossessioni umane.
L'uomo tende a
insudiciare della sua gioia giovane o del suo dolore vecchio la materia,
che possiede una ammirabile continuità di slancio verso un maggiore
ardore, un maggior movimento, una maggiore suddivisione di sé stessa. La
materia non è né triste né lieta. Essa ha per essenza il coraggio, la
volontà e la forza assoluta. Essa appartiene intera al poeta divinatore
che saprà liberarsi dalla sintassi tradizionale, pesante, ristretta,
attaccata al suolo, senza braccia e senza ali perché è soltanto
intelligente. Solo il poeta asintattico e dalle parole slegate potrà
penetrare l'essenza della materia e distruggere la sorda ostilità che la
separa da noi.
Il periodo latino che ci
ha servito finora era un gesto pretensioso col quale l'intelligenza
tracotante e miope si sforzava di domare la vita multiforme e misteriosa
della materia. Il periodo latino era dunque nato morto.
Le intuizioni profonde
della vita congiunte l'una all'altra, parola per parola, secondo il loro
nascere illogico, ci daranno le linee generali di una psicologia
intuitiva della materia. Essa si rivelò al mio spirito dall'alto di
un aeroplano. Guardando gli oggetti, da un nuovo punto di vista, non più
di faccia o per di dietro, ma a picco, cioè di scorcio, io ho potuto
spezzare le vecchie pastoie logiche e i fili a piombo della comprensione
antica.
Voi tutti che mi avete
amato e seguito fin qui, poeti futuristi, foste come me frenetici
costruttori d'immagini e coraggiosi esploratori di analogie. Ma le vostre
strette reti di metafore sono disgraziatamente troppo appesantite dal
piombo della logica. lo vi consiglio di alleggerirle, perché il vostro
gesto immensificato possa lanciarle lontano, spiegate sopra un oceano più
vasto.
Noi inventeremo insieme
ciò che io chiamo l'immaginazione senza fili. Giungeremo un giorno
ad un'arte ancor più essenziale, quando oseremo sopprimere tutti i primi
termini delle nostre analogie per non dare più altro che il seguito
ininterrotto dei secondi termini. Bisognerà, per questo, rinunciare ad
essere compresi. Esser compresi, non è necessario. Noi ne abbiamo fatto a
meno, d'altronde, quando esprimevamo frammenti della sensibilità
futurista mediante la sintassi tradizionale e intellettiva.
La sintassi era una
specie di cifrario astratto che ha servito ai poeti per informare le folle
del colore, della musicalità, della plastica e dell'architettura
dell'universo. La sintassi era una specie d'interprete o di cicerone
monotono. Bisogna sopprimere questo intermediario, perché la letteratura
entri direttamente nell'universo e faccia corpo con esso.
Indiscutibilmente la mia
opera si distingue nettamente da tutte le altre per la sua spaventosa
potenza di analogia. La sua ricchezza inesauribile d'immagini uguaglia
quasi il suo disordine di punteggiatura logica. Essa mette capo al primo
manifesto futurista, sintesi di una 100 HP lanciata alle più folli
velocità terrestri.
Perché servirsi ancora
di quattro ruote esasperate che s'annoiano, dal momento che possiamo
staccarci dal suolo? Liberazione delle parole, ali spiegate
dell'immaginazione, sintesi analogica della terra abbracciata da un solo
sguardo e raccolta tutta intera in parole essenziali.
Ci gridano: «La vostra
letteratura non sarà bella! Non avremo più la sinfonia verbale, dagli
armoniosi dondolii, e dalle cadenze tranquillizzanti!» Ciò è bene
inteso! E che fortuna! Noi utilizziamo, invece, tutti i suoni brutali,
tutti i gridi espressivi della vita violenta che ci circonda. Facciamo
coraggiosamente il «brutto» in letteratura, e uccidiamo
dovunque la solennità. Via! non prendete di quest'arie da grandi
sacerdoti, nell'ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull'Altare
dell'Arte! Noi entriamo nei dominii sconfinati della libera
intuizione. Dopo il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà!
Non c'è in questo,
niente di assoluto né di sistematico. Il genio ha raffiche impetuose e
torrenti melmosi. Esso impone talvolta delle lentezze analitiche ed
esplicative. Nessuno può rinnovare improvvisamente la propria sensibilità.
Le cellule morte sono commiste alle vive. L'arte è un bisogno di
distruggersi e di sparpagliarsi, grande innaffiatoio di eroismo che inonda
il mondo. 1 microbi - non lo dimenticate - sono necessari alla salute
dello stomaco e dell'intestino. Vi è anche una specie di microbi
necessaria alla vitalità dell'arte, questo prolungamento della foresta
delle nostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell'infinito dello
spazio e del tempo.
Poeti futuristi! lo vi ho
insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per prepararvi a odiare
l'intelligenza, ridestando in voi la divina intuizione, dono
caratteristico delle razze latine. Mediante l'intuizione, vinceremo
l'ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana
dal metallo dei motori.
Dopo il regno animale,
ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l'amicizia della
materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni
fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell'uomo meccanico
dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall'idea della morte, e
quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell'intelligenza. |