DISAMARO
di Clelia Sorrentino
Ellemme editore - Napoli, aprile 1989
(per gentile concessione dell'autrice)
... mi rendo sempre più conto che nell’amore non si è in due, bensì
in quattro». Queste parole di Freud spalancano le porte alla
comprensione del trasferimento nel vissuto amoroso della duplicità
della nostra natura sessuale. Ma ancor prima di Freud gli artisti ogni
giorno, vivono e sentono nell’atto creativo tale verità. Clelia
Sorrentino con Disamaro, vero e proprio romanzo più che un
insieme di racconti staccati, unicurn narrativo di un disadattamento che
investe personaggi e città, va più in là. Con "scandaloso
coraggio" svela come la stessa proiezione del nostro doppio erotico
non si esaurisca nello stereotipo del maschile e del femminile, ma
reciti in maniera ironica e straziante le complessualità speculari
proprie di ogni ruolo.
Docezza, vieni / prendimi, pervadimi / annullami / scioglimi da tensioni
e passioni / non vi sia parte di me / che tu non abbia esplorato /
rendimi fluido / come quando / oscillavo nei protettivi / rosei liquidi
amniotici.
Cap. I
Eran secoli che non accadeva. Batto le mani invasato,
immerso nella folla che mi pesta, ma quasi non la sento. Sopra il palco
cosce di alabastro, grazie moltiplicate, ingigantite dal fatto che sto
di sotto. Neppure gli amori più folli mi hanno graffiato con questo
schianto subitaneo, questo rimescolio folgorante. Interesse senza fondo
per un corpo che solo il violento impatto delle carni può procurare. Il
fatto che dopo lo stallo oggetto dello sconvolgimento sia uno scatenato
mattatore che riempie di sé il palcoscenico e non la solita anemica
ballerina, almeno per il momento non mi procura alcun senso di colpa.
Eppure sono stato uno da battaglie, da palestre, io. Basta chiedere nel
mio paese, al Circolo, dove sanno tutto di tutti. Io Giuseppe Cacace
Cassiodoro ero soprannominato. La fama delle mie prodezze ancora circola
nell’ambiente della marina ove son nato. A causa di dure astinenze da
mare non è difficile ottenere emozionanti favori, rubare confidenze
indiscrete a spose vogliose, incontinenti o ninfomani. Corpi in delirio
ti si attaccano come mignatte. Questa è stata vita, gioventù. Poi
dubbi, stratagemmi, un rituale in cui semplici pruriti vengono spacciati
per amore. Piagnistei, richieste. Femmine prezzolate. Mezzecalzette, ciucciuvettole. Un paio di volte il portafoglio svuotato. Il pericolo. E
quella volta che quasi ci rimanevo. Rinchiuso nell’armadio. La puzza
della naftalina. D’altronde le trasgressioni sono state sempre il mio
forte. Come da piccolino, scappato di casa per una punizione, poi
incapsulato nel bel mezzo di un branco di pecore. E quelle stringevano e
il pastore zufolava... Tutta quella lana, il calore, il fetore.
Infine, anni bui, ottusi, il sesso ridotto a ginnastica più
conformistica del celibato coatto. Il cinismo. Stare al gioco. Fingere
di credere. Pagare. Alla fine la rinuncia totale: - Non me lo ha
ordinato il medico. Poche spinte, sempre la stessa solfa. I dubbi: sono,
non sono, ero, forse non più. - Dottore, manca il movente, 1’entusiasmo;
colpa degli anni? Vero, ho esagerato col fumo, coll’alcool. Vita
sregolata. Ma a parte la fiacca nel settore, fisico e mente ancora
funzionano. Reagisco, scatto. Al volante sono un dio, non mi tien dietro
nessuno. «La Freccia del Golfo» mi chiamano a Capri, ad Ischia, dove
sono di casa. Nel commercio, nell’imprenditoria poi, ho fatto mangiar
polvere a tutti. Rapidità di intuizioni, capacità di aggirare gli
ostacoli. Si sa come vanno queste cose: sapersi mantenere le amicizie
che contano, l’assessore, perché no? Il Sindaco. Io ti lavo una mano
a te, tu fai un favore a me. Il tallone d’Achille. Fotterli su quello.
Magari poi con le gambe sotto il tavolo: grandi abbuffate, vino Gragnano
a gogò. Comincia come un gioco il lavoro, poi ti prende tutto. Non ti
lascia tempo per gli amici, per la stessa famiglia. Fare soldi,
arrivare. Essere rispettato, temuto. E' d’obbligo da noi, sennò sei
fesso.
E stasera al San Carlo, Nunziata imbellettata al mio fianco, fritta e
rifritta, con tutti i suoi ori e brillanti bene in mostra, all’improvviso
la rivelazione: miracolo, che grazia, che charme: quei corpi che
grondano argento. Alternano dissacranti tanghi argentini ai mistici
motivi di Johann Sebastian Bach. Amore e morte, l’eterno richiamo
nella vita e nella finzione scenica. Prorompono, mi frugano fin dentro l’intimo
nella voce ancestrale - fuori campo - come osserva la mia acculturata
metà. Mi da i brividi questo alito di morte, presagio di amore totale,
violento, sino all’ultimo spasimo.
Dandosi cosi follemente alla danza, non può essere da meno nella vita.
Che mi si stia aprendo una nuova stagione? L’ultima forse? Accetto la
sfida. Sono a un bivio. Cosi non ha più senso: - Diavolo di un Béjart
e dei suoi ballerini!
- Vacci e vedrai. - E io che non volevo crederci. Danzatrici scialbe,
sciatte: schiere di Nunziate al confronto di bruni arcangeli. Ed
eccezionale fra tutti, lui: espressione della perfezione e con qualcosa
in più che nessuna donna possiede. Forse era questo che cercavo...
Forza che travalica i limiti. Rasentare 1’impossibile: penetrare,
sfondare, entrarci dentro. Brucio. Da vicino lo voglio fissare, toccare,
palpeggiare. Dalla terza fila ove son seduto, un varco fin sotto il
palcoscenico. Mi faccio largo, urto decine di spettatori come me
invasati a claccheggiare. Le Nunziate un peso al collo. Private della
nostra attenzione, le scassambrelle reclamano diritti ammuffiti,
azzardano sentenze cazzeggiando. Che ne sanno loro di questa cosa grande
che mi rugge dentro. Sono redivivo. Inchiodato a queste cosce sode,
brunite, mosse da vivacità scatenante, a bruni riccioli da furetto,
scompigliati, ai lampi iridescenti, come da belva che saetta la foresta.
E la cretina filosofeggia. Vuole spiegarmi il significato profondo dello
spettacolo. |
La scrittrice negli anni 70
Non riuscendovi a parole, la scassacazzi non esita a richiamare su
di sé la mia attenzione distratta. Gira brutalmente con la mano la mia
faccia verso di lei. Quando fa così mi
manda in bestia. Mi difendo mollandole una pedata. E poi piagnucolano
quelle scalmanate di femministe... la violenza. Ma la violenza delle
donne? Ci hanno spogliato di tutto, si intromettono, ci rubano le idee,
si installano ai nostri posti di potere, ci svuotano, poi pretendono
ancora attenzione, galanteria, sesso. Tutto gli è dovuto a queste qua.
Vagamente parla di iscriversi ad un movimento di sole donne. Chi la
tiene più. Dice per prendere coscienza di sé, per lavorare per il
benessere della città. La possino! E comodo, quando si tiene un fesso
per mantenerla, lavorare gratis per gli altri. La gonza si realizza
cosi. Affili piuttosto le armi per tenersi buono il marito. Non immagina
neppure come mi sento io in questo momento. Se non fossi nascosto dalla
folla non ci farei certo una figura decente. - Troglodita! - si indigno,
quando alla tivù locale che voleva conoscere la mia opinione sull’intrufolarsi
della donna nella vita pubblica, alla prima edizione della Giornata
della Donna, dichiarai papale papale senza peli sulla lingua che a parte
il fatto che il tempio della donna e la casa, avrei preferito la Festa
della Femmina di cui si sta estinguendo la razza. Mi accusa di aver
umiliato la categoria dinanzi a centinaia di persone. Certamente è colpa
sua se accanto a lei (che femmina è che non si accorge di niente) sono
qui a desiderare un uomo. A guardarmelo di sotto in su come a volte
rilassato su di un prato da un vecchio albero, un tronco contorto, si
configura una figura tormentata stagliata contro il cielo, ogni ramo
scoperto una arteria che pulsa, ogni nodo un particolare dell’immaginario.
Lo volete capire, donne, che le elucubrazioni, i giochetti cui ci
sottoponete ci stressano, ci castrano? Al mio paese c’è il sacrosanto
detto che l’amore, tanto per usare un eufemismo non vuole pensieri.
E siamo furbi. Non gliene diamo di preoccupazioni. E noi che razza di
uomini siamo a farci mettere sotto. Rivoltiamoci. Facciamo una lega.
Facciamogliela vedere come se la caverebbero senza. Uno si deve far
desiderare. Questo il segreto del successo con queste femmine da
strapazzo.
Io l’ho applicata sempre la regoletta d’oro. Mi era anche
congeniale. Diciamo il vero, specie nella maturità. Man mano che la
voglia scema. E cosi che non te le togli più dalle costole le tapine.
Sono masochiste. Glielo devi far sospirare, spandicare.
E loro a chiedersi cervelloticamente perché. Come se ci fosse un
perché del profondo. Ti sei scocciato e basta. Non ti piace più. Tutte
uguali e non solo a Napoli dove è risaputo, non difetta la fantasia.
Peggio con le straniere. Pronte a spalancarti le cosce senza sapere che
l’ammore se fa ca capa. Zoccolette da cui devi sorbirti pure la
monotonia dell’accento. Meno male, ho dato retta alla buonanima di
mamma - Moglie e buoi dei paesi tuoi - Per i buoi ho qualche dubbio.
Sembra che le vacche svizzere siano migliori. In quanto a Nunziata la
conoscevo da bambina. Quella, occhi umidi come Fido il nostro bulldog,
ti si appiccica alle calcagna. E' come la moglie di Cesare: al di sopra
di ogni sospetto. Solo troppo santa, perfezionista, critica, antica. Ti
fa passare ogni voglia: mai un guizzo, uno sprazzo, per la miseria!
I motivi sempre identici: la ripetitività, la leziosaggine femminile,
la noia. -Sei un romantico? L’uccellino, i fiori, il nostro motivo.
Balliamo? Dio come ti amo, ti piace, sono bella, mi fai male, mi sciupi
la veste, fammi le coccole, ancora, dimmi che mi vuoi bene, come sei
bravo, giurami che non mi lascerai. Ti prenderai cura di me? Che fai,
leggi? Senti la radio? Poi la fregatura. Complici le famiglie ti
piombano addosso a incastrarti. Pretendono di farsi mantenere a vita.
Ti scodellano eredi famelici. Ti perseguitano col ricatto: «T’aggio
dato ’a vita mia», «Ero un fiore», «Ti sei approfittato di me»,
«Mi hai brutalizzata». Ti fanno sentire uno sfaccimmo. Come fossi tu
solo il fetente. E invece sono proprio loro che ti riducono una
chiavica.
E cosi che non ne tocco più una, Nunziatina compresa. Oramai si è
rassegnata. Al principio dava i numeri. Sacchetti e fantocci di paglia
legati a qualche oggetto personale ammucchiati sul mio comodino. Maghi e
fattucchiere e infusi, tisane, impiastri di erbe misteriose. Fingevo di
compiacerla. Fastidio e indifferenza per tali ed altre manipolazioni:
seni e cosce occhieggianti da trasparenze oscure, carezze maldestre,
patetici «non ti piaccio più? Tieni un’altra? E' giovane?». Ora pastrocchia di aver quasi trovato la sua dimensione, una sua identità.
Amen. Dopo aver mandato a farsi fottere la mia.
Ma stasera finalmente una scintilla. L’arcangelo mi ride. Ha notato le
mie attenzioni, i battimani infocati, i miei bravoooooooo a voce piena.
Gli ho lanciato il mio garofano di gala... Una tastiera di avorio
scintillante, sfoderata con impudenza ha moltiplicato il suo riso per
mille, per diecimila, dileguandosi insieme agli ultimi echi del trionfo
dietro le quinte. Con il sipario non è calata la speranza. Straripante,
ebbro, abbraccio Annunziata stupefatta in una giravolta. Domani c’è la
replica. Perché no? Tornerò da solo. O la va o la spacca. «Vieni Nunziatina bella, mia dolce, andiamo. Domani si fatica assai. Domani
faccio ’a nuttata», la blandisco.
Rimiro soddisfatto la mia immagine riflessa dagli specchi. Niente male.
Tutto abbronzato, appena brizzolato, fortemente profumato, forse un
tantinello azzimato canticchio. Ripeto quanto blatera Nunziata di
me. Ma quella va cercando proprio il pelo nell’uovo. - Il fazzoletto
nel taschino troppo ostentato, la camicia aperta fin quasi all’ombelico,
non così aderenti i pantaloni, si vede il bozzo, alla tua età non te lo
puoi permettere, il profumo va usato con discrezione. Che sia gelosa del
mio successo. Mio padre diceva che le donne insoddisfatte ragionano con
l’utero. Un giorno o l’altro mi dovrò decidere. Le donne, che
croce, le donne.
Fine del Primo Capitolo
Il romanzo completo è composto da sei capitoli.
Rivolgersi all’autrice. |