IL CONCETTO
            
         DELL’AMORE
   TEMA  CENTRALE  DELLA  LETTERATURA

Divagheremo questa volta nientemeno che con una teoria sull’amore, così legato, da sempre, all’arte scrittoria e alla stampa. Visto lo spirito del libro, anche questa volta non desidero postulare nulla a nessuno. Si tratta sempre di osservazioni del tutto soggettive e non sottintendono nessuna intenzione di tono scolastico. Vi è un abisso tra la natura dell’amore e l’idea culturale dell’amore poliedricamente elaborata, a mio modesto avviso, naturalmente. L’amore, purgato di volta in volta dalle mode letterarie della storia lo conosciamo tutti. La psicologia moderna un bel mattino ha deciso di spogliare l’umano da molte croste culturali lasciandolo nudo nel suo stato primitivo di istintualità. L’animale uomo ha un istinto di conservazione personificato, modificato dalla cultura. Alcuni sono concordi nel supporre che tutte le invenzioni culturali sono delle difese dall’angoscia, connaturata negli animali ragionevoli, coscienti del loro destino di finibilità, non solo, ma di probabile assenza salvifica post-mortale. Ma al di la delle affermate teorie speculative o psico-scientifiche, il timore, o più semplicemente il senso di finire, è presente in ogni forma cerebrale.
L’animale, a mezza strada tra l’uomo e la pianta, vessato o recluso presenta gli stessi sintomi angosciosi dell’uomo ragionevole, che sfociano, a lungo andare, nel disequilibrio. L’appassimento delle piante è un chiaro esempio di deperimento fisico. Esse, istintivamente, (anche se la terminologia è impropria) nei loro limiti compiono ogni sforzo per riprendere vita e, nel caso di intervento dell’uomo o della natura, ce la mettono tutta per risorgere. Io suppongo che una forma iniziale di difesa, più comprensibile come senso di conservazione, sia presente gia nello stadio fecondo pre-fetale. La prima reazione ovulo-cellulare e quindi la difesa dall’estinzione, che si accentua mano mano con lo sforzo neo-fetale contro la probabile minaccia abortiva. La lotta con la finibilità, quindi, non e subito istintuale-cerebrale pre-post-natale, ma è già presente con la formazione delle prime cellule; diviene istintuale durante lo stadio fetale avanzato, e si consolida in quello neonatale, onde perpetuarsi nell’esistenza. Ma l’uomo, per sua sfortuna, e dotato di ragione ed ha inventato la cultura che complica per subito esorcizzare questi timori associati. Quindi alla difesa istintuale si aggiunge l’elaborazione culturale dell’idea di morte, caratterizzata dal timore di una probabile assenza salvifica. La confusione umana è concentrata nel sincretismo Dio-Amore - Dio-Punitore. In realtà l’amore non è il bene che dualizza il male, quindi Dio-demonio, ma amore come esorcismo della paura, non solo di finire, ma di rivivere, dopo, nella sofferenza.

           
Diremo, allora: Dio: idea della vita, demonio: idea della morte. A prescindere dalle teorie teofilosofiche millenarie, l’idea di Dio come garanzia di continuità e indispensabile agli animali dotati di ragione, sebbene la dottrinalizzazione di certi elementari concetti abbia generato maggiore confusione. Senza nulla togliere ai Padri della Chiesa ed ai teologi, e con tutto il rispetto per i credenti di ogni Confessione, i quali trovano serenità e sollievo,  bisogna ammettere che Diderot non aveva tutti i torti quando disse che “…le religione annunciata in passato da ignoranti facevano milioni di credenti, predicate poi da dotti fanno solo degli increduli”. A prescindere dai quindici miliardi di anni luce che ci separano dall’ultima galassia sentita dalla terra (la Luna e a un secondo luce), la Religione è una grande realtà per lenire l’orrore della morte  vista dalla nostra cultura, tranne due elementi comuni a molte Confessioni, che alimentano l’angoscia umana: l’idea dell’inferno e l’elaborazione culturale della sessualità ad esso relativa.

Metabolismo
sessuale regolamentato, quindi compromesso nella sua biologica istintualità che, se non censurato o modificato nella sua appetibilità, sarebbe tanto più naturale e moderato, ed uno dei più idonei toccasana spontanei per scongiurare l’angoscia istintivo-culturale di finibilità, in ragione di abusi, pulsioni pluridirezionali, fino all’omosessualità, senza contare le pulsioni incestuose coatte, manifeste o inconsce; reati sufficienti per annullare la garanzia salvifica al di là da venire. L’eterosessualità, dunque, non condizionata dall’idea di peccato, che richiama subito l’inferno, è la più idonea equilibratrice della vita cellulare-psico-metabolica, connessa all’idea di Dio-amore, così, invece, irrazionalmente elaborata culturalmente, non altro che da fantasiosi bisogni di espiazione terrena.
Il suicida, molto spesso, ammazza se stesso per non morire! ... Egli annega negli angosciosi sensi di colpa inconsci, cioè sempre indefiniti, quindi, nell’immotivazione, attribuita spesso ad ingerenze demoniache, vorrebbe uccidere un male senza volto, che in buona percentuale si rivela come consapevolezza celata in cantina, dell’elaborazione culturale: morte-inferno-sofferenza eterna, pregna di terrore, fulcro inconscio di tutti gli stati depressivi più a meno gravi. Nell’impotenza ansiosa il suicida ripiega, in alternativa, con il possibile annientamento della debole carcassa cerebrale, portatrice da anni, con alti e bassi, l’angoscia oramai incancrenita, tanto più coatta ed ossessiva perché inesplicabile in superficie, dietro l’esclusione di ogni possibilità di rimozione.
Il tema, sovente reiterato dell’insoluto esistenziale, non altro l’angoscia umana che ha origine direttamente dalla consapevolezza di finibiltà e probabile assenza salvifica, in base alle elaborazioni culturali di millenni, fu magistralmente generato dallo psicoterapeuta Luigi De Marchi, nel suo Scimmietta ti amo,, citato nella premessa, nella bibliografia e nella nota a margine d’essa, da cui sono stato sensibilmente illuminato e spinto a formulare, lungo il presente libro, alcune riflessioni, che partono dall’assunto del suo geniale saggio.

Amore e morte, Eros e Thanatos, i temi di base che hanno, direttamente e indirettamente, lasciato produrre all’umano milioni di libri stampati dando un sostenuto contributo allo sviluppo dell’arte nera in tutto il mondo. Le difese, (anche sotto le freudiane sublimazioni: artistiche, politiche, religiose, professionali, ecc.) sono molto spesso contrastanti, e vanno dall’annichilimento mistico alla violenza criminale, quando le si sostituiscono all’unico antidoto diretto alla paura esistenziale, cioè l’amore, (specie concretizzato nei contatti fisici, continuità della difesa uterina, catarsi fisiologica naturale) inteso come l’opposto dell’angoscia, quando esente dall’idea di peccato.
Dio e anche l’organismo che vive, la cellula che si riproduce nel disegno inesplicabile della natura e della creazione e bisogna sempre favorire questo processo anche nei suoi legittimi appetiti, foss’anche nell’atarassia epicurea. La morte – diceva intanto il filosofo – non e nulla per noi, perché quando noi siamo essa non c’è, e quando c’è noi non siamo pù. Dunque amore non come opposto dell’odio, ma come inverso della paura. Più è attenuato questo timore, più l’uomo è capace di amare. L’amore come salute mentale, che stabilisce il giusto compromesso con l’infernizzazione della vita.
L’idea di Dio anche in questa dimensione e utilissima per vivere in modo più sereno possibile, senza per nulla escludere la dimensione transumana. L’amore nell’accezione di fisicità, come inverso della paura,  è essenzialmente quello per antonomasia, cioè l’eterosessualità. La proverbiale sicurezza del ventre materno avvezza specie l’animale uomo a scongiurare il timore di finibilità già nelle parti lubriche di questo grembo, che conservano tutte le caratteristiche delle mucose erogene freudiane. Da questo tipo di benessere-scongiuro si dipanano poi tutte le peculiarità della sfera affettiva, tenerezza, attrazione, affetto, compassione e pietà, proiettive e, talvolta, come la carità, prevedono un tornaconto salvifico. L’amore nudo, naturale, legittimo, non puramente animale, fuori d’ogni elaborazione culturale, compresa quella che leggete..., perché s’e avvalsa della corruzione dottrinaria per stare coi tempi, per esprimere concetti di un naturalismo preculturale.

LE INVENZIONI...
...CULTURALI
      
  
 
ALIMENTO PER LE ROTATIVE

Mi rendo conto di aver sfiorato argomenti che con le arti grafiche, sul piano pratico, avrebbero da spartire poco meno che niente, questo apparentemente; ma se si considera che la stampa tipografica, per cinque secoli, si è asservita parzialmente al business, ma essenzialmente alla letteratura, la quale è l’immagine speculare della ragione umana, allora si penserà non solo che vi è un nesso con le argomentazioni, ma si determinerà che l’arte applicata costituisce il braccio, e la cultura la mente dell’uomo. A prescindere dal sentore sincretico dell’affermazione che può cadere accomodante, una cosa è certa, che le arti grafiche rappresentano la concretizzazione più antica del pensiero umano, la materializzazione delle idee e il maggiore strumento di diffusione della cultura, la quale, sotto certi aspetti, è un mostro di traslazione più o meno astratta della realtà,  ammesso che la realtà possa concretizzarsi nella dimensione umana della ragione, mai appagata sul mistero della vita e della morte.  
La speculazione di pensiero ha messo su gigantesche impalcature inventive che, come torri babeliche, si propongono da secoli se non di risolvere, almeno di dare una dimensione razionale a ciò che si trova al di là della soglia della ragione umana. L’uomo non si rassegnerà mai della sua impotenza rispetto al mistero. Le più grosse invenzioni dell’uomo, dunque, sono proprio in seno alla cultura. Al di là della religione queste cattedrali assiomatiche si sono così incancrenite nei secoli, che la loro essenza è entrata a far parte delle cellule e dei geni.
L’incesto, ad esempio, era una cosa aberrante anche per Freud, come lo è per tutte le persone civili, come noi tutti; una più audace riflessione, però, ci chiarisce che esso, a prescindere dalle Sacre Scritture, è un tabù che fa perno anche sui problemi concezionali causati dai rapporti tra consanguinei, cosa che non inibisce gli animali non dotati di ragione e di cultura se non quella meramente istintuale, materializzata solo nel DNA.. Ma l’angoscia dell’uomo, legata al timore di una probabile assenza salvifica, è strettamente connessa alle pulsioni inconsce gia dalla “sessualità prenatale” lubrico-uterina  e post-natale epidermico-mucotica del complesso rapporto mamma-neonato. Fisicità naturali ed innocenti che, elaborate e censurate poi dalla cultura, provocano negli immaturi, cioè i non domati, i più devastanti sensi di colpa che la sfera emotiva dell’uomo possa incamerare e sfociano inevitabilmente nell’unico drenaggio dell’angoscia, perché richiamano costantemente l’idea dell’inferno.
Le sospettate o coatte idee incestuose mai chiaramente manifeste restano quasi sempre istintuali e mai chiare pur se morbose, e deprimenti perché aberranti; ma nella quasi totalità dei casi i sensi di colpa relativi ad idee incestuose inesplicabili perché latenti, legate all’età evolutiva, non lasciano rivelare la loro natura in superficie e si manifestano come un’angoscia indefinita, precludendo ogni tentativo di rimozione.
Tempi duri per sublimare arti e professioni cosiddette nobili, o rifugiarsi nell’ascetismo, nella poesia, che quasi sempre riflettono l’infermità esistenziale. Il lavoro, vasto terreno di sublimazioni della massa, atto a scongiurare la problematica esistenziale approfondita, viene compromesso dall’alternativa robotica. Il lavoro a misura d’uomo, spersonalizzato sul parametro del potere economico, assorbe l’energia mentale al popolo onde garantire il supporto per reggere i compromessi psichici con la realtà esterna.  
Altre invenzioni culturali sono quelle relative alle idee della bellezza e della ricchezza, che condizionano l’esistenza di miliardi di persone, pur appartenenti alla priorità numerica. Se si tien conto che la massa planetaria è in netta maggioranza non bella e non ricca, non è vero, allora, che sempre la maggioranza vince, forse non vince quasi mai. Ma il bello e il successo sono un potere caduco, e oltre a ledere i brutti e i poveri, finisce, in fondo, col danneggiare i propri detentori, che, se non compiono sforzi sostenuti onde evitare il decadimento, finiscono col cadere in un’angoscia maggiore. Diceva Daniel Mussy: La bruttezza ha un vantaggio sulla bellezza, dura per sempre. Io aggiungo pure la povertà.  
Un’altra elaborazione culturale di un’idea, nel maschio, e il concetto dell’eroe, molto diffuso nella terra vesuviana, portato su nel tempo dai lazzaroni prima e dai malavitosi loro discendenti, dopo, si rifà ai moduli. classici della letteratura romanza e provenzale. Concetto esportato anche nel Nuovo Mondo, dove si può attingere dalla letteratura western. Oggi, grazie a Dio, il concetto dell’eroe e stato rivisitato in chiave psicologica. Gia i napoletani meno incoscienti, non codardi, beninteso, hanno sempre detto: “Il miglior guappo e quello che torna a casa”. L’eroe è tale solo se inconsapevole. Solo un soggetto condizionato dall’opinione altrui e dotato di una buona dose di incoscienza rischia la vita per un ideale le cui basi perdono acqua da tutte le parti. Non è vero che l’eroe non si ama, egli trabocca di amor proprio a tal punto da sfidare la morte, quasi sempre convinto di cavarsela perché obnubilato dall’orgoglio; ma da una confusa valutazione di se stesso, perché ignora la propria potenzialità umana se non nella misura dell’irruenza e dell’irrazionalità. Un uomo equilibrato, legato ai mille interessi che la vita gli ha proposto non rischia di morire solo per tener fede all’elaborazione culturale di un’idea. Diceva Pirandello: E’ più facile essere un eroe che un galantuomo, eroe si può essere una volta tanto, galantuomo si dev’essere ogni giorno. Nella cintura vesuviana, come in tutto il sud, il concetto dell’eroe e anche strettamente connesso alla virilità maschile.  
Alle donne, per contro, vengono concesse tutte le debolezze e le paure, più che in ogni altra parte del globo. Anzi, il coraggio e l’intraprendenza in una donna sono sintomi di mascolinità. Il maschio vesuviano che non si difende dalle minacce ingiuriose o, semplicemente dal dileggio sente non solo di perdere la dignità, ma vede compromessa la propria virilità sedicente ed ostentata sin dall’infanzia come per scongiurare ogni sospetto. L’obnubilato subito annulla l’istinto di conservazione, nonché affetti, averi, timori di assenza salvifica e si precipita come un kamikaze sulla nave dell’incoscienza. L’atteggiamento è modificato, però, nei casi di vis-a-vis, questo dimostra come gli occhi del mondo e l’opinione altrui influiscano sulla nostra esistenza. Anche, soprattutto, nella corsa al successo tradotta in potere-danaro. Non desidero far passare per caratteriali delle condizioni mentali presenti in molti gruppi sociali, voglio solo sottolinearne la frequenza, a costo di essere tacciato, dai miei cari circumvesuviani, di psicopatia, bruttezza, codardia, che giustificherebbero il movente delle considerazioni esposte.