La Torre di Bassano e le sue sorelle - Pag. 3


 

Torre del Greco:
torre di Bassano

 


Le torri vicereali:
analisi architettonica
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La definizione del progetto esecutivo del piano del Ribera si imbatte, certamente, nel problema preliminare concernente l’elaborazione e quindi l’adozione di un modulo base di torre-caposaldo, dai requisiti principali di solidità, flessibilità d’impiego ed economicità. Da questo archetipo standard sarebbe derivata l’intera gamma di varianti tipologiche per la calibrata correlazione territoriale. La procedura per una linea di semplice avvistamento costiero e di collegamento semaforico si confermerebbe assolutamente superflua bastando in tal caso un unico modello di torretta e, forse, nemmeno quello potendosi insediare efficienti vedette sulle alture o sui campanili dei tanti centri rivieraschi.
Le tradizionali configurazioni planimetriche delle torri costiere sono riconducibili eminentemente a due categorie, ovvero quella circolare e quella quadrata: la predilezione accordata in età moderna all’una o all’altra tradisce precise fruizioni e non sterili compiacenze architettoniche. La torre rotonda, infatti, la più edificata nei secoli precedenti al piano vicereale, in particolare in età angioina ed aragonese, offriva abbinati ad una maggiore semplicità costruttiva, un minor costo nonché una superiore resistenza alle offese ambientali e belliche. Difficilmente vulnerabile per la sua rotondità, capace di deviare un gran numero di colpi e di incassarne senza danni eccessivi i meno violenti scaricando sull’intera massa la sollecitazione d’impatto al pari di un arco, sembrava possedere i requisiti ideali per il gravoso impiego. Per giunta non avendo spigoli esentava dall’adozione di pietre d’angolo, esattamente squadrate e magistralmente ammorsate. A parità di superficie coperta, inoltre, implicava un minor perimetro, ovvero, per identici spessori, una cubatura muraria notevolmente più contenuta. Da un punto di vista militare poteva reputarsi sostanzialmente isotropa e, pertanto, priva di qualsiasi predeterminato orientamento. In definitiva economica, semplice, resistente, e non polarizzata ma, purtroppo, altrettanto notoriamente incongrua all’istallazione dei cannoni, per i quali del resto non era stata progettata, a meno di non ampliarne a dismisura il diametro, il che, quando pure fu attuato, trasformava i menzionati vantaggi in altrettanti difetti. In realtà sulla sua piazza circolare non riusciva del tutto impossibile il maneggio delle artiglierie a patto che fossero limitate ad un unico pezzo, di modeste prestazioni e disposto in senso diametrale, ovvero in coincidenza con la dimensione massima, necessaria per il suo rinculo e per il suo caricamento. Un secondo eventuale cannone, implicando la medesima disposizione, avrebbe finito inevitabilmente per collidere con l’altro, inceppando l’azione. Ma anche nel primo caso il settore di punteria si sarebbe necessariamente dovuto contenere a pochi gradi, poiché il brandeggio del pezzo o lo avrebbe allontanato dalla direzione diametrale, decurtandogli lo spazio posteriore disponibile con intuibili danni al parapetto, o avrebbe costretto al suo riposizionamento con ingentissima perdita di tempo e gravosi sforzi. Assolutamente impraticabili cannoniere in barbetta con settori di tiro contigui e parzialmente sovrapponibili, per cui persino nelle grandi torri tronco coniche idonee all’impiego contemporaneo di una intera batteria, con l’avvicinarsi del bersaglio aumentavano le zone defilate. La piazza in sostanza si riduceva ad una ristretta corsia diametrale: non è casuale che allorquando agli inizi del XIX secolo la Gran Bretagna adottò torri costiere a pianta circolare, note come torri-Martello, le armò con un unico cannone, con la bocca sovrastante il parapetto e con l’affusto corrente su di un sottaffusto montante imperniato al centro

della piazza, capace perciò di ruotare per 360’ al pari di una lancetta d’orologio.
La perfetta isotropia offensiva cosi assicurata non trovava pero nell’impiego anticorsaro una equivalente necessita, essendo la minaccia supposta sempre rigidamente polarizzata. In altri termini, mentre per le torri-Martello si contemplava possibile un investimento da terra ad opera di contingenti militari sbarcati, per le torri vicereali una simile evenienza condotta da predoni appariva assolutamente inconsistente. Pertanto sarebbero occorse se mai strutture a resistenza e configurazione differenziata: mura piene e cieche verso il mare, forate da vani ed includenti servizi, quali scale, latrina e cisterne, verso terra. La torre tronco-conica pertanto non si dimostrò conveniente per il programma vicereale napoletano, pur confermandosi altrove accettabile: del resto non mancano lungo le coste del Regno alquante del genere, ma si tratta di adozioni di preesistenti ritenute in prima istanza integrabili. La pianta quadrata, permetteva di sopperire alle accennate deficienze balistiche, ma implicava oneri e capacità costruttive di gran lunga maggiori. La delicatezza degli spigoli, ad esempio, costringeva all’impiego di pietra da taglio e maestranze in grado di lavorarla, entrambe raramente disponibili in prossimità dei cantieri. Le ingenti cubature obbligavano ad estenuanti trasporti di materiali inerti, in località spesso raggiungibili soltanto da mare. Persino l’acqua per gli impasti, essendo almeno inizialmente vietato l’uso di quella di mare, supponeva difficoltà di reperimento e di approvvigionamento inimmaginabili. La rigidità dell’orientamento inoltre costringeva alla esatta determinazione della fondazione, ovvero alla ricorrente presenza, sin dalle prime fasi dei lavori, dei tecnici preposti con intuibili rischi e difficoltà, senza contare l’esigenza di ampliare i loro organici, già scarsi in condizioni normali.

Gli ingegneri militari italiani (175), infatti, rappresentavano in quel cruciale scorcio storico i più qualificati e, quindi, i più ricercati progettisti e direttori di fortificazioni del mondo, Impero ottomano compreso. L’alta reputazione non era affatto immeritata, confermandosi la loro opera ovunque di acclarata ed aggiornatissima competenza. Particolarmente stimata l’indubbia perizia con la quale adeguavano alle potenzialità offensive e difensive delle artiglierie, dall’intera categoria perfettamente comprese, tali costruzioni. E’ sensato, pertanto, supporre che le torri avviate dal Ribera, non fosse altro che per l’imponenza e la risonanza del piano, anche in fase di definizione archetipale scaturissero da una identica ottica, mirante a consentire l’impianto sulla loro piazza di più cannoni in batteria in perfetta analogia con quanto praticato sui ponti dei vascelli oceanici (176). Inevitabile, perciò, l’adozione della pianta quadrata, in ossequio alla preminenza del ruolo attivo precipuo del manufatto. Da alcuni illustri studiosi è stata sostenuta la tesi che la pianta quadrata, con uno spigolo orientato verso il mare, al di la dei menzionati vantaggi, rendesse la torre assimilabile ad un medievale puntone (177), contro le cui sfuggenti muraglie si sarebbero neutralizzati i colpi degli attaccanti. Cosi ne schematizzava il Guglielmotti le caratteristiche formali: "Dunque torri di figura quadrata, lato di metri dieci, periferia di quaranta, altezza di venti, muraglie grosse di tre e quattro metri; scarpata dal cordone in giù, porta alta sul cordone, scala esterna, e ponte tra la scala e la soglia sui bolzoni. Tre piani a volta: uno pei magazzini, uno per gli alloggiamenti, uno per la batteria. All’interno la scala a chiocciola, piombatoi all’intorno, una colubrina, due petrieri, o pezzi minuti. L’asta della bandiera, il fornello per le fumate e pei fuochi di segnale. Il sagliente al mare, e le facce in isbiego per briccolare le palle nemiche. Il disboscamento in lungo e in
largo intorno


Stampa di Napoli del XVI secolo