Clelia Sorrentino

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ALLA RICERCA
DELL'ISOLA
PERDUTA

di Clelia Sorrentino
Oxiana Edizioni - Grumo Nevano 1998
Per gentile concessione dell'autrice

Letteratura come desiderio

Clelia Sorrentino, in questi racconti brevi talvolta folgoranti, conferma in pieno le doti di narratrice scaltra e insieme spontanea, manifestate in prove solo in apparenza più ampie e articolate. Sappiamo, infatti, bene quanto sia arduo contenere l’incontenibile e dire, talvolta, l’indicibile in uno spazio e in un tempo di breve durata; l’abilità l’acutezza, in tal caso, consiste proprio nella capacità di concentrare e insieme di dilatare quello spazio e quel tempo in una dimensione che da essenziale si propone come esemplare.
E qual è il significato e il valore della metafora e della realtà dell’ "isola" se non questo? La necessità, 1’urgenza di raccogliere i frammenti della propria esistenza per proiettarli su uno schermo realisticamente surreale, nel quale essi possano ritrovare la ragione e, soprattutto, la non ragione di una deriva, alla quale l’isola fa da approdo, si badi bene, ancora una volta precario e provvisorio. Come la scrittura, del resto, a cui è demandato il compito di registrare e sublimare i nostri naufragi, nella speranza che qualcosa di noi pulsi e trapassi nel battito e nel sangue del mondo.
Questi racconti, come del resto tutte le opere della Sorrentino, mirano a ricomporre un immagine di se stessa, di una femminilità
nata per dare vita a un sogno è chiamata invece a doversi difendere dai troppi attentati a quel sogno, a quel miraggio, a quel mistero. L’isola, che gli occhi, soprattutto interiori, invaghiti di inquietudine, scoprono, è la terra promessa dal desiderio di una vita autentica, assolutamente vera. Riemerge la solforosa (non si può dimenticare che Clelia Sorrentino è nata a Pozzuoli, una delle patrie del nostro zolfo) rivolta contro una società falsa e ipocrita, ricca di finzioni e povera di realtà, che costringe alla periferia coloro che sono l’ombelico del mondo: i cosiddetti puri di cuore, tra questi i barboni, gli scrittori, che non hanno il successo che meritano per una società di apparato e di mercato stupidamente dittatoriale nel determinare gusti e scelte. Ma l’elenco può tranquillamente estendersi ai cosiddetti diversi oppure a quelle normalissime persone, che invocano un’isola in cui rappresentare per intero la loro felicità, la loro malinconia, il loro delirio e disagio della vita. Lo spettro della morte, sempre incombente, funge da sublime contraltare alle meschine sopravvivenze di un mondo avviato ad una tragica decomposizione.
Ma resta la scrittura la indiscussa regina di un’insula, da aggirare e da penetrare nei suoi anfratti più
evidenti e segreti, nella geografia e nell’antropologia di un quotidiano, attraversato come sfida e avventura, come smacco splendido e trascurato ai luoghi comuni, a quel turismo dell’anima a cui la stessa letteratura sacrifica spesso la serena serietà delle sue parole. In questi racconti si vuole reagire soprattutto all’oso ed abuso di vite, di storie, da ri-creare dal di dentro, per evitare che smarriscano il poetico profumo della prima volta. L’isola torna, in tal senso, nello spirito di un’idea solo in apparenza decadente, ad essere 1’alba del mondo, la monade da cui partire e a cui approdare per scoprire ogni giorno un nuovo luogo della fantasia e della storia, dell’invenzione e della verità, sino a quel verosimile traumaticamente paradossale e grottesco, che rappresenta la cifra vincente di questa scrittrice, cosi reale e surreale insieme e, in tal senso, così poco assimilabile a riconosciute o riconoscibili tradizioni e correnti.
Una zingara della letteratura, insomma, che vive e tutto intero il deserto e il desiderio di questo nostro tempo, che invoca una sacralità nuova nella
quale immergere la penna, bagnata di salsedine, delle proprie naturalissime pulsioni.
Nuovo o rinnovato patto tra culture e nature, destinato in parte a smarrirsi nell’utopia di un mondo migliore ma anche a ritrovarsi nella fede in un’umanità, libertà dalla violenza e dal cinismo e ricondotta ai termini infiniti di una creazione tenacemente in atto. Mentre lo zolfo continua ad emanare i suoi soffioni, vulcani tacciono o esplodono ciclicamente, ricordando al mondo che la ragione non può
tutto contro le viscere del caso, del mistero, qualche volta, del miracolo. E un miracolo naturale e talvolta la scrittura della Sorrentino in una splendida e sinfonica pagina in cui metaforicamente scandisce le partiture dell’eros, in molte altre ancora, in cui la simulazione della gioia e del dolore acquista o, meglio, conquista una densità mentale e sentimentale di estremo rilievo, tra splendori ed immondizie, tra eleganze e rigatterie, tra corti e mercati delle pulci di una parola nobile e popolana, sontuosa e sciatta, volutamente, quando deve assecondare i gradi di una società e di una verità, che vogliono essere raccontate come sono, senza fronzoli e senza lustrini, perché possano respirare far respirare tutto il profumo e tutta la puzza del mondo, nell’acqua lustrale e torbida di un benedetto e maledetto atto d’amore.

                                         Francesco D’Episcopo

L’ultima spiaggia

Caro Vito, sono toccato dalla rara sensibilità con cui partecipi al mio dolore. Il tuo scritto mi ha fatto del bene. Meraviglioso e confortante come sempre. Tu conoscevi Michele. Come tutti eri conquistato dalla sua dolcezza, dalla sua tolleranza.... La tua lettera m’arriva come sprazzo nella desolazione totale.
Capisci? Non risuona più la voce di mia madre, padrona e governante di questa casa enorme. Cosa fare ora della vita? Un’enorme libertà e il.... vuoto di un amore totale che mi si consumava e si trasfigurava sotto gli occhi di ora in ora in orrore. Quale desolazione la malattia, la morte! Non ne posso più delle enormità. Parlo delle città, delle case, delle passioni. Vito, che fatica e quali complicazioni provocano il vivere frustrazioni e condizionamenti nella loro grandezza e nella loro caducità.
Non sai come e cosa scegliere in tanta abbondanza, non ti ritrovi, ti perdi. E poi non riesco a gestirmi da solo se sono io l’unico padrone di me stesso.
Che senso ha, cosa faccio di questa vita falsa, impacchettata, spaventosa?

Accolgo il tuo invito, Vito.
Proverò a ridimensionarmi nella semplicità di un’isola, io ex cittadino alla grande di un mondo incallito. Forse ho bisogno di raccogliere i miei rottami, forse mi farà bene mettere ordine mentale su di essi e su quanto mi rimane. Ne avrò finalmente il tempo. Sempre che, da generoso, tu sia ancora disposto a raccattare questo vecchio naufrago amico.
Mi ancorerò da te a primavera, quando 1’isola e più vera, ancora non invasa dalle vacanziere anime vaganti che la contaminano e che elettrizzano qualsiasi luogo dell’anima mutandone i connotati.
In attesa di fare pulizia in me stesso, ciondolo, traccheggio, tento di mettere ordine nelle cose prima che nel mio cuore.
Dio di quante cianfrusaglie ci attorniamo, maniaci di drappeggi, di fronzoli, contenitori e cremine!
Che dire delle petulanti montagne cartacee, atti che si accumulano a sancire minuziosamente la nostra esistenza su questa terra sin dalla venuta al mondo? Spie dei minimi mutamenti della nostra vita patrimoniale e affettiva, opportunamente bollate, ci accompagnano sino alla morte.
Colmo di ironia! L’ultimo plico è giunto stamane per la Signora Michela Stella (che non è più di questa terra). Era un invito bancario della nostra più prestigiosa banca a non rinunciare alle vantaggiose sue opportunità d’investimento in obbligazioni. Le illusioni!... Mirare al futuro, capisci? Come se Michela avesse un futuro, come se noi stessi avessimo un futuro. Aspettami, Vito mio caro. Presto ti raggiungerò sull’ultima spiaggia, si, su quella caletta corallina che io dicevo rosa e tu e gli isolani denominate Calazzurra, quel lembo di paradiso dove persino il fango è prezioso. Più ti ci invischi e ci razzoli dentro più ti rigenera. Sortisci da quel bagno di terra - mare - sole, schiarito nella mente e nel corpo, purificato, rinato. Dimentichi il mondo e le pratiche lorde; i colpi bassi ed i brusii sono tanto, tanto lontani. Ti abbraccia il tuo Marco.

UN BRUTTO SOGNO

D’improvviso si ritrovo fuori sul pianerottolo, la porta chiusa alle sue spalle e senza chiave per riaprirla.
Le tremavano le gambe, il viso sbiancato mentre tentava di riordinare le idee sul da farsi.
Raggiunse solo la conclusione che era estremamente disdicevole stare li seminuda sulle scale.
Fra 1’altro era notte fonda e non poteva di certo recarsi dal fabbro in quelle condizioni per far rompere la serratura, né possedeva un grimaldello.
Se anche poi lo avesse avuto non sarebbe stata tanto previdente da portarlo con sé.
Si limito quindi ad accoccolarsi su di un gradino. Senti sbatacchiare altre porte e si rese conto che qualcuno si ritirava salendo dall’ascensore e che qualcun’altro scendeva dal piano superiore. Mormoro un - "sera" - cercando di renderlo fra i più disinvolti del suo vasto repertorio, all’inquilino della porta adiacente alla sua che rientrava, un essere tracagnotto, tanto ridicolo e mammone da essere preso per i fondelli dall’intero condominio. Costui, compresa la situazione nella quale la povera signorina si trovava, la invita, protettivo, a favorire in casa sua.
Lei lo ringraziò di cuore e si affrettò a ripararvi, poiché proprio in quel momento scendeva le scale l’Agnese con il suo carico di spazzatura da gettar via e si sentiva perduta. Fra l’altro aveva cuore e piedi di ghiaccio e tossiva da far pietà.
Dopo averle offerto un whisky per il raffreddore, cominciò a massaggiarla e a tastarla con quelle sue manacce pelose. Non abituata all’alcool, lei si sentiva

Possessione

L’avevo detto io che quel cane aveva qualcosa di strano.
Che so io. Forse perché il suo sguardo era umido e umano, forse perché la sua maniera di sogguardare le donne e di comportarsi con loro guaendo e scodinzolando era, come dire, tutt’altro che fraterna. E mia moglie, invece di fare quelle cose che sono in dovere di fare tutte le mogli, cioè di assecondare il marito, invece di scacciarlo mentre parlavamo o eravamo assieme, faceva di tutto per ingelosirmi. Appena lo vedeva, interrompeva ogni discorso e le più tenere effusioni erano dedicate a lui, il cane.
Quando la sentivo che invitava: -Amore, vieni su da me- e roba del genere, sapevo e dovevo sopportare che fosse lui il destinatario di simili smancerie.
Per due anni, notate bene, due lunghissimi anni, ho tollerato tale andazzo per il quieto vivere.
Ho persino offerto le vacanze a lei e a quello scroccone di un animale.
Insomma, da che pareva volermi solamente ingelosire, la provocatrice ci aveva preso gusto a trascurarmi sempre più e a servirsi di me quando le serviva qualcosa e soprattutto per spillarmi soldi, sempre soldi, manco fossi un nababbo.
Poi, aspetta-aspetta, una notte Anna non è rientrata e fra noi due, lo giuro, il più preoccupato e angosciato, era lui, il cane. Passeggiava su e giù, nervoso per la casa, paranoicamente muovendo la coda. Sembrava un leone in gabbia. Anche dopo che fui andato a letto lo sentii che raspava e camminava inquieto nel cigolio caratteristico del parquet di legno.
Al mattino una violenta scampanellata mi distoglie dal sonno: è Anna.
Appena in casa, senza neanche togliersi cappello e cappotto, mi chiede del cane.
Sto per risponderle che quello sta bene, crepa di salute, quando eccola che compare la bestiaccia con un coltellaccio in bocca!
Evidentemente stava tagliando il pane - mi dico - e invece, sapete cosa fa quel fesso?
Accoltella mia moglie, proprio li, davanti a me; delitto passionale, come lo chiamate voi, che poi non ne vale neppure la pena, essendo la fedifraga bassina, grassottella, per spiegarci meglio per niente bona; mi scusi certi dettagli, sa ....
Ma, commissario, perché mi guarda torvo, ehi, perché voi due mi ammanettate, mi trascinate via, verso questo muraglione grigio e opprimente?
Io qui a marcire in gattabuia senza più visioni d’azzurro né mi dardeggia quel sole, né mi abbaglia quella luce, penetranti oramai solo da fessure, da spiragli.
Intanto il colpevole si inebria di liberta nell’isola della libertà

Fine terzo racconto
Il romanzo completo è composto
di quarantaquattro racconti
Rivolgersi all’autrice.