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La
narrativa torrese di Clelia Sorrentino Un prolifico narratore torrese, (dieci libri
nell'ultimo decennio), per riscoprire, confrontarsi, sognare,
trasgredire; quindi il deliquio della catarsi. Mille risvolti di una
sensualità sacrale senza nomi né volti, quasi mai appagata perché mai
interiormente ben definita, trascendente e carnale insieme come
l'antitesi-uomo, cioè la sua perpetua contraddizione, nell'ansima
dell'insoluto esistenziale, con le conseguenti reazioni, diversificate e
contrapposte, ancor più grevi nella plaga vesuviana,
dall'annichilimento mistico alla criminalità. |
Clelia esalta è
sottolinea la trasfigurazione e il trasognamento, il vago e il diafano
lirico, concretizzandoli nei dualismi: pregio e difetto, equilibrio e
nevrosi, gioia e dolore dei suoi personaggi campani, tutto dipanato
dalla consapevolezza inconscia o manifesta dell'universale destino di
mortali. Coscienza spesso scongiurata con esplosioni pirotecniche
dell'umore, talvolta presa dall'ansia collettiva di custodire e
difendere la vita-attimo e riporla in un covo uterino di fortuna,
assumendo per abitudine, giocoforza, l'unica panacea: il caratteriale
collettivo tradizionale stesso della "razza" vesuviana. Napoletanità, però, inquinata dall'ingerenza delle attuali problematiche
epocali pregne di edonismo e pragmatismo, ritratte una per una nelle
pareti domestiche delle case vesuviane, nell'entità individuale, nella
solitudine del benessere materiale totale che mai appaga, negli
incrinati, squallidi rapporti interdomestici, nelle lotte fraterne, ai
piedi del dio-danaro, nell' asservimento al potere e nelle connivenze
sistematicamente consolidate in tutto il tessuto sociale, talvolta
fino al clero. |