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scopo di lucro. Senza dubbio vi sarà chi non riuscirà a cogliere il
significato traslato del tema principale postulato ripetitivamente nel
corso del lavoro. Penserà, costui, che io aneli il riflusso delle
carrozzelle ed il ritorno dei focolari con gli alari arrugginiti, a
causa, eventualmente, del mio acutizzarsi caratteriale della componente
nostalgica. II tema ricorrente nel lavoro, infatti, e un
antiprogressismo ostinato, a difesa delle arti applicate a misura
d’uomo. So benissimo che se le arti grafiche non avessero avuto lo
sviluppo massiccio e repentino in atto, anche dietro migliaia di posti
di lavoro (il che non avrebbe guastato), non si sarebbe potuto certo
tener testa alla massiccia domanda relativa al megaprogresso in stretta
connessione con l’irrefrenabile sviluppo demografico planetario.
II
problema sta altrove. Ho utilizzato le arti grafiche quale attività
umana creativa, come paradigma di tutte le attività catartiche affini,
sottolineando l’estrema, nociva industrializzazione di esse, dietro il
paravento delle necessità produttive, non solo, ma soprattutto denunciando la perniciosa
sovra produttività
quando questa intacca l’equilibrio psicologico generale dietro il
meccanismo infermo
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della dipendenza. La natura dell’uomo vuole che un maggiore rilassamento del già
preistorico insoluto esistenziale avvenga più nella fase di desiderio
che nell’appagamento totale e ripetitivo che presto porta a
spossamento e saturazione. La qualità della vita non si misura con gli
eccessi quantitativi oggettuali, con il traguardo del possesso, ma con
idealismi astratti, come, ad esempio, la realizzazione personale
attraverso il lavoro specializzato, fuori dalle corse spasmodiche nel
solco del potere che non approdano a nulla di veramente salutare se non
all’illusione di un traguardo pari a quello che s’illude di
raggiungere chi vuole spegnere il fuoco con la benzina. Affatto
semplicisticamente Leopardi recitava in chiave retorica: "I fanciulli
trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto". Se no come si
giustifica la proverbiale solitudine dei ricchi, dei re, dei boss, nel
ristretto, squallido ambito elitario asettico, dove aleggia sempre il
timore della detronizzazione, quindi l’ossessione della perdita di
quello specioso sostegno psichico anti insoluto esistenziale, cosi
faticosamente e quasi sempre non molto onestamente accaparrato.
Antiprogressista si, quando scopro tangibilmente che molti rimedi sono
risultati peggiori dei mali.
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