Le
torri vicereali:
analisi architettonica
.
La definizione del progetto
esecutivo del piano del Ribera si imbatte, certamente, nel problema
preliminare concernente l’elaborazione e quindi l’adozione di un
modulo base di torre-caposaldo, dai requisiti principali di solidità,
flessibilità d’impiego ed economicità. Da questo archetipo standard
sarebbe derivata l’intera gamma di varianti tipologiche per la calibrata
correlazione territoriale. La procedura per una linea di semplice
avvistamento costiero e di collegamento semaforico si confermerebbe
assolutamente superflua bastando in tal caso un unico modello di torretta
e, forse, nemmeno quello potendosi insediare efficienti vedette sulle
alture o sui campanili dei tanti centri rivieraschi.
Le tradizionali configurazioni planimetriche delle torri costiere sono
riconducibili eminentemente a due categorie, ovvero quella circolare e
quella quadrata: la predilezione accordata in età moderna all’una o
all’altra tradisce precise fruizioni e non sterili compiacenze
architettoniche. La torre rotonda, infatti, la più edificata nei secoli
precedenti al piano vicereale, in particolare in età angioina ed
aragonese, offriva abbinati ad una maggiore semplicità costruttiva, un
minor costo nonché una superiore resistenza alle offese ambientali e
belliche. Difficilmente vulnerabile per la sua rotondità, capace di
deviare un gran numero di colpi e di incassarne senza danni eccessivi i
meno violenti scaricando sull’intera massa la sollecitazione d’impatto
al pari di un arco, sembrava possedere i requisiti ideali per il gravoso
impiego. Per giunta non avendo spigoli esentava dall’adozione di pietre
d’angolo, esattamente squadrate e magistralmente ammorsate. A parità di
superficie coperta, inoltre, implicava un minor perimetro, ovvero, per
identici spessori, una cubatura muraria notevolmente più contenuta. Da un
punto di vista militare poteva reputarsi sostanzialmente isotropa e,
pertanto, priva di qualsiasi predeterminato orientamento. In definitiva
economica, semplice, resistente, e non polarizzata ma, purtroppo,
altrettanto notoriamente incongrua all’istallazione dei cannoni, per i
quali del resto non era stata progettata, a meno di non ampliarne a
dismisura il diametro, il che, quando pure fu attuato, trasformava i
menzionati vantaggi in altrettanti difetti. In realtà sulla sua piazza
circolare non riusciva del tutto impossibile il maneggio delle artiglierie
a patto che fossero limitate ad un unico pezzo, di modeste prestazioni e
disposto in senso diametrale, ovvero in coincidenza con la dimensione
massima, necessaria per il suo rinculo e per il suo caricamento. Un
secondo eventuale cannone, implicando la medesima disposizione, avrebbe
finito inevitabilmente per collidere con l’altro, inceppando l’azione.
Ma anche nel primo caso il settore di punteria si sarebbe necessariamente
dovuto contenere a pochi gradi, poiché il brandeggio del pezzo o lo
avrebbe allontanato dalla direzione diametrale, decurtandogli lo spazio
posteriore disponibile con intuibili danni al parapetto, o avrebbe
costretto al suo riposizionamento con ingentissima perdita di tempo e
gravosi sforzi. Assolutamente impraticabili cannoniere in barbetta con
settori di tiro contigui e parzialmente sovrapponibili, per cui persino
nelle grandi torri tronco coniche idonee all’impiego contemporaneo di
una intera batteria, con l’avvicinarsi del bersaglio aumentavano le
zone defilate. La piazza in sostanza si riduceva ad una ristretta corsia
diametrale: non è casuale che allorquando agli inizi del XIX secolo la
Gran Bretagna adottò torri costiere a pianta circolare, note come
torri-Martello, le armò con un unico cannone, con la bocca sovrastante il
parapetto e con l’affusto corrente su di un sottaffusto montante
imperniato al centro
|
della piazza, capace
perciò di ruotare per 360’ al pari di una lancetta d’orologio.
La perfetta isotropia offensiva cosi assicurata non trovava pero nell’impiego
anticorsaro una equivalente necessita, essendo la minaccia supposta sempre
rigidamente polarizzata. In altri termini, mentre per le torri-Martello
si contemplava possibile un investimento da terra ad opera di contingenti
militari sbarcati, per le torri vicereali una simile evenienza condotta da
predoni appariva assolutamente inconsistente. Pertanto sarebbero occorse
se mai strutture a resistenza e configurazione differenziata: mura piene e
cieche verso il mare, forate da vani ed includenti servizi, quali scale,
latrina e cisterne, verso terra. La torre tronco-conica pertanto non si
dimostrò conveniente per il programma vicereale napoletano, pur
confermandosi altrove accettabile: del resto non mancano lungo le coste
del Regno alquante del genere, ma si tratta di adozioni di preesistenti
ritenute in prima istanza integrabili. La pianta quadrata, permetteva di
sopperire alle accennate deficienze balistiche, ma implicava oneri e
capacità costruttive di gran lunga maggiori. La delicatezza degli spigoli,
ad esempio, costringeva all’impiego di pietra da taglio e maestranze in
grado di lavorarla, entrambe raramente disponibili in prossimità dei
cantieri. Le ingenti cubature obbligavano ad estenuanti trasporti di
materiali inerti, in località spesso raggiungibili soltanto da mare.
Persino l’acqua per gli impasti, essendo almeno inizialmente vietato l’uso
di quella di mare, supponeva difficoltà di reperimento e di approvvigionamento
inimmaginabili. La rigidità dell’orientamento inoltre costringeva
alla esatta determinazione della fondazione, ovvero alla ricorrente
presenza, sin dalle prime fasi dei lavori, dei tecnici preposti con
intuibili rischi e difficoltà, senza contare l’esigenza di ampliare i
loro organici, già scarsi in condizioni normali.
Gli ingegneri militari italiani (175), infatti, rappresentavano in quel
cruciale scorcio storico i più qualificati e, quindi, i più ricercati
progettisti e direttori di fortificazioni del mondo, Impero ottomano
compreso. L’alta reputazione non era affatto immeritata, confermandosi
la loro opera ovunque di acclarata ed aggiornatissima competenza.
Particolarmente stimata l’indubbia perizia con la quale adeguavano alle
potenzialità offensive e difensive delle artiglierie, dall’intera
categoria perfettamente comprese, tali costruzioni. E’ sensato,
pertanto, supporre che le torri avviate dal Ribera, non fosse altro che
per l’imponenza e la risonanza del piano, anche in fase di definizione archetipale scaturissero da una identica ottica, mirante a consentire l’impianto
sulla loro piazza di più cannoni in batteria in perfetta analogia con
quanto praticato sui ponti dei vascelli oceanici (176). Inevitabile,
perciò, l’adozione della pianta quadrata, in ossequio alla preminenza
del ruolo attivo precipuo del manufatto. Da alcuni illustri studiosi è
stata sostenuta la tesi che la pianta quadrata, con uno spigolo orientato
verso il mare, al di la dei menzionati vantaggi, rendesse la torre
assimilabile ad un medievale puntone (177), contro le cui sfuggenti
muraglie si sarebbero neutralizzati i colpi degli attaccanti. Cosi ne
schematizzava il Guglielmotti le caratteristiche formali: "Dunque
torri di figura quadrata, lato di metri dieci, periferia di quaranta,
altezza di venti, muraglie grosse di tre e quattro metri; scarpata dal
cordone in giù, porta alta sul cordone, scala esterna, e ponte tra la
scala e la soglia sui bolzoni. Tre piani a volta: uno pei magazzini, uno
per gli alloggiamenti, uno per la batteria. All’interno la scala a
chiocciola, piombatoi all’intorno, una colubrina, due petrieri, o pezzi
minuti. L’asta della bandiera, il fornello per le fumate e pei fuochi di
segnale. Il sagliente al mare, e le facce in isbiego per briccolare le
palle nemiche. Il disboscamento in lungo e in
largo intorno
|