LO  SCRIPTORUM

LO SCRIPTORUM

Tutti sappiamo, oramai, che furono i monaci medioevali i maggiori amanuensi della storia. Lo scriptorum era un’officina scrittoria fornita, come nelle aule scolastiche, di regolari sgabelli. Assorti nel loro lavoro, i certosini, e il caso di dire, sbuffavano quando, probabilmente, secondo il rituale, un collega si affacciava sull’uscio per rammentare il memento mori. Dal momento che non era stato ancora inventato il vetro, si dice che i poveretti incontrassero molte difficoltà durante il lavoro. Sebbene adoperassero oggetti adeguati per fermare le scartoffie, non vi erano, purtroppo, le aspirine per combattere i frequenti raffreddori. I cenobiti, in genere, non erano avvezzi a tabacco e a Venere, ma in quanto a Bacco... Altro che prevenzione dei malanni! Poi, grazie all’avvento della carta oleata, gli amanuensi trovarono maggiore difesa contro le scalmane. Si dice che i monaci, tra l’altro buone forchette, divorassero bulimicamente, date le diverse astinenze, pecore e selvaggina, scuoiate allo scopo di ricavare la materia prima per fabbricare il supporto destinato alla scrittura. Alcuni religiosi fungevano pure da miniaturisti per disegnare quelle complesse maiuscole e per illustrare qua e là i codex. Vi erano dei testi così estesi e complicati che spesso non bastava 1’intera vita di un amanuense per realizzarne una copia. Prima ancora che sorgesse la copiatura laica quasi tutti i testi, non teosofici, venivano burattati da dissolutezze ed impudicizie. Per fortuna il Decamerone non cadde mai nelle grinfie dei monaci...
E’ superfluo aggiungere che la copiatura avveniva sia attraverso il lavoro individuale che dietro dettatura del bibliotecario. E quante volte, c’è da immaginarselo, un po’ per il tedio, un po’ per il sonno, l’uno avrà dettato patate e 1’altro avrà scritto cipolle. In ogni modo i monaci avevano libero arbitrio di purgare, modificare, intrapolare o estrapolare. Gia ai tempi dei romani, però, esistevano officine scrittorie frequentate da schiavi. Dall’anno uno ab urbe condita, al 1450 dell’Era Cristiana gli amanuensi hanno rappresentato il lungo periodo di preludio della storia della stampa, perché, appunto, sono stati i precursori pazienti e un po’ secchioni, delle arti grafiche. Fu probabilmente il loro superlavoro a suggerire 1’invenzione a Gutenberg. Gia dal VII secolo, intanto, esistevano delle sparute officine laiche che si moltiplicarono, nel tempo, molto lentamente.

NON DI SOLO AMANUENSE

 Non bisogna dimenticare, però, che uno dei primi sistemi di stampa fu inventato dai cinesi. Gli orientali adoperarono dapprima caratteri di terracotta per stampare i loro singolari giornali. Nel VII secolo apparvero i primi caratteri di rame e altre leghe. Il metodo si rivelò problematico se si considera che l’alfabeto cinese comprende circa cinquemila segni. Così, mai scoraggiati, inventarono la stampa tabellure, altrimenti detta xilografia. Essa consiste (perché per finalità artistiche ancora si pratica) nell’utilizzare come matrice una tavoletta per lo più di legno incisa a mano. Il risultato era pressappoco simile a quello dei clichè zincografici, ottenuti con 1’ausilio di un negativo fotografico, la luce attinica e la morsura d’acido, adoperati tutt’oggi dalle tipografie tradizionali.
Idonea per la riproduzione di immagini, la xilografia non risolveva il problema della composizione alfabetica. Diffusasi pure in Europa non cadde in disuso, infatti dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili venne utilizzata come ausilio alla nuova scoperta per illustrare le opere stampate, data la sua ottima compatibilità col torchio. E’ pur vero che sulla tavoletta era possibile incidere quante lettere dell’alfabeto si volesse, ma a parte la laboriosità del sistema, la matrice, essendo monoblocco, non consentiva correzioni; inoltre lo strofinio vigoroso degli xilografi nella parte posteriore del foglio non concedeva la possibilità di stampare ripetutamente sul fronte retro. I caratteri mobili risolsero ogni problema. Sebbene alcune polemiche sulla paternità assoluta di Gutenberg della stampa tipografica non si siano mai del tutto dissipate, la storia vuole che 1’orefice di Magonza, nel 1450, iniziasse a sperimentare gli strani bastoncini di piombo fuso, aventi sull’estremità superiore il rilievo delle lettere a rovescio. Come è facile capire, lo scopo che si era prefisso quell’astuto di tedesco fu quello di rendere rapida non già la formazione delle pagine, ma la copiatura di esse una volta ultimate. Johan Gutenberg, come ho detto, era orefice di professione e, guarda caso, Torre del Greco, la mia città, ovunque riconosciuta come Patria del Corallo, trabocca di orafi ed orefici. Ma sono certo che nessun torrese trascurerebbe l’oro per mettersi a fondere il piombo. Gutenberg lo fece, ma posso assicurarvi che non era uno stupido. Cercava sì la gloria ma, come gli alchimisti, riteneva la sua invenzione una vera pietra filosofale, perché, appunto, tentava di trasformare il piombo in oro, coi ricavi del suo notabile operato, in origine, comunque, non poco contrastato, come tutte le grandi innovazioni della storia.