LA PROGETTAZIONE
Vi sono vecchie tipografie artigiane che non adottano nessun metodo di
progettazione. Pure nel caso di stampati più complessi l’ideazione e la
scelta realizzativa avviene mentalmente, per così dire,
affacciati sul piombo. Molti miei colleghi torresi e campani ideano tutto
di getto, sfruttando l’immediatezza della creazione.
Il buon risultato del lavoro è anche dovuto alle numerose esperienze
precedenti. Io stesso adotto questa procedura nella mia bottega di Via
Purgatorio, indipendentemente dalla tecnica o veicolo di stampa adoperati.
Tutti i calcoli sono empirici ed immediati, sebbene si tratti molto spesso
di stampati di piccola entità, non per questo, però, di poca importanza
o di basso prestigio. La progettazione tipografica eseguita in uffici
appositi riguarda le grosse aziende partenopee, che oggi stampano
prevalentemente in offset ed utilizzano la fotocomposizione computerizzata
e lo scanner elettronico per la riproduzione di immagini onde poter
realizzare, in tempi relativamente brevi, le matrici da stampa. In questa
prima fase di lavoro tutto viene ideato, progettato ed eseguito in camice
bianco, come in ospedale. I camici scuri relativi all’arte nera
sono sempre più rari a vedersi.
Nelle medie tipografie campane la progettazione avviene
nello stesso ambiente di lavoro attraverso calcoli e schizzi eseguiti poco
prima di intraprendere il lavoro di composizione. Il proto, generalmente
il tipografo più anziano, conosce a perfezione tutto il materiale
tipografico esistente in officina. Egli è il coordinatore di tutto il
lavoro. I nostri tipografi compositori sono dotati di uno spiccato senso
pratico e, da buoni campani, di una fertile fantasia, pur se questa
categoria è in estinzione. Da questo estro creativo nascono i prodigi del
collage meccanico tipografico. I compositori campani per secoli hanno
saputo assemblare, con gusto ed eleganza, i pezzi prefabbricati di cui
disponevano, che in un certo senso somigliano al contenuto di un lessico.
Le parole, similmente all’attrezzatura tipografica, solo se combinate
con sentimento, talento, virtuosismo, e perché no, con una punta di
artificiosità, danno sorprendenti risultati.
Oggi le macchine hanno priorità sull’individuo e lo spersonalizzano, e
credo di non esagerare, finoall’annichilimento. Estinti, ormai, i tempi
in cui si aspirava ad imparare l’arte per metterla da parte. Oggi
un operatore è un numero, facilmente
sostituibile, un pezzo di ricambio qualsiasi, da utilizzare finche è
efficiente, e da buttar via non appena consumato. E il logorio avviene
precocemente, oggi, perché l’uomo è svigorito dalle macchine.
Passati i tempi in cui, adolescente, sgambettavo magro e spaurito, restio
agli studi regolari, nella stamperia di Don Ettore, una delle prime
tipografie di Torre del Greco. Sin dal primo impatto col materiale
tipografico, nelle cupe e fuligginose tipografie del secondo dopoguerra,
appresi che la conoscenza dei caratteri e la padronanza d’uso determina
la loro giusta collocazione. Questa maestria e alla base di tutte le
composizioni tipografiche, anche nella versione fototecnica offset. L’operatore
grafico della terra vesuviana, sovente, senza alcuna cognizione teorica o
dottrinale è maestro a orecchio. Ha sempre plasmato e modellato le
sue composizioni tipografiche con sorprendente senso pratico, forse
ignorando che l’arte tipografica si riallaccia, nel tempo, alle
influenze dell’arte pittorica e dell’architettura.
Da tempo, ormai, sono state introdotte nelle sia pur sparute scuole
grafiche le moderne tecnologie relative alla stampa offset, trascurando i
sistemi tradizionali. I nuovi orientamenti sono incentrati sulla
fototecnica grafica, sul disegno, sulla composizione elettronica e,
conseguentemente, sulla ripresa fotografica e montaggio. Beninteso, non è
necessario essere pittori o disegnatori di professione per diventare
valenti tipografi, sia con i vecchi che con i nuovi sistemi. E’
importante, però, che si abbia gusto artistico, senso delle proporzioni,
sensibilità armonica, predisposizione, in una parola, l’euritmia. Si
deve almeno saper distinguere un buon disegno da uno scarabocchio o un
ammirabile dipinto da una crosta. Ci sono dei bravi disegnatori, ad
esempio, che sono dei tipografi mediocri, se viceversa, è meno grave. Lo
stampato tipografico allo stato di abbozzo, va interpretato come un
canovaccio da palcoscenico. Impostato con gusto e sobrietà, quindi
caricato e modellato con la personale forza espressiva attraverso il gioco
degli elementi, sia nel caso di caratteri mobili, filetti e cliché, che
in quello dell’assemblaggio fototecnico.
IL LAVORO
DELLE BOTTEGHE
Eccoci di fronte all’arte applicata propriamente detta. Da sempre i
movimenti artistici relativi alla pittura, architettura e via dicendo,
vanno a braccetto con la tipografia, o viceversa. Ciascun lavoro
tipografico, per certi versi, non e meno di un messaggio d’arte, cioè 1’elaborazione
e la realizzazione grafica di un’idea del bello. Nella progettazione con
materiale tipografico, ad esempio, i caratteri parlano. Il disegno di uno
stile: Bodoni, Romano, Gotico, Garamond, ecc. non è solo il
risultato fortunato di una elaborazione più o meno artistica dell’alfabeto.
La forza delle aste o la leggerezza dei tratti, gli svolazzi, la grazia
dei contorni e la vivacità dei toni suggeriscono l’uso appropriato,
quindi connaturale dei caratteri scelti. L’esecuzione del lavoro nelle
botteghe artigiane avviene spesso in maniera frammentaria a causa della
scarsità degli addetti alle svariate mansioni.
Forse il mio caso è emblematico. Spesso la mia giornata, come la via che
mi ospita, e un purgatorio. La bottega angusta, come tutte le altre
della terra vesuviana. La strada sempre a portata di mano. Le nonnine del
gerontocomio adiacente richiedono la scrittura manuale di missive da
destinare ai figli lontani, facoltosi, ma ingrati. Il falegname od il
macellaio di fronte che domandano ora un cacciavite, più tardi un
autoadesivo onde mimetizzare l’ammaccatura alla Vespa. Punto lo sguardo
su di un avventore e dò un’occhiata di sbieco all’apprendista che mi
domanda delucidazioni sul tono di un colore. Intanto l’orecchio è teso
al trillo del telefono. Una mano è gia allungata sulla tastiera della
Linotype per comporre un rigo di correzione. La consorte Rosaria mi chiede
spiccioli per il resto. Ma ci sono i cinquanta avvisi di lutto da tirare.
Un salto da una macchina all’altra con gli stinchi indolenziti per le
contusioni contro le cassette di piombo o le pedane impilate. Quindi un
calcolo tipometrico in piedi. Un occhio sul taccuino e l’altro che
osserva la qualità di stampa all’uscita della platina. La bocca da un
lato sorseggia un caffè corretto ai moscerini, dall’altro aspira un’ampia
boccata di fumo per sedare lo stress. Per fortuna non è sempre così.
Nelle ore di minore traffico si provvede all’assemblaggio delle
composizioni. Questa operazione richiede rilassamento e concentrazione. La
disposizione delle righe deve essere tale da garantire una buona
leggibilità. La lunghezza di uno scritto, ad esempio, deve essere
proporzionale alla grandezza e allo spessore dei caratteri. L’interlinea
tra un rigo e l’altro deve seguire una regola ottica suggerita dal gusto
e dal senso delle proporzioni. Il lavoro del tipografo compositore, per
certi versi, è più difficile di quello del grafico montatore offset,
perché il tipografo da piombo deve operare attraverso una tecnica
decisamente decorativa e ornamentale, coi relativi limiti creativi,
poiché utilizza esclusivamente materiale prefabbricato, le cui
disposizioni vanno eseguite sempre in parallelo o comunque con angolazioni
a 90 gradi. Difficilmente può disporre elementi in posizione obliqua o
circolare a meno che non ricorra ai cliché. Il tipografo da piombo,
rispetto al grafico fototecnico, gioca molto sul gusto e sull’equilibrio
delle proporzioni. Esso è un collagista
meccanico che assembla dei magistrali mosaici, pur non disponendo di
totale liberta creativa, se non, appunto, nei limiti del materiale
prefabbricato, che esclude la geometria delle curve. Il tipografo da
piombo, tra qualche anno, sarà solo un ricordo.
Sin dalla scoperta dei caratteri mobili il tipografo ha sempre coniugato
le lettere con le immagini; pensate i napoletani, con la loro
predisposizione all’iconografia. Solo la televisione ha offuscato l’endemico
culto del fumetto dei ragazzi campani. Sebbene si possa pensare il
contrario, le lettere predominano sull’immagine a causa del loro netto
contrasto. Equilibrare le masse e le forme in qualsiasi fatto grafico è
una delle regole fondamentali del tipografo. Quasi tutti gli addetti ai
lavori delle tipografie campane sanno che le lettere e le immagini vanno
disposte ed alternate con un ritmo proporzionale, suggerito dal senso
critico interpretativo personale e avvalendosi di esperienze precedenti
personali o di terzi. La spaziatura deve essere armoniosa, coadiuvata da
una sicura scelta dei bianchi. Si dice che la bravura di un autista si
misuri dal freno, ebbene io aggiungo che la maestria di un tipografo si
misura dai bianchi. Tutte queste regole conducono all’euritmia,
la preventiva disposizione armonica, cioè, di tutte le parti che
determinano la gradevolezza visiva di uno stampato.
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Non sempre, però, l’assemblaggio della materia grafica deve seguire le
stesse regole. Vi sono dei casi in cui si presentano degli stampati
destinati ad utilizzatori particolari che dietro peculiari motivi, lo
osservano sotto un’ottica diversa da quella convenzionale.
La mia
piccola bottega artigiana, ad esempio, realizza ogni tipo di piccolo
lavoro, dalla carta da visita alla partecipazione di nozze, dal volantino
all’avviso murale cittadino, (utilizzando sia caratteri di piombo che
lastre offset di piccolo formato), stampati, cioè, di uso domestico o
relativi alla piccola grafica pubblicitaria di livello locale. Uno
stampato destinato all’osservazione popolare dovrà contenere delle
caratteristiche grafiche di assimilazione diverse da un catalogo, ad
esempio, che interessa dei conoscitori d’arte. Un volantino dovrà
essere coerente al genere di prodotto pubblicizzato e fedele ai fattori
ambientali dei suoi utilizzatori. I cittadini campani, ad esempio, sono
ligi alle tradizioni figurative, alle ampollosità geometriche: non
possiamo sottoporre loro un volantino con ampie aree di bianco e una
grafica avanguardistica, questo comporterebbe diffidenza non già nei
riguardi del tipografo, ma dell’intestatario. In altre parole il
tipografo deve in alcuni casi ridurre la propria cultura grafica ed
abbassarla ad un rango creativo inferiore; talvolta dovrà modificare le
proprie capacità, dirottandole verso 1’indirizzo verso cui è destinato
lo stampato.
L’avviso murale cittadino, diffusissimo nella terra vesuviana,
impropriamente detto manifesto, forse per estensione, sarà
concepito e interpretato in modo diverso da una carta da lettera, non solo
perché il primo viene osservato a distanza rispetto al secondo, ma
poiché sono due stampati destinati ad osservatori diversi. Il tipografo,
specie quello artigiano, addetto alla progettazione, deve essere anche,
non dico psicologo, ma almeno intuitivo e perspicace. Egli deve spaziare
la fantasia e combinare nella maniera migliore le soluzioni teoriche con
quelle pratiche della vita quotidiana. Oggi però il tipografo della
bottega, in barba agli operatori offset, può valorizzare il vecchio
sistema tradizionale con l’ausilio della sostanza fotopolimerica, la
quale, almeno per la fase creativa, elimina i limiti imposti dal materiale
tipografico a caldo. I fotopolimeri consentono di ottenere i vantaggi
fototecnici dell’offset pur stampando in macchina tipografica, e
sostituiscono degnamente il complesso sistema zincografico eseguito da
specialisti scissi dalle tipografie. Mai nessun tipografo si è cimentato
nella fabbricazione di clichè zincografici
proprio a causa della complessità di esecuzione, specie per quanto
riguarda la fase di acidazione. I fotopolimeri oggi si sviluppano in acqua
di rubinetto, ma hanno un costo di gran lunga superiore a quello delle
lastre offset.
Bisogna riconoscere che la fototecnica consente di evolversi e spaziare la
fantasia creativa. I metodi di elaborazione fotografica favoriscono
soluzioni altrimenti irrealizzabili. L’ingrandimento o la riduzione di
una scritta, la sua inversione in negativo, l’illimitato uso di elementi
geometrici curvi sono indispensabili nella grafica corrotta da ogni tipo
di innovazione. L’illustrazione negli stampati è una trovata
antichissima, ma oggi viene concepita non solo come elemento complementare
più o meno essenziale nel contesto grafico, ma come necessario impasto
del nuovo linguaggio grafico a cui l’osservatore moderno si è
avvezzato. L’alfabeto da solo, o interrotto da qualche figura si rivela
graficamente insufficiente. La forza di attrazione delle cromotipie, le
immagini fuse col testo o il testo fuso con le immagini, insomma il
connubio alfabeto-figura costituisce forme espressive ricche di
ricercatezza a vantaggio della gradevolezza visiva cosi diffusa dalla
fotografia propriamente detta, dal cinema e dalla televisione, specie se l’assemblaggio
è concepito con un ritmo sobrio ed equilibrato da facilitare al massimo
la lettura e l’osservazione.
VECCHIA COMPOSIZIONE
TIPOGRAFICA IN PRATICA
Dalla biblioteca ritorniamo in tipografia col dubbio se sia la parte
letteraria ad alleggerire la noia di quella tecnica o viceversa. Anche qui
è questione di forma mentis. Dalle regole per una vita salutare passiamo
a quelle di una buona stampa. Un rigo di scritto non dovrebbe essere
inferiore a 12 righe tipografiche (poco meno di 6 centimetri di larghezza)
e non superiore a 30 righe (testo di libro). Io, in questo momento lavoro
con la giustezza 27 righe. (La misura si riferisce all’edizione cartacea
del 1998. N.d.r.) Un rigo superiore a 30 righe causerebbe difficoltà a
ricercare il rigo successivo, dato che la nostra lettura non è
bustrofedica. Le interlinee tra i righi di scritto sono necessarie per
allungare il testo e per migliorarne la leggibilità. Le linee linotipiche,
generalmente formanti carattere di testo, mai superiori al corpo 14, ad
eccezione di modifiche speciali, e le righe composte con i caratteri
mobili, pur se accostate, senza interlinee, consentono la leggibilità
perché è calcolata una minima spalla, sopra e sotto il carattere
in maniera da evitare l’accostamento delle lettere.
Le composizioni possono essere: lupidarie, (spazi irregolari ai due
lati); a bandiera (spazi irregolari solo sul lato destro); a
blocco (testo allineato a destra e sinistra, come questo che leggete).
Tale composizione non consentirebbe più di tre divisioni di parola
consecutive; inoltre, l’ultimo rigo di ogni capoverso non dovrebbe
essere inferiore ad un terzo della giustezza del blocco. Ho usato il
condizionale per le due ultime regole perché io stesso non le ho
rispettate in questo testo poiché le ritengo un momentino (come
dicono alcuni) pedanti. E’ curioso notare che, in origine, tutti i
lavori tipografici che non fossero relativi alla produzione libraria
venissero chiamati lavori accidentali. Il XX secolo ha ribaltato la
questione. Il campionario dei caratteri è uno strumento essenziale per
una composizione equilibrata e gradevole.
Lo sviluppo del testo di un manoscritto o dattiloscritto si calcola
contando un rigo dell’originale ed un rigo del carattere prescelto,
quindi si procederà alle due somme e si confronteranno, potendo
determinare, così, lo spazio che occuperà il libro stampato. Calcolo
inutile per il libro che state leggendo, (Ci si riferisce all’edizione
cartacea del 1998. N.d.r.) perché sono partito con un canovaccio di
cinquanta dattiloscritti e ne saranno venuti fuori, affacciato alla
Linotype, oltre trecento, data la posizione desueta di scrittore che
assume un tipografo. Nei casi di composizione ortodossa, dove l’originale
è completo e limato, la sproporzione del conteggio tipografico effettuato
si modifica attraverso la scelta di caratteri più piccoli o più grandi,
oppure più condensati o più larghi, in caso contrario si è costretti a
diminuire od aumentare il numero di pagine. Nel caso di testi brevi, oltre
ad una maggiore interlineatura, si provvederà ad aumentare lo spessore
della carta per dare al tomo maggiore consistenza. Nei giornali, una
volta, in caso di eccesso avvenivano dei tagli anche tipograficamente
arbitrari, nel testo, o, viceversa, nei casi di difetto, si provvedeva con
una maggiore interlineatura o con l’aggiunta di inserti. Con la
fototecnica offset questi problemi non sussistono, perché il computer
provvede a modificare il testo in lungo ed in largo a seconda delle
esigenze di spazio. In un attimo un carattere minuto diventa espanso, un
testo intero tondo diventa corsivo o neretto, e così via. Cose da far
rivoltare Gutenberg nella tomba!
Le correzioni delle bozze di stampa si eseguono, com’è noto, attraverso
dei segni convenzionali, mai standardizzati. Un segno viene posto sulla
parola da correggere ed uno identico sui margini laterali del testo,
accanto al secondo segno viene scritta la lettera da sostituire o la
parola da aggiungere o da fare in corsivo o in neretto, mediante tre tipi
di sottolineatura: tratteggiata, normale e doppia. Molti segni
convenzionali per le correzioni variano non solo da paese a paese, ma da
regione a regione, ed in certi luoghi, da città a città. I campionari di
caratteri tipografici sono più limitati rispetto a quelli da computer,
dove l’unica limitazione può essere lo spazio sull’hard o il
rallentamento del sistema in caso di moltissimi caratteri istallati.
Negli ultimi tempi le fonderie di caratteri in Europa si contano sulla
punta delle dita. Nell’Europa, ormai unita, le famiglie di caratteri
più diffuse non hanno un nome internazionale standard, malgrado l’importanza
originaria. Ciò che in Italia viene legittimamente chiamato Bodoni,
in Inghilterra viene detto Moderno, in Germania Jungere Antiqua,
in Francia Didot. Così in Italia diciamo Bastone in
Germania Grottesk, in Francia Antique, in Inghilterra
Sans Serif.
Anche i tipografi tradizionali ancora pochissimi non convertiti all’offset
usano spesso i caratteri da computer data la vastità di scelta,
trasformandoli in cliché per la stampa tipografica o adoperand gli
ouptput laser o duplicatori oramai perfezionati. Oggi gli stili derivanti
dalle famiglie principali sono pressoché infiniti, come illimitate sono
le elaborazioni fototecniche di essi. E’ sempre un riflesso dell’arte
moderna: pittura, architettura, scultura, letteratura. L’avanguardismo
ermetico impera; la chiarezza, il figurato non solleticano più nessuno.
Così gli artisti, i politici e, perché no, i grafici, si danno da fare.
L’uomo trova dei sistemi convenzionali per esprimersi e comunicare,
subito dopo li complica per sconfiggere la noia del consueto. Diceva bene
Rene Char: Diffida dell’uomo e della sua mania di fare nodi. I
caratteri tipografici hanno pure capacità espressiva sulle parole. Ciò
in relazione ai titoli ed agli slogans. Ad esempio non si userà mai un
carattere d’asta debole e sottile per scrivere acciaio, come si
eviterà una scrittura larga e robusta in un titolo come: Fragilità.
In pratica i caratteri, in sede espressiva, si riallacciano sempre alla
loro primogenitura di ideogrammi. |