PROLOGO
Nel 1922 uscì la prima edizione del famoso romanzo "Ulisse" di James Joyce. II libro, come molti sanno, e un po’ il capostipite della letteratura moderna. A parte la profonda umanità dell’opera, la sperimentazione prosastica poliedrica, la trovata del dialogo interiore, ecc., l’opera eccelle per la totale libertà espressiva, riformando, così, i canoni della prosa classica. La trasgressione dei moduli prestabiliti, in una parola il desueto, vale a dire l’inedito, si affaccia di volta in volta col mutare delle standardizzazioni epocali. Opere zibaldoniche ed eterogenee si ricordano sin dai greci. Nella Commedia dell’Arte, ad esempio, si recitava «a soggetto». I miei torresi hanno sperimentato spesso il canovaccio libero dei ruoli di Razullo e Sarchiapone nell’opera in vernacolo di Antonio Petrucci, alias Casimiro Ruggero Ugone. «La Cantata dei Pastori» viene ancora rappresentata a iosa nel Napoletano grazie proprio alla trasgressione di scaletta prevista. II Decadentismo, visto come radicale sovversione dei movimenti etico-culturali del passato, ci ha spinti metodicamente a trasgredire con progressiveriforme millenarismi di cultura stagnante di stampo messianico sia politico che religioso. A questo rinnovamento planetario hanno contribuito le scienze positive e le strabilianti scoperte, tutte appannaggio del mondo imperialista e pragmatico. Come Freud e Nietzsche hanno seriamente scardinato o quanto meno messo in discussione i dogmi politico-religiosi, cosi Croce e Joyce, ciascuno a modo proprio, tra gli altri, hanno sovvertito retorica e pedanteria letteraria. In questo clima d’avanguardismo ancora in fase di assestamento, stendo queste pagine, a verso sciolto, nell’ibrido tecnica-saggistica-narrativa, ma, lo dico subito: senza nessuna ambizione dottrinaria. Un manuale per arti grafiche frammisto d’empirismo di bottega notiziole libresche e aneddoti anche di prima mano. Nel peggiore dei casi ponete che vi siate messi ad ascoltare le ciance di un comune bottegaio tipografo alle falde del Vesuvio. E’ probabile che questo lavoro, come tutti quelli non allineati nelle fasce regolari di distribuzione, finirà sulle bancarelle dei buzzurri convertito in tanti bei coni di carta.
Cosa volete, questi sono i sospetti miei e di tutti gli esordienti in materia scrittoria che si accingono ad adoperare ferri del mestiere altrui. Cimentarmi, cioè, a trattare una buona messe di argomenti, peraltro eterogenei, a prescindere da quelli strettamente legati alla mia professione. Spero proprio che ciò non suggerisca un sentore di falsa modestia, un mettere, cioè, le mani avanti a salvaguardia non già di riconoscimenti e plausi, ma per scongiurare eventuali lacune o incongruenze. A ciò sarebbe bastata la dichiarazione di non aver seguito studi regolari fino in fondo. Ma grazie all’affermazione di molti intellettuali autodidatti del nostro secolo questo conta poco: (vedi Moravia, Roberto Bracco, ecc.).
D’altra parte un lavoro di compulsazione e di stilatura, nonché di composizione tipografica e di stampa, eseguito nei ritagli di tempo, con l’assenza di limature e rifacimenti, non può ambire che ad un po’ di riconoscenza e di affetto specie dall’uomo della strada, il maggiore utilizzatore di stampati tipografici artigianali. Spero, a proposito, che non venga in mente a nessuno di sospettare che lo scopo recondito di questa modesta fatica sia quello di strumentalizzare il testo a mo’ di materiale promozionale a vantaggio della mia tapina bottega artigiana di Via Purgatorio, vista la frequenza con cui la cito nel corso della stesura. Non solo sono ostile all’aspirazione non dico plutocratica, ma nemmeno altoborghese, e non desidero incrementare di solo mille lire il mio minuscolo fatturato. Oggi, e specie nel nostro Sud, ci vuole ben altro per incrementare le attività, altro che ciarle stampate. Le cause che devitalizzano lo sviluppo economico del Meridione sono annose e ben note.
E’ superfluo reiterare ancora la questione meridionale mai risolta e i diabolici nord che vogliono sempre qualche sud sottomesso. Ma lasciamo ad altra sede queste considerazioni che ormai sanno di rancido, sebbene sia lapalissiano che il potere si impugna più con le caustiche leggi del Pentateuco, ad esempio, che con i melici ed annichilanti Vangeli sinottici, cioè con la morale, ma non attraverso la morale. Comunque alcune osservazioni apparentemente di stampo po litico sono di natura psicospeculativa. Anche se tutto il pensiero umano, in fondo, acquista natura politica quando postulato con ardore. Nuovi studi di psicologia confermano l’utopia circa il beneficio che le idee sane, ma corporativizzate, possano lasciar godere i popoli. Anche la stampa e stata, per oltre tre secoli dalla sua invenzione, essenzialmente uno strumento politico-religioso. Dal XV secolo in poi vi sono stati riformismi e sovversivismi lenti, ma progressivi, che hanno deviato a mano a mano "l’arte nera" da monopoli stagnanti. Quando si parla di alfabeto e di stampa e inevitabile, tra l’altro, fare riferimento all’arte, quindi alla letteratura, nonché alla scienza e, perché no, al business, in più alla vita interiore dell’uomo e alle complesse manifestazioni dello spirito. Mai più di oggi l’alfabeto e la stampa vengono adoperati come strumento di comunicazione per ogni genere di attività umana. Mi consolo, quindi, di non rischiare mai il «fuori tema». Vista la varietà contenutistica di questo lavoro non posso sottacere che, al termine di una lettura, come dire, promiscua, ibrida e frammentaria, tra voli pindarici ed elucubrazioni, il

lettore sarà consapevole di non aver assimilato che, essenzialmente, le nozioni tecniche settoriali, e che il contenuto di contorno, mi auguro almeno di forma gradevole, si riallacci inevitabilmente a schemi narrativi e saggistici consueti. Quindi non dirò niente di nuovo e non verrò filosoficamente a capo di nulla, come accade sempre a chi si ostina di coinvolgere gli altri nelle proprie idee, obliando la certezza palese che tutto già dissero i greci e i latini. Eppure si ha l’impressione che ogni libro, per quanto elementare sia, apra nuovi spunti, che in realtà non sono altro che nuovi nodi, perché le cellule del pensiero si eccitino all’infinito. Tutto sommato, voglio dire, i discorsi tecnici hanno la prerogativa che si possono concludere. Mai nessuna teoria speculativa ha mai risposto, non dico concretamente, ma almeno razionalmente, agli interrogativi degli uomini, ma ha sempre lasciato partorirne altri a quelli già in proponimento.
Un’altra doverosa osservazione da formulare è quella che non intendo affatto salire, con questo scritto, sulla cattedra dell’erudizione, ostentando priorità professionale tecnica teorica nei confronti dei colleghi tipografi artigiani di Torre del Greco e della Campania tutta; davvero non desidero sminuire l’operato di chicchessia. Ciascun operatore di arti applicate, al di là della erudizione teorica, ha tanto da insegnare agli altri. Non venga, questa, interpretata come una nota semplicistica o di comodo. I fastigi del successo non mi allettano, in primo luogo perché sono per natura schivo e riservato, in secondo luogo perché il successo e la priorità dottrinaria hanno come prerogative la sopraffazione nella quasi totalità dei casi. Vadano a farsi fregare, una volta tanto, l’antagonismo, la gelosia di mestiere e l’esoterismo artigianale che affonda le sue radici nel Medioevo.
La scoperta della stampa a caratteri mobili, avvenuta nel 1450 segnò una data importante nella storia, perché rappresenta l’inizio della grande evoluzione tecnica del genere umano, non solo, ma costituì la nascita del più grande strumento di diffusione della cultura, la quale, un tempo, era retaggio di pochi iniziati. Diffondere la cultura in maniera capillare lungo tutto il tessuto sociale significa raggiungere il crinale della civiltà, ma non, forse, del benessere, perché la cultura divulgata vuol dire pure aprire gli occhi alle masse sull’ingiustizia sociale e sulla ricorrente condizione di pauperismo del popolo, non già più predestinata dalla natura o dal fato, ma arbitraria ed imposta. II proletario fino al piccolo borghese veniva in passato sostenuto psicologicamente dalla suggestione della fedeltà doverosa alla Patria e dalla devozione irreversibile al Padreterno. La diffusione massiccia della stampa, prima, i mass-media teleiconografici, poi, hanno distrutto questi miti palliativi ma necessari, come la morfina contro i mali inguaribili, sostituendoli con altri più speciosi ed effimeri quali gli «dei » dello sport e le stelle dello spettacolo.
L’Umanesimo, il Rinascimento e l’llluminismo hanno ben usufruito dei rudimentali caratteri mobili e del famigerato torchio. Solo nel 1900 vi fu una profonda trasformazione per l’avanzare quasi contemporaneo di varie nuove tecnologie, atte a trasformare la «scriptura artificialiter» in imprevedibili tecniche parallele, fino a divenire strumenti da multinazionale. II trionfo della meccanica relativa alle arti grafiche perdurava fino al secondo dopoguerra per oltre un secolo. Fino agli anni cinquanta tutto si svolgeva nella dimensione della meccanica più evoluta. Gli automatismi costituivano il complemento alla necessità umana di operare. La presenza fisica, tattile, epidermica e olfattiva dell’uomo era ancora indispensabile, passo passo nelle sia pur lente fasi di lavorazione. La cibernetica, nell’era atomica, preclude all’uomo questa benefica partecipazione emotiva al lavoro ai fini della sua realizzazione. I detentori del potere vengono sostenuti dal «maneggio», gli intellettuali dall’onanismo cogitale, le donne dal ciclo mestruale e dalla maternità, e l’uomo comune? La sua personalità veniva sorretta con la partecipazione diretta ed emotiva al lavoro a misura d’uomo e dalle rasserenanti suggestioni mistiche, quali palliativi reattivo-difensivi contro l’insoluto esistenziale. Caduti i sostegni religiosi di carattere salvifico post-mortale e quelli ideologici politici, fino a quello social-comunista, l’uomo si vede inesorabilmente sottrarre pure la realizzazione nel lavoro dai robot. E non dimentichiamo che l’uomo comune costituisce la massiccia percentuale della massa umana planetaria. II mondo occidentale, in pieno periodo umanistico, lontanissimo dalla follia tecnologica dei tempi nostri, accolse con perplessità l’invenzione dei «caratteri artificiali». L’intellighentzia del momento era presa dallo spolverìo del classicismo antico. Si era ancora avviluppati anima e corpo sotto la gabbana di Nostra Madre Chiesa. Così tutti gli scienziati, gli scopritori o comunque neofili venivano marchiati spesso di eresia. Solo qualche secolo più avanti, dissipate le perplessità e scongiurate le probabili insidie, si favori la diffusione dell’ «arte nera», forse perché insorgevano nuovi pericoli, come le teorie galileiane. Fa d’uopo puntualizzare che tutte le osservazioni formulate lungo questo lavoro circa la Chiesa Cattolica e le religioni in genere hanno carattere storiografico. Se errori o ingiustizie sono stati commessi dalle istituzioni religiose essi sono da imputare solo agli uomini, nella loro fragilità e, talvolta, infermità, che scatenano spesso atteggiamenti reattivo-difensivi sia di totale del divino rimane massiccia ed inesplicabile, infinita ed inalterata rispetto a tutte le teorie e le opinioni umane. Nel XV secolo la Chiesa Cattolica subì la batosta della Riforma. Allora, più che mai, doveva tenere ben saldo nelle mani lo strumento della scrittura. In Italia erano numerose le officine scrittorie dei monaci amanuensi. All’estero l’invenzione fu favorita già dall’inizio da Lutero, con la traduzione della Bibbia in tedesco, e da tutti coloro che postulavano la Teoria della Grazia. Intanto da noi la lingua italiana era ancora indefinita. All’estero le lingue nazionali si diffusero in epoche antecedenti la scoperta della stampa. In Italia solo nel 1887 la famosa legge Coppino volle l’istruzione obbligatoria. Fino all’Unità d’Italia del 1861 il nostro popolo parlava esclusivamente il dialetto regionale. La storia ci insegna che su 25.000.000 di italiani solo un quinto conosceva la lingua nazionale. Ma nel 1940 l’analfabetismo in Italia era ridotto alla misura del 20%.
Lo sviluppo della stampa viene su su a braccetto con la cultura. II popolo italiano, circa la stampa, quindi, ha da poco imparato a leggere, e continua a leggere poco rispetto agli altri popoli occidentali, pur vantando il genio dell’arte, della scienza e della letteratura, nonché dell’editoria veneziana delle origini.
In Italia la punta massima dell’istruzione si è avuta, si può dire, ai giorni nostri, poiché solo nel 1962 la scuola divenne obbligatoria fino ai 14 anni. II boom economico degli anni ’60 rappresentò, per così dire, la fissione culturale di massa. Da allora le Università hanno brulicato di studenti. Oggi un italiano su tre adopera l’alfabeto o i numeri come ausilio alla professione. Anche lo Stivale, in questo passato prossimo, usufruì delle più avanzate tecnologie relative alle arti grafiche. La stampa editoriale ebbe il massimo consenso che la storia ricordi, in fatto di produzione. Negli anni passati venivano impresse molteplici serie di collane economiche. Una vera esplosione di carta stampata. La liberalizzazione della radio- teleiconografia privata e lo sviluppo repentino dell’informatica hanno minacciato seriamente l’editoria del settore librario di carattere divulgativo. Gli imprenditori, così, hanno dovuto convertirsi alla rotocalcografia d’informazione e alla produzione dei volumi arredo a priorità iconografica, adatti ad una società consumistica, per la gioia dei bibliomani, inorgogliti di possedere migliaia di dispense rilegate in falsa bazzana, fregiate con prestigiose impressioni in oro, rivestite da policrome e arredanti sovraccoperte. La letteratura propriamente detta ritorna nelle sole orbite degli addetti ai lavori. Data la concentrazione delle officine editoriali del Nord Italia, nel nostro Sud la crisi e più sentita dai librai che dai tipografi. Giocoforza, le arti grafiche si sono adeguate alle leggi di mercato. La espressività peculiare dell’alfabeto soccombe al mezzo iconografico verista e pragmatico. Inoltre, negli ultimi decenni si e avuto un incremento notevole degli stampati relativi alla società consumistica circa la massiccia esplosione di prodotti preconfezionati. Basti pensare che le salumerie o le farmacie, ad esempio, vendono il trenta per cento di materiale grafico avviluppato intorno a tutti i prodotti. Anche in Italia si riesce a vendere tutto in un astuccio policromo, specie le porcherie; almeno fossero solo sostanze
inerti da placebo, come in terapia cieca e doppiocieca..... In più, su binario parallelo, marcia la grafica relativa all’amministrazione pubblica e privata fino alla modulistica continua.
Come la pubblicità sconfina nell’arte, così questo dirottamento delle arti grafiche nulla toglie, nel suo aspetto commerciale esasperato, all’arte applicata in sé ed al suo fascino primitivo, a prescindere dalla asetticità delle moderne tecnologie. Pur se, come accadde per i prototipografi, le crisi economiche o i problemi di sovrapproduzione cagionano cattiva qualità
del prodotto. In queste transizioni sussiste l’imperizia di operatori inesperti ed improvvisati. Negli anni 60, ad esempio, si verificò in Campania un fenomeno per altro prevedibile, che ha trasformato la struttura gestionale delle arti grafiche regionale. Una vertenza sindacale oggi, una domani... fino a che diverse industrie (avvezze a canoni gestionali, come dire, premarxiani) hanno chiuso i battenti. In simultanea molte navi transoceaniche provviste di tipografia cadevano in disarmo perché sostituite dagli aeromobili. Molti tipografi (buona parte della mia Torre del Greco) rotocalcografia d’informazione e alla produzione dei volumi arredo a priorità iconografica, adatti ad una società consumistica, per la gioia dei bibliomani, inorgogliti di possedere migliaia di dispense rilegate in falsa bazzana, fregiate con prestigiose impressioni in oro, rivestite da policrome e arredanti sovraccoperte. La letteratura propriamente detta ritorna nelle sole orbite degli addetti ai lavori. Data la concentrazione delle officine editoriali del Nord Italia, nel nostro Sud la crisi e più sentita dai librai che dai tipografi. Giocoforza, le arti grafiche si sono adeguate alle leggi di mercato. La espressività peculiare dell’alfabeto soccombe al mezzo iconografico verista e pragmatico. Inoltre, negli ultimi decenni si e avuto un incremento notevole degli stampati relativi alla società consumistica circa la massiccia esplosione di prodotti preconfezionati. Basti pensare che le salumerie o le farmacie, ad esempio, vendono il trenta per cento di materiale grafico avviluppato intorno a tutti i prodotti. Anche in Italia si riesce a vendere tutto in un astuccio policromo, specie le porcherie; almeno fossero solo sostanze inerti da placebo, come in terapia cieca e doppiocieca..... In più, su binario parallelo, marcia la grafica relativa all’amministrazione pubblica e privata fino alla modulistica continua. Come la pubblicità sconfina nell’arte, così questo dirottamento delle arti grafiche nulla toglie, nel suo aspetto commerciale esasperato, all’arte applicata in sé ed al suo fascino primitivo, a prescindere dalla asetticità delle moderne tecnologie. Pur se, come accadde per i prototipografi, le crisi economiche o i problemi di sovrapproduzione cagionano cattiva qualità del prodotto. In queste transizioni sussiste l’imperizia di operatori inesperti ed improvvisati. Negli anni 60, ad esempio, si verificò in Campania un fenomeno per altro prevedibile, che ha trasformato la struttura gestionale delle arti grafiche regionale. Una vertenza sindacale oggi, una domani... fino a che diverse industrie (avvezze a canoni gestionali, come dire, premarxiani) hanno chiuso i battenti. In simultanea molte navi transoceaniche provviste di tipografia cadevano in disarmo perché sostituite dagli aeromobili. Molti tipografi (buona parte della mia Torre del Greco) hanno dovuto ripiegare con la mini imprenditoria artigianale. Col beneficio delle liquidazioni, gonfiate dalle rivendicazioni sindacali, molti operatori del settore hanno aperto bottega in tutto il territorio campano. Questa pluralità gestionale è stata altresì promossa e caldeggiata dall’incremento di strutture industriali convertite alle nuove tecnologie offset e rotocalco, nonché flessografia, serigrafia, ecc., che hanno lasciato abbondare sul mercato dell’usato centinaia di migliaia di macchine tipografiche propriamente dette, cioè relative alla stampa tradizionale utilizzante i famosi caratteri di piombo monotipici o quelli di volta in volta fondibili: i linotipici. Equipaggiamenti senza dubbio obsoleti, ma sempre efficienti ed economici, di disponibilità artigianale poliedrica perché duttili ad una maggiore manipolazione meccanica e ad un superiore adattamento alla varietà dei lavori commerciali di spicciolame. L’esplosione numerica delle botteghe tipografiche ha fatto estendere l’offerta a dismisura con la conseguente battaglia concorrenziale che presume lavoro scadente e conseguente dequa- lificazione professionale. La discutibile qualità delle prestazioni, pero, sembra non pregiudicare le esigenze della domanda, in primo luogo perché alcune amministrazioni pubbliche e private alimentano il fenomeno della sperequazione imprenditoriale privilegiando alcune ditte talvolta anche per motivi di peculato; in secondo luogo i lavori commerciali di uso domestico commissionati dal cliente comune e offerti a costi bassi, lasciano chiudere un occhio sulla qualità e in qualche caso tutti e due, visto certa porcheria stampata che si vede talvolta in giro.
II popolo partenopeo vive in maggioranza nella dimensione dello stipendio, o del sottostipendio o del nullastipendio, quindi si adatta a certi compromessi. A prescindere da ogni digressione, il mondo della stampa conserva il suo fascino come il paese di Alice, nel suo aspetto esoterico ed impenetrabile.
II progresso, per giunta, ha convertito il calore dei mezzi tradizionali della stampa vecchia maniera con sistemi computerizzati freddi e asettici, che adottano una creatività ricca di effetti, ma precostruita e ripetitiva. E guarda caso nel gergo tecnico si dice: vecchio sistema a caldo e nuovo sistema a freddo. So di apparire antiprogressista per non dire misoneista o neofobo, non posso fare a meno, però, di denunciare emblematicamente questo radicale sovvertimento della tecnologia poligrafica come paradigma negativo di tutte le tecnologie robotiche che precludono il lavoro a misura d’uomo fatto, per dirla in chiave retorica, col braccio, con la mente e col cuore. Quando si argomenta sul sociale dell’uomo involontariamente si fa politica, specie secondo la forma mentis degli addetti ai lavori. Se cambiamo l’ottica, però, noteremo che diverse considerazioni, lungo questo lavoro, sono apartitiche, formulate solo sotto la luce psicosociale. Non si riscontrano difetti o colpe dentro le ideologie, ma solo nell’uomo. II pensiero e analisi scelta, l’azione è inesorabile. Inottemperanze, prevaricazioni e nefandezze sono imputabili all’infermità esistenziale dell’uomo, alla sua angoscia di mortale, e al conseguente timore della detronizzazione. I regimi operanti sono sempre sotto accusa dietro l’obliterazione dei terrifici malesseri del passato storico. II flemmone, comunque, e l’elaborazione culturale dell’idea di potere, e non l’ideologia che esso asserve. II potere, il più antico e diffuso tentativo dell’uomo di esorcizzare l’angoscia relativa al suo destino di mortale, col dubbio inconscio di una probabile assenza salvifica. Oggi il popolo ricusa, o quanto meno mette in discussione, i dogmi e gli assiomi millenari relativi agli ideali politico-religiosi, sotto il lucore della pluralità d’informazione. Tutti sanno, oramai, che la libertà, la giustizia, l’uguaglianza, la perequazione, sono utopie.
Ah, questo libro anomalo, che ora si eleva, poco dopo si sgonfia. Dal dottrinario assiomatico cala nella mediocrità e nell’incertezza, poi rasenta il banale, ma soprattutto talvolta si contraddice. Quale immagine speculare del mezzo scrittorio di tutti i tempi. La contraddizione e l’uomo autentico, allo stato naturale, quello che non prende posizioni perché sente che la verità e utopia, cioè lo sforzo faticoso e disperato dell’uomo nel tentare di risolvere l’insoluto esistenziale.
Luigi Mari