PREMESSA
Tra i miei sogni nel cassetto c’è stato sempre il
desiderio di cavar fuori: un manuale divulgativo, casareccio sulle Arti
Grafiche; un libello sui sentimenti umani; una trattazione socio-ambientale
sulla tipografia campana; un revival sulla cultura napoletana strettamente
connessa all’arte scrittoria, prima, alla stampa tipografica, poi. Troppo
dispendioso per un bottegaio tipografo, anche se autoeditore, il quale, infatti,
oltre a rimetterci fatica, carta ed inchiostro, nemmeno spera riconoscimenti e
plausi, visto il disinteresse epocale per certe iniziative, quando vengono
proposte da nomi non famosi. Giocoforza ho ripiegato con un solo tomo. Che Dio
mi guardi almeno dalla lapidazione tramite ortaggi! Ed a proposito di certe
espressioni retoriche o banali, non esclusi anacoluti voluti, nel testo, che per
lo più sfoggia dottrinarismi settoriali e sforzi dialettici, se ne noterà una
presenza frequente, allo scopo di mettere a cimento la seriosità di certa
analisi scelta letteraria sostenuta da alcuni sedicenti scrittori, come me non
professionisti. Non rinuncio, quindi, al buon umore, che si coglie così bene,
sotto il Vesuvio, nel doppio senso erotico, accostandomi talvolta ad un Henry
Miller o a un Gide.
Il lavoro, fuori dall’ossatura tecnica, è pregno di argomenti sin troppo
seri; è bene che di tanto in tanto la bilancia dello Eros-Thanatos penda
sull’istinto di vita. Riguardo il Thanatos, fa eco, in alcuni punti della
parte letteraria, l’assunto dello studio sull’insoluto esistenziale
magistralmente esposto dal geniale studioso Luigi De Marchi nel suo favoloso
libro «Scimmietta ti amo»; teoria che, secondo me, rappresenta
l’unica, vera chiave per accedere nell’oscurità dell’origine dei
malesseri dell’umanità. Senza la consultazione dei libri citati in
bibliografia il testo che segue avrebbe presentato delle lacune per quanto
riguarda i dati storici e biografici dei personaggi, e le notizie circa le
innovazioni e le avanguardie tecniche sconosciute ad un modesto bottegaio
tipografo, per quanto erudito possa ostentare d’essere, e per quanta
esperienza diretta possa accumulare nell’autarchia del negozio e dai contatti
saltuari con l’ambiente industriale settoriale locale. Le compulsazioni sono
passate, comunque, sotto un senso critico personale, il meno possibile
pedisseque. Ho creduto, con questa piccola fatica, dalla penna alla legatura del
tomo, lanciare un granello d’amore per le arti grafiche nel mare del sociale,
data l’esclusione dello scopo di lucro. Senza dubbio vi sarà chi non riuscirà
a cogliere il significato traslato del tema principale postulato ripetitivamente
nel corso del lavoro. Penserà, costui, che io aneli il riflusso delle
carrozzelle ed il ritorno dei focolari con gli alari arrugginiti, a causa,
eventualmente, del mio acutizzarsi caratteriale della componente nostalgica. II
tema ricorrente nel lavoro, infatti, e un antiprogressismo ostinato, a difesa
delle arti applicate a misura d’uomo. So benissimo che se le arti grafiche non
avessero avuto lo sviluppo massiccio e repentino in atto, anche dietro migliaia
di posti di lavoro (il che non avrebbe guastato), non si sarebbe potuto certo
tener testa alla massiccia domanda relativa al megaprogresso in stretta
connessione con l’irrefrenabile sviluppo demografico planetario.
II problema sta altrove. Ho utilizzato le arti grafiche quale attività umana
creativa, come paradigma di tutte le attività catartiche affini, sottolineando
l’estrema, nociva industrializzazione di esse, dietro il paravento delle
necessità produttive, non solo, ma soprattutto denunciando la perniciosa sovra
produttività quando questa intacca l’equilibrio psicologico generale dietro
il meccanismo infermo della dipendenza. La natura dell’uomo vuole che un
maggiore rilassamento del già preistorico insoluto esistenziale avvenga più
nella fase di desiderio che nell’appagamento totale e ripetitivo che presto
porta a spossamento e saturazione. La qualità della vita non si misura con gli
eccessi quantitativi oggettuali, con il traguardo del possesso, ma con idealismi
astratti, come, ad esempio, la realizzazione personale attraverso il lavoro
specializzato, fuori dalle corse spasmodiche nel solco del potere che non
approdano a nulla di veramente salutare se non all’illusione di un traguardo
pari a quello che s’illude di raggiungere chi vuole spegnere il fuoco con la
benzina. Affatto semplicisticamente Leopardi recitava in chiave retorica: "I
fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto".
Se no come si giustifica la proverbiale solitudine dei ricchi, dei re, dei boss,
nel ristretto, squallido ambito elitario asettico, dove aleggia sempre il timore
della detronizzazione, quindi l’ossessione della perdita di quello specioso
sostegno psichico anti insoluto esistenziale, cosi faticosamente e quasi sempre
non molto onestamente accaparrato. Antiprogressista si, quando scopro
tangibilmente che molti rimedi sono risultati peggiori dei mali.
L'autore
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