alla torre per
assicurare meglio la scoperta, la difesa, il dominio. Questi sono
i caratteri costanti e comuni a tutte le torri della
spiaggia, specialmente richiesti dall’Ayala nel decennio, salvo
qualche divario nel più o nel meno, secondo le circostanze
particolari".
Dalle stringate righe del celebre autore, si sono desunte alcune
considerazioni che purtroppo, per l’apparente sensatezza, per la
reputazione del redattore e per l’analogia della pianta quadrata
sono assurte al rango di altrettanti postulati nella successiva
sterminata pubblicistica specializzata, presupponente peraltro
l’equiparazione funzionale di tutte le tipologie di torri
costiere quadrilatere. Tra queste il criterio dell’orientamento,
inevitabilmente rivolto con uno spigolo verso il mare per deviare,
o almeno attutire, gli eventuali impatti dell’artiglieria
navale. Prescindendo dallo scarsissimo riscontro pratico, essendo
rare le torri cosi impiantate, e soprattutto le coste rettilinee
dove siffatta opzione riesce verificabile agevolmente, va
ribadito, e lo abbiamo in più occasioni evidenziato, che il
cannoneggiarle non rientrava nella procedura d’attacco corsaro.
Se, infatti, le torri adottarono lo sparo dei petrieri per
segnalare agli abitati limitrofi il rischio di sbarchi, significa
che l’atterraggio avveniva di prammatica nel più assoluto
silenzio. E’ incredibile un’azione insidiosa avviata nel
frastuono delle cannonate! Ed i corsari, perfettamente consci
della metodica, almeno fino all’adozione dei vascelli tondi, non
imbarcavano quasi artiglierie, inutili anche negli abbordaggi
potendo con inopinati tiri compromettere la preda. Inoltre
affinché si fosse verificata la presunta deviazione sarebbe stato
indispensabile, supponendo il battello incursore del tipo della
galera, che sostasse immobile, con i suoi piccoli pezzi di corsia
(180) in asse con la diagonale passante per lo spigolo della
torre, posizione di combattimento particolarmente infelice e
rischiosa, esponendo in tal modo tutti i banchi di voga alle
traiettorie del controtiro costiero. Se invece si fosse trattato
di un vascello, con ponte di batteria, avrebbe dovuto cullarsi,
sempre immobile, con la bordata perpendicolare alla medesima
diagonale, esponendo a sua volta l’intera fiancata al fuoco
della torre. Disponendo, notoriamente, le torri di un identico
armamento navale, per ovvia conseguenza, cosi operando
l’imbarcazione, qualunque fosse stata, si sarebbe offerta ferma
ed inerme al tiro di controbatteria terrestre. Quest’ultimo,
sebbene meno nutrito per il minor numero di pezzi, ostentava per
la stabilita del supporto - ed anche questo era notorio su tutti i
mari - precisioni di tiro assolutamente inconfrontabili con quello
di bordo, afflitto dalle oscillazioni del mezzo. Ed un colpo messo
a segno sulla parete di una torre, di circa 3 m. di spessore, ne
avrebbe graffiato l’intonaco mentre il contrario si sarebbe
potuto risolvere, per quanto a suo tempo precisato, con la perdita
dell’unità o, nella migliore delle circostanze, con il suo grave
danneggiamento. E comunque sempre con l’abbandono
dell’incursione. Del resto ad eccezione di quella risicatissima
posizione, improba da mantenere persino volontariamente per
l’intera durata di un duello balistico a causa dei venti e delle
correnti marine, uno scarto di pochi gradi appena avrebbe
vanificato la prestazione dello spigolo.
Discorso sostanzialmente analogo per la scarpa basamentale. Pur
vantando evidenti affinità architettoniche con quella sempre
presente in ogni fortificazione dal tardo medioevo, non può
ricondursi alla medesima esigenza di attutire con la sua
obliquità la violenza degli impatti balistici. In verità la
scarpa compare già nelle fortificazioni protostoriche per
neutralizzare gli urti dell’ariete. Divenne desueta in |
epoca romana
grazie all’efficacia del tiro difensivo delle artiglierie
neurobalistiche che non consentivano un facile approccio alle
mura, protette per giunta da grandi fossati.
Nel caso delle torri, inoltre, oltre alla desuetudine del
cannoneggiamento navale, va evidenziato che l’identica scarpa si
riscontra pure in quelle piccole di matrice gentilizia sicuramente
non strutturate contro investimenti d’artiglieria.
Per giunta la scarpa è presente ancora in torri costiere
impiantate a rilevante quota sul mare, sul cui estradosso i tiri
comunque avrebbero impattato obliquamente. La ragione perciò fu
del tutto diversa e forse duplice: statica e bellica. Per la prima
tornava positivo diminuire la pressione unitaria del manufatto sul
terreno ampliandone la base, specie laddove come appunto lungo le
coste sabbiose ed acquitrinose, il suolo di natura alluvionale non
garantiva la necessaria resistenza. Senza contare poi che una
siffatta soluzione contrastava meglio le sollecitazioni dinamiche
impresse dallo sparo delle artiglierie alla volta di copertura,
tendendo a sfiancarla. Si precisava al riguardo che:
"... e
necessario... le dette mura... ingrossarle et farci le lamie con
volta in modo che possi sostenere un pezzo d’artiglieria...
Si mirava, perciò,
a rendere le pareti perimetrali delle torri equivalenti a pesanti
contrafforti non diversamente dai muri di contenimento,
anch’essi dotati di pari inclinazione: del resto dovevano
sopportare anche la spinta del materiale di riempimento con cui se
ne colmava lo spessore. La scarpatura delle torri vicereali
napoletane, forse per accentuarne ulteriormente i vantaggi, fu
estesa a tutta l’altezza della costruzione, a differenza di ogni
realizzazione antecedente od anche coeva, dando alle stesse
l’inconfondibile connotazione volumetrica tronco piramidale, con
ostentazione di greve robustezza. Gli angoli d’abbattimento
degli estradossi risultano, pertanto, rigidamente vincolati entro
una ristretta escursione fra il 10 ed il 5% (183). La
preoccupazione non sembri infondata in quanto edificare lungo le
marine del Regno, implicava adottare qualsiasi materiale
reperibile localmente in discreta quantità per le enormi cubature
delle torri. Ciò costrinse in fase di progetto ad un
indispensabile surdimensionamento strutturale al fine di
compensare le diverse portate delle innumerevoli ’opere’
murarie. Grazie a tale precauzione ci sono pervenute torri erette
con mattoni, con pietre da taglio, con blocchetti di tufo, con
ciottoli fluviali, con scheggioni di lava vulcanica, con frammenti
di trachite e persino con conci di spoglio di antichissime
costruzioni limitrofe, tutte con le medesime ed inconfondibili
connotazioni architettoniche. Era abbastanza sensato, quindi, il
ricorso alla scarpatura continua per accrescere il
controbilanciamento alle spinte dinamiche delle volte a botte, in
particolare di quella della piazza. Per contenere ulteriormente i
temuti ’sfiancamenti’ quando la torre richiedeva due o più
volte, corrispondenti ad altrettanti piani, vennero girate
ortogonali fra loro, in modo di non impegnare la medesima coppia
di muri. Ma si ravvisa ancora una seconda e forse più pregnante
motivazione a favore della scarpatura insita nella esigenza di
discostare dalla base della torre eventuali aggressori, rendendone
le sagome ben distinte ed impedendone l’altrimenti inevitabile
defilamento. Facili bersagli, in definitiva, per i pezzi caricati
a mitraglia o a pallettoni, quali i mortaretti, i petrieri, le
spingarde e gli archibugioni da posta, armi difensive di cui ogni
torre disponeva. E’, infatti, scontato che quegli ordigni
riuscivano a tirare in depressione, |