Viaggio sentimentale nella parola.

Per chi come me non ha più frequentazione quotidiana con la lingua napoletana, il suono di molte parole assume un potere evocativo che va oltre il significato stesso del termine. Sentire stuppaglio mi riporta a momenti di gioventù con gli amici torresi, quando ci divertivamo ad esplorare le espressioni più caratteristiche e barocche della nostra parlata popolare. I grandi raccoglitori (forse anche inventori) erano Saverio, Michele, Mario e fu uno di loro a riferire l’augurio di una popolana di miezo a Santa Maria, alla quale avevano rubato della biancheria spasa ad asciugare nel vicolo. Se ne pozzeno fa tutti stuppazzi pa’ fessa.
E così mi è sempre capitato di leggere i dizionari della lingua napoletana, non per necessità di interpretazione lessicale ma per ritrovare nei termini stessi momenti della mia gioventù e, più ancora, della mia adolescenza vissuta nel popolare quartiere di abbasciammare.
Anche le differenze di pronuncia tra gli abitanti dei diversi quartieri (quelli di abbasciamare e quelli di ncapatorre o quelli di ncoppaddanuie) e tra la lingua torrese e quella napoletana mi affascina per le sottili differenze esistenti. Una sera andavo in treno da Genova a Chiavari. A Brignole salirono due giovani soldati di marina, che parlavano tra di loro ma senza marcato accento regionale. Una volta sistematisi ripresero a parlare dei fatti loro e, evidentemente in viaggio di licenza, già pregustando il ritorno a casa, abbandonarono la lingua per gli stranieri, rituffandosi nella parlata casalinga. Bastarono poche frasi, senza alcun riferimento alla loro destinazione e, con vero piacere, sentii odore di libeccio di vasciammare e chiesi loro se fossero di Torre del Greco. Mi risposero affermativamente, non senza un minimo di sorpresa, ed io non svelai l’indizio che mi aveva messo sulla strada giusta. Si trattava della pronuncia della vocale “i”.
Il torrese si sofferma nella pronuncia della “i”, facendola precedere da un suono muto, inarticolato, simile alla (e) muta di finale di sillabe napoletane. La parola marina, in lingua nostra diventa mar-ina. Gli amici universitari napoletani battezzarono un mio caro amico “mar-ina” per il suo modo di pronunciare mannaggia a mar-ina. La stessa particolarità, una sospensione sulla consonante prima di pronunciare la vocale della sillaba, si ritrova spesso anche per le altre vocali pur se in maniera meno evidente.
Ma questa particolarità della lingua torrese è una delle tante che ci differenziano dal napoletano anche se, nell’ambito della pronuncia, esistono differenze caratterizzanti anche i diversi quartieri napoletani. Si pensi alla pronuncia della “a” che in alcuni quartieri napoletani diventa quasi una “o”. Confronta la bella parlata dell’attrice Nina De Padova in “Napoli Milionaria” di Eduardo, nella edizione trasmessa alla televisione.
Altre differenze sono legate alla diversa evoluzione linguistica delle parlate campane. L’articolo “il” a Napoli diventa “o”, plurale “e”, con derivazione da “lo”. A Torre “u” , plurale “i”, proveniente dal più antico “lu”.
A Torre Annunziata la “o” diventa “ao”. Nei derby tra la Turris e il Savoia si sentiva l’incitamento nunziatese all’attaccante di nome Ercole: Ercolì tira ‘npaorta.
Una caratteristica di tutte le lingue meridionali è, poi, quella di leggere spesso la “c” dolce come “sc”, anche nella parlata in italiano. Pertanto ciappa diventa sciappa, ciuciù diventa sciusciù ecc.

 La discendenza.
Il Napoletano è senza dubbio da ritenersi Lingua e non Dialetto per la sua discendeza diretta da lingue antiche e per non essere trasformazione locale della lingua italiana.
La matrice della lingua italiana è originariamente latina, con successive aggregazioni etrusche e provenzali. Nasce così il toscano che, per la felice presenza di poeti e scrittori avrà tale diffusione nella penisola da essere accettata quale idioma comune e quindi lingua italiana.
Il napoletano invece ha la sua ascendenza nella lingua greca dei fondatori della città. Il popolo campano subirà nel tempo e per secoli l’influenza della dominazione anche linguistica dei latini, arricchendo e variando il proprio idioma, indipendentemente dall’evoluzione parallela delle altre lingue che andavano evolvendosi ed affermandosi nella penisola.
In sostanza il vitigno è greco e l’innesto latino.

 Particolarità e trasformazioni.
Nel processo evolutivo della Lingua si sono avute delle modificazioni consonantiche e vocali caratteristiche. Di seguito ne riporto alcune:
nd > nn. Mundus che si trasforma in munno. Quando in quanno. Tondo in tunno. Fundus in funno. mb > mm. Piombo in chiummo.
pl > ch. (pronuncia come in
chiamare). Ancora piombo in chiummo. Planta in chianta, plana in chiana plus in chiù e plenum in chino.
Senza avventurarsi nell’affascinante complessità della grammatica napoletana, una caratteristica della Lingua Napoletana è la

 costruzione del femminile, ottenuto con variazione interna della parola e non mediante la variazione vocalica finale, cioè con la declinazione:
             masch. o caruso, femm. a carosa.
             masch. o mpiso, femm. a mpesa.
             masch. azzeccuso, femm. azzeccosa.
e del plurale, ottenuto mediante il raddoppio della consonante iniziale:
             sing. a mappata; pl. i mmappate.
             sing. a capera; pl. i ccapere.
oppure con variazione vocalica interna:
             sing. o muntone, pl. i muntuni.

Etimologia.
Per quanto attiene all’etimologia delle parole della Lingua Napoletana, scontata la derivazione sostanziale dal greco e, successivamente, dal latino, possiamo riscontrare la presenza di termini derivanti da lingue diverse, per l’influsso di dominazioni o di rapporti commerciali.
La storia di Napoli e del meridione della penisola è ricca di influenze di quasi tutti i popoli del Mediterraneo.
Cuma e successivamente Neapolis furono colonie fondate dai greci che lasciarono alla lingua napoletana parole e locuzioni arrivate fino ai nostri giorni.
             cerasa > gr. κέρασος = ciliegia;
             làgana > gr. λάγαnα = pasta lavorata al matterello;
             sperlonga > gr. σπέλλυγγα = piatto ovale;
             cresommola: > gr. κρύσομηλον =frutto d’oro.
             càntaro: > gr. κανθαρος = vaso di terracotta.
Poi Napoli passò sotto il controllo dei sanniti e successivamente dei latini che modificarono sostanzialmente la parlata indigena e posero le basi per la lingua napoletana, così come avverrà per la lingua toscana e di altre regioni dell’Europa.
             spòrta >lat. sporta = cesta
             mesale¶ > lat. mensale = tovaglia da tavola;
             abbunato > lat. bonatus = privo di malizia, quasi scemo.
             precoca > lat. praecoca = pesca gialla;
             menuzzaglia > lat. minutus =cosa minuta, di nessun valore
Anche gli arabi, pur senza presenza stabile in Campania, ma per rapporti di interscambio e per la presenza in Sicilia, hanno lasciato alla Lingua Napoletana testimonianze linguistiche.
             cannàcca >dall'arabo 'kannaaka' = collana di perle.
In seguito arrivano i normanno-svevi (tedesco). Poi gli angioni con le influenze francesi.
Seguono gli aragonesi:
             giarro > aragonese 'giarra' = brocca;
Poi gli spagnoli:
             valanza¶ >catalano “balanza” = bilancia;
E ancora i francesi:
             buatta > francese “boite”= barattolo
             cefunniéra > francese chiffonnière = stipo a cassetti;
             tuppo > francese toupet = nodo dei capelli.
Per non parlare degli americani:
             sciuscià > americano shoe shine = lustrascarpe.

 La pronuncia.
Poche regole sono sufficienti per la corretta lettura della Lingua Napoletana. Non riesco a capacitarmi perché ci si ostini a scrivere parole tronche con doppie consonanti (sasicc’) finali oppure con “c” (pàppec’) senza vocale finale che non si riesce a capire se si tratta di una k o di una c dolce, oppure parole piene di apostrofi per documentare le perdite subite lungo strada (‘mperetta’). Oggi che le lingue straniere si insegnano anche ai bambini delle scuole elementari, lingue per le quali la grafia spesso non corrisponde alla nostra consueta pronuncia, dovrebbe essere molto semplice definire alcune regolette di lettura del napoletano, quali le seguenti.
Generalmente la vocale “e” delle sillabe non accentate è muta . Lo stesso dicasi della “o” in fine di parola:
f(e)rr(e)ttin(o).
La sillaba “re” finale dell’infinito dei verbi è muta:
cuffia(re) e, pertanto, la parola risulta, alla pronuncia, accentata come cuffià.
Gli insiemi consonantici formati da “n” o “m” più altra consonante, come “nc”, “nt” “mp” ecc. iniziali di parole sono indice di aferesi, cioè della perdita di sillaba o vocale iniziale. Saputo ciò, ritengo inutile apostrofare la parola all’inizio;
ncasare, nfonnere, ngallare, ntaliarse, mparare, mpepata ecc. sono termini comprensibili anche senza l’apostrofo.
Non sono in grado di esaminare tutte le particolarità della nostra lingua né lo scopo di queste note è quello di una trattazione scientifica dell’argomento. Ho voluto soltanto riportare qualche esempio a parziale giustificazione di quanto esposto nella raccolta di parole in argomento.
Una considerazione finale, a mia discolpa. Si tratta di un passatiempo costruito per il desiderio di sentire l’aria di casa. Per questo motivo ho spesso adottato termini vocalici e pronuncia delle parole alla maniera torrese e non napoletana.