VECCHI  CLICHE'

CLICHE’ DI ZINCO
ADDIO!
 

(Descrizione degli anni 80 N.d.r.).

Il sogno, invece, dei tipografi artigiani comuni, è stato sempre quello di poter realizzare cliché nella stessa bottega. Le complesse fasi del procedimento zincografico hanno sempre scoraggiato anche i tipografi più intraprendenti. Gli zincografi, agli occhi dei tipografi del piombo fuso, sono sempre apparsi come una sorta di alchimisti privilegiati che indettavano maestrie tecnicistiche e che, comunque, esercitavano un certo ascendente sui loro asserviti. Ma la chimica industriale ha fatto giustizia, ha messo a punto i composti fotopolimerici, i quali consentono di ottenere cliché in casa attraverso un procedimento (come cadono bene le locuzioni): all’acqua e sapone e all’acqua di rose. Infatti, dopo la semplice fase di esposizione, lo sviluppo avviene in acqua di rubinetto.
Bisogna ricordare che, per quanto la stampa offset abbia soppiantato quella a caratteri mobili vi sono delle lavorazioni che restano tipografiche e, allo stato, non si possono sostituire: stampa in oro  tramite foil, stampa di supporti cartacei preconfezionati, rilievografia classica e chimica, ecc.
Vediamo, per il momento, come viene fabbricato un cliché di zinco al tratto. Devo subito puntualizzare che il procedimento fotografico per ottenere la matrice di qualsivoglia veicolo di stampa e sempre lo stesso. E’ necessaria, in tutti i casi, una maschera che consente alla luce attinica di agire o meno. Questa matrice della matrice, per così dire, è essenzialmente costituita da una pellicola o un montaggio di pellicole fotografiche. Per ottenere un semplice cliché di zinco, dobbiamo sfruttare la contrapposizione della pellicola ortocromatica ad alto contrasto: nero totale o bianco assoluto. Immaginiamo di voler convertire in cliché anastatico un disegno o una pagina di scritto. Fotograferemo l’originale con un apparecchio specifico capace di incamerare negativi di grosso formato o più semplicemente scannerizziamo la pagina fino ad ottenere con il procedimento disponibile: laser, fotounità, ecc. una pellicola negativa che risulterà, come è noto, nera la dove le zone dell’originale sono bianche, e trasparente dove sull’originale risulta nero.
Lo zincografo avrà preventivamente preparato la lastra di zinco con una speciale vernice fotosensibile, spalmata in centrifuga onde ottenere uno strato omogeneo. Fatta essiccare, la lastra viene sottoposta alla pellicola a perfetto contatto in appositi bromografi sotto vuoto. La luce attinica agirà solo attraverso le zone trasparenti, nel nostro caso i segni delle lettere e il disegno. La vernice fotosensibile indurirà solo nei punti colpiti dalla luce. Le zone neutre rimarranno solubili allo sviluppo che lascerà, in quei posti, ricomparire il metallo. E fin qui nulla di complicato, a parte la centrifugazione del bicromato sensibile sullo zinco. La difficoltà si presenta quando si immerge la lastra in acido nitrico che corroderà lo zinco solo nei punti esenti di vernice. La laboriosa incisione è sotto costante controllo dell’operatore che eviterà innanzitutto attacchi impropri dell’acido al fianco dei rilievi delle lettere in formazione. Quando 1’incisione chimica avrà raggiunto la profondità desiderata il cliché è bello e pronto per la stampa. Esso avrà l’aspetto del bassorilievo di un comune timbro, laddove gli elementi grafici sono disposti a rovescio e in rilievo e le parti bianche (sulla carta) sottoposte. Il procedimento fotopolimerico è pressoché identico con la differenza che non esiste acidazione, lo “scavo” del bassorilievo avviene spazzolando con acqua di rubinetto tiepida. Ciò consente a chiunque di fabbricare cliché di “plastica”.

IL RETINO TIPOGRAFICO


    Il principio del retino tipografico

Fin qui abbiamo appreso che i segni in superficie del cliché raccolgono il colore dai rulli inchiostratori delle macchine tipografiche per trasferirlo sulla carta, similmente alla funzione del rilievo dei caratteri mobili. Le zone più basse che costituiscono la base dei rilievi di stampa non sfiorano i rulli e risultano bianche sulla carta. Ma come si ottengono le tonalità di grigio in una foto stampata? Se proviamo a tracciare su d’un comune foglio bianco tanti puntini precisi ed equidistanti tra loro noteremo che alla distanza di qualche metro essi scompariranno dal nostro controllo visivo ed apparirà una zona di una distinta tonalità di grigio. Più piccoli e distanti saranno i puntini, minore sarà l’intensità del grigio. Per ottenere un grigio piuttosto scuro dobbiamo tracciare dei punti più nutriti e più accostati. I punti addossati o fusi formano il nero. Se queste tracce vengono articolate in relazione a delle figure otterremo una rudimentale immagine tipografica da giornale.
Il clichè riproducente una fotografia ha lo stesso principio del nostro puerile esperimento, è composto da parti microscopiche totalmente nere o bianche, quindi alte e basse. Il segreto sta nella caratteristica microbica dei mirmifici puntini, che non vengono percepiti ad occhio nudo come tali, ma quali zone grigie più o meno scure che vanno appunto dal bianco al nero. Un cliché di una foto, detto a mezzatinta, presenta, nella sua struttura, una miriade di punti di microbica dimensione a diversa distanza da loro: piccolissimi e distanti nelle zone chiare; più sostenuti e ravvicinati in quelle medie; quasi uniti nelle parti scure, nelle zone nere sono fusi assieme e si va nel fondino tipografico. Quindi l’omogeneità dell’inchiostro distribuito dai rulli viene rotta dalle differenti zone di presa dei puntini.
A scomporre l’immagine in punti, in sede fotomeccanica, è il retino, costituito da un supporto dello spessore vario, a seconda se si tratta di retino a distanza o a contatto. Il retino a contatto, molto diffuso e pratico, è spesso quanto una pellicola e altrettanto flessibile, nella cui base semitrasparente appaiono fittissime serie di linee orizzontali e verticali, l’incrocio delle quali forma i punti che allo stato di retino sono tutti uguali. Essi si assottigliano per riflessione ottica della luce in fase di ripresa lungo le parti chiare dell’immagine; al contrario nelle parti scure si ingrossano perché la luce riflessa è minore. Il retino viene anteposto, a stretto contatto (sottovuoto), alla pellicola vergine in fase di ripresa o nei passaggi da negativo in positivo e viceversa. I retini vanno da un minimo di 25 linee a cm. quando il cliché è destinato ad una carta ruvida come quella dei giornali; 40 linee per carte collate e lisciate, fino ad 80 linee ed oltre per le carte patinate. L’offset consente un maggior numero di linee del retino, perché il sistema trasferisce solo un sottile velo di inchiostro ed evita l’impasto dei punti. Il retino 25 linee dei giornali è visibile ad occhio nudo come la luna ed il sole. Per osservare bene una retinatura oltre le 60 linee è necessaria una buona lente d’ingrandimento. Oggi la selezione dei colori è totalmente computerizzata e la possibilità di errori è minima.