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Id 2776
IL DIVANO DI SIGMUD
Signori,
è stato inserito in Torreomnia un sosprendente racconto del Doitt. Aniello
Langella tratto dal sito vesuvioweb.com per gentile concessione dell'autore.
Lo trovi in "opere", in "novità", nella ricerca, oppure
copia e incolla il link seguente:
www.torreomnia.it/testi/divano/set_fra_divano.htm
In questo sorprendente racconto del dott. Aniello Langella il vulcano, come
un'ombra, su passato e futuro, vigila da lontano e tace. Impegnando tutto
l'orizzonte e si perde nella cataratta della foschia morbida. Nessuno sbuffo di
fumo, nessun tremore. Una sola ingombrante presenza, austera e minacciosa.
Il mono-personaggio ancora non sfora le quinte eppure il cratere e già
presente.
Non è prevedibile lo zotico campano che bussa alla porta di un medico con la
malattia astratta; ma è immaginabile una muliebre donzella cagionevole e
gradevole alla vista.
L’evento narrativo di Aniello Langella si scuce sul timore delle eruzioni che
per il vesuviano sta nel DNA come una collettiva malattia genetica, una endemìa
atavica. E' stato "inoculato" attraverso i secoli. Esso è presente
pure nelle persone che vivono lontano dal Vesuvio, perché il vulcano è, sì,
lontano, ma il terrore di esso è dentro di noi e viene sostituito da surrogati
in questo che è stata definito "il secolo della paura".
Guerre, attentati, bioterrorismo, epidemie, calamità naturali, delitti
efferati: i drammi che avvengono nei quattro angoli del proprio paese o del
mondo intero e le malattie debilitanti e frustranti e soprattutto quelle
incurabili sono amplificati dai mass-media e portati in tutte le case tutti i
giorni. Nessuno riesce a sfuggirne.
Non a Caso Aniello Langella ha scomodato Freud per titolare il suo interessante
racconto pregno non già di autobiografismo reale, ambientale od esteriore, ma
appunto inconscio, là dove. probabilmente, Egli stesso ne ignora la finezza dei
capillari narrativi come risposta a sintomi comuni nel triangolo scrittore,
attore e lettore.
L'autore possiede una sorta di potere dell'ubiquità, vivendo fisicamente nel
goriziano tra le Valli dell' Isonzo e del Vipacco, pur avendo anima ed animo mai
sradicati dalle zolle dure dell'atrio del Cavallo, o dalla vitrea "terra
nera” seminata dal braccio idrico del bagnasciuga sul lungomare corallino.
Felice la conseguenza del dialogo interiore trasferito nel monopersonaggio. Un
Aspetto culturale del Nostro medico friulo-campano sorprendente e di ottimo
spessore narrativo moderno, pur non tradendo, per vocazione, i canoni classici
della battuta oleografica della "terra del sole e del fuoco".
La problematica dello zotico Antonio Serpe si svolge in un’ambientazione
incerta. Il problema conscio è il Vesuvio, ma potrebbe essere "in
cantina", per dirla con Sigmud, lo tzunami, il terremoto, la frana e
quant'altro.
Il dialogare del dottore è aulico e ricercato non solo per etica professionale,
o per snobbismo ma per mettere in risalto la rozzezza del paziente a
dimostrazione che la "paura" non solo non ha classi sociali, ma non ha
patrie.
Il Dott. Langella ci induce a riflettere che qualsiasi paura ambientale
apparentemente reale non solo condiziona l'ambiente sociale ad una sorta di
precarietà e una induzione alla lotta civile nei rapporti interpersonali e
sociali, ma si allarga ad estuario verso l'oceano della paura propriamente
detta, cioè quella esistenziale che fa sempre capo all'idea del dolore fisico,
nella fattispecie del contesto craterico campano dalla "lapidazione"
tramite grossi lapilli morali, dall'asfissia di gas venefici come flatulenze
demoniache degli inferi, e dall'ardenza di fuoco etico giustiziere, quasi
sodoma-gomorriano.
L'autore traccia con semplice e decise pennellate narro-vesuviane l'ansia
endemica ed atavica cromosomica della plaga vesuviana non disgiunta per i
tessuti connettivi con la problematica grave delle società sviluppate: il senso
generalizzato di insicurezza e vulnerabilità sentito in modo planetario non
solo da calamità, terrorismo e malattie, ma dalla oramai altrettanto
cromosomica minaccia atomica.
L'ansia del monopersonaggio Antonio Serpe de’ “Il divano di Sigmund” serve
all'autore soprattutto per rivelare una giustificazione ai problemi annosi
associati a quelli epocali della cintura vesuviana, ma il medico si interroga e
dà ad intendere che tutto può accadere, che non ci sono più certezze o luoghi
assolutamente sicuri. E anche quando la vita quotidiana si svolge a livelli di
reddito e comfort elevati scatta un malessere esistenziale complesso, il timore
per la sofferenza, per un pericolo futuro. E l’alterego- personaggio che di e
all’autore: “Siamo sulla stessa barca” contadini e professori.
Lo scrittore, inoltre risveglia la consapevolezza che quello del Vesuvio è
sicuramente un disastro annunciato.
Interessante lo sdoppiamento interlocutorio medico-paziente, forse per
deformazione professionale, che fa del medico-narratore non già una creatività
di prima mano, ma un sentire interiore quasi narrativamente sperimentale.
Aniello Langella sa bene che i rapporti umani vengono incrinati non già dalla
forza, ma dalla debolezza. Non dal coraggio, ma dalla paura. Infatti l'unico
modo per lasciare in pace gli altri è lasciare in pace se stessi. Ma la
diffusione continua di notizie diventata una sorta di “malattia mediatica” o
comunque un sentimento diffuso di angoscia e terrore, dovuto anche all'uso
insistente delle immagini televisive, del cartaceo e sconfinatamente da
Internet.
Ma l'autore-medico fa finta di ignorare e fa semplicemente dire a Serpe:
"Ho paura io del Vesuvio, ha avuto paura mio padre, mio nonno".
Sottolineando la storicità della paura del vulcano.
Langella narratore dice: "La consapevolezza devastante della verticalità
delle paure". E sapientemente introduce la componente religiosa come
toccasana, come ultima spiaggia, come almeno probabilità salvifica
post-mortale.
"Dotto' sono andato anche da Don Luigi, il parroco di Cappella
Bianchini". "E Don Luigi mi ha detto che ho ragione: per questo i
vesuviani vivono nella precarietà, sono tutti così, imbrogliano, vendono cose
andate a male, tanto domani viene la montagna".
Fare i soldi in fretta e a tutti i costi, senza esclusione di colpi e di
bersaglio. Domani potrebbe essere tardi.
"Il divano di Sigmud” di Aniello Langella è un messaggio apparentemente
grottesco, una farsetta scarpettiana, ma solo in superficie, perché il
messaggio intrinseco non solo è attuale, ma è anche atavico per capire il
caratteriale di una determinata area geografica, unica in tutto il mondo!
Perché mai nel globo sono state ricostruite dieci città sopra una polveriera
esplosa centinaia di volte nei secoli, sotto la scusante di un popolo tenace,
coraggioso e testardo. In realtà profondamente incosciente!
"Caro dottore - dice il Serpe - voi mi avete capito ed io ho capito voi.
Siamo sulla stessa barca". "Voi avete ragione io ho paura dei
Vesuviani".
E qui l'autore fa crollare il concetto di natura infame rivelando la vera morale
della favola: il degrado del popolo vesuviano e la qualità della vita a ridotta
a zero, al punto che lo zotico conclude con una soluzione cruenta.
"In settimana prossima vado a Mondragone e spero che il Vesuvio inghiotta
tutti buoni e cattivi. Lo dicono tutti e lo dico anch'io".
La meraviglia di questo racconto è come possa essere stata descritta la
confusione mentale epocale odierna in metafora tanto che in questa ultima
battuta non si capisce se questo monopersonaggio sia vittima o carnefice.
”...muoiano buoni e cattivi. Lo dicono tutti e lo dico anch'io" (pur di
finirla con questa maledetta ansia). Il “mors tua vita mea” come esorcismo,
dare in pasto alla “belva” la propria gente corrotta e disonesta,
giustificando la propria di ansia fatta di fuga e condannare quella degli altri
da immolare indiscriminatamente.
Fare del male per somiglianza perché fa tendenza. Questa è una seconda chiave
di lettura del racconto.
Luigi Mari
Id 1186
IL FORUM
Questi scritti, sperimentali, ci insegnano la forza del linguaggio figurato
che per dire “vi voglio bene” lo traduce in “vi odio d’amore” . Una
delle più belle metafore torresi: al posto di: “Mi fai piangere” si dirà:
“Mi fai ridere sotto gli occhi”. Non è un popolo straordinario il nostro? A
h se ogni tanto ci scambiassimo delle scazzottate, anche ideali, quanto amore
scaturirebbe!
Se ci pigliassimo in giro, se ci mettessimo alla berlina, se pigliassimo per i
fondelli la vita, insomma.
Ah quanto amo le mamme esasperate per il pianto perpetuo del neonato che lo
alzano in alto dalla culla gridando: “Io t’accido!” e dopo un secondo se
lo stringono al petto tracimanti di amore, poi,
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sprofondano insieme su una
poltrona, la mamma lo culla con una nenia, fino a che si addormentano insieme,
dolcemente. Com’è bella la vita.
Ci fa piacere che stai meglio Dottor Aniello. A Gorizia fa freddo.
Una volta per uno non fa male a nessuno. Così imparate voi medici a di far
vostro il proverbio: "La sanità della gente è la malattia dei
medici". Scherzo.Ti tengo un po’ di compagnia, Aniello di Gradoni e
Canali in due fasi una brutta e una bella: Cioè REALTA’
E FAVOLA.“Carcere e malatia scanagliano i cuore ‘e ll’amici”. E’
così bello sentirsi raccontare le favole, nessun adulto, nei vapori della
febbre, non ritorna un po’ bambino. Ma questa volta mi guardo bene dal dire
che Ti abbraccerei e che Ti preferisco A Naomi Campbell. Ho imparato l’ultima
lezione quando ho scherzato con Ciro Adrian. Piuttosto che sperare nella mia
città in fatto di metafore preferirei addormentarmi e non poter sognare più.
Su, assopisciti dottore, Benedette Voltaren. Un angelo pietoso l’ha inventate
su commissione di Dio.
Mia nonna Severina diceva sempre: “Stai lontano dai medici, dai preti e dagli
avvocati”. Con te è più facile perché, per dirla con Franco, sei un buon
medico, ma mezzo prete, nel senso buono.”. L’avvocato sono io ma doppio,
invece, perché sono l’ “avvocato del diavolo” e quello “delle cause
perse”.
RALTA’
A Torre del Greco hanno dimenticato di inserire il linguaggio figurato nei “programmi
di lettere”. L’ironia, la metafora, l’iperbole, la satira le scambiano per
caramelle e cioccolattini. E se, poi, qualcuno spiega loro il significato
didattico di queste forme non ci credono e dicono che sono delle trovate
alternative, il Di Bella delle chemio dello scibile, allo scopo di prendere per
i fondelli la gente. Perché: cogliere l’affetto, il calore umano dalla
letteratura è come pretendere di pescare trote nel fiume Dragone.
In realtà non scrivono sul forum perché... non vengono pagati..., caro
Aniello, caro Salvatore, ma non vogliono danaro, vogliono l’anima. I
sentimenti vogliono, non per scambiarli, ma per narcotizzarli, per trasformarli
da stato gassoso dell’anima a stadio solido del corpo nell’ultima fase
metabolica; mortificarli come li annienta il danaro. Io non ho nemmeno, non
già, i cosiddetti occhi per piangere, ma nemmeno quelli per fare i lucciconi,
oramai, l’ingratitudine mi sta abbrutendo, mi denutrisce. Non è la prima
volta, negli ultimi giorni che trattengo la voglia di compiere un delitto:
uccidere Torreomnia, strapparla dai cieli elettronici del mondo e sciorinarla
nell’oceano come ceneri funebri.
E’ inutile prendere la tua vita e la triti in un galattico atto d’amore,
notte, giorno, e feste comandate, trovandoti addosso tutto il psicosomatico del
saggio di Alexander, e poi qualche voce querula di pseudo-intellettuale ti
arriva alle orecchie: e chiede, sporca di complicità, se vale la pena stare nel
forum. Se questi dà svago, immagine e tornaconti. Infine.
Premetto subito il mio amore fraterno per Aniello, Salvatore, Ciccio, Ciro
Adrian, Franco, ecc. Li escludo dal complotto.
Ma dove sono finiti gli estrosi?
Li ho trattati per "la coscia", ho parlato di Loro come si fa per i
santi bambini. Ho sfoderato tutte le interiezioni del mio repertorio emotivo, ho
finito tutte le lagrime della solidarietà fraterna, ho fatto in modo che tra
Loro e Padre Pio, con tutto il rispetto per il Santo, la differenza consisteva
solo in area geografica differente: Pietralcina e Torre del Greco. Ma
incentivare e pregare non basta mai a Torre, perché c’è sempre il nostro
Beato che viene venerato di più.
Niente. Spesso a Torre "la" vendiamo cara perché si infemminiamo di
narcisismo. Sarebbe bene che venissero gli artisti polacchi o ucraini per
insediarsi nelle scuole e negli opifici torresi per estorcere ai nostri animi,
inariditi di benismo, la ostentata rispettabilità; e ciucciare dal nostro
cervello la nostra vanagloria, il nostro egocentrismo. E’ la solita solfa
della domanda e dell’offerta.
Vedi, Dott. Aniello, cosa significa non ascoltare le mogli.
- “Non fare dichiarazioni d’amore a destra e a manca, sono cuori induriti,
non dire che sono amorevoli e che vuoi abbracciarli. Non prenderai mai il posto
del Beato a Piazza S. Croce, nemmeno col mezzo busto, nemmeno solo con la testa,
non vedrai, dall’aldilà, nemmeno il tuo naso aquilino appeso sotto un
lampione. Diranno: chissa cosa nasconde… sotto”. Ma cosa può esserci…
sotto, alla mia età?.
Erano solo moti dell’anima una trasfigurazione in sentimenti del senso dell’ospitalità
laddove l’ospite passivo infantile, immaturo, sono io, cioè io accolto da
loro, io che mendico con la mano tesa una parola, un sospiro per Torre nostra.
"Fate la carità, date una briciola d’amore per la mia famiglia
Torreomnia, ha sete, ha fame dell’affetto dei torresi. Sono arrivato stremato
nella quintessenza concentrata della modestia. Nell’esasperazione masochistica
transustanziata nel nichilismo della fratellanza cristiana.
Ecco cosa ti affibbia l’imprudenza. Ecco cosa significa pensare che la tua
città sia cambiata col progresso, con l’istruzione, con l’evoluzione e la
maturità. Moglie aiutami, tirami dalle sabbie mobili dell’ingratitudine.
Ah Angelo Guarino, perché non ti ho creduto? Ah, Della Gatta, mi metteste in
guardia! L’uomo non migliora, dentro o fuori le mura, nemmeno dopo mille
inferni e diecimila purgatori.
O la borsa dell’anima o la vita del forum! Puoi spremerti come un limone fino
all’ultima stilla e vomitare il cuore per offrirlo come la testa di S.
Giovanni decollato. E’ il silenzio, la tua lingua estirpata la loro vittoria!
E’ il tuo cervello di parole che vogliono colpire, senza un motivo logico
giusto, fruttuoso, autolesionistico per la comunità torrese.
Già scrivevano poco, gli imboscati, i lavativi; adesso pretendono venti euro a
parola e quando c’è la lettera maiuscola ne vogliono venticinque. Mi regalano
però le virgole e i punti. I punto e virgola e i due punti me li fanno un euro
alla dozzina. Devo riconoscere, comunque, la loro onestà. Questo è il massimo
della loro riconoscenza. Più di questo non possono.
Se mitragli le stanze del forum, ma col silenzio può darsi che qualcuno resta.
Ma se lanci bocciuoli di rosa a destra e a manca, se sorridi invece di ridere
sornione e sprezzante, se saluti i passanti che non conosci (come in Miracolo a
Milano) per la strada, invece di tenere gli occhi bassi come per vecchi rancori,
allora sei sfottuto: sentenziato: hai un secondo scopo o vuoi farti bello sulle
spalle degli altri.
FAVOLA
Margheritina, tenerella, tesoro di candore, vieni ed aspergere un po’ di
innocenza in questo afrore di lontananze, di orgogli, di benismi e sedicenze
nocive, in questi siti di perduti amori e di disgregazione e deterioramento che
solo nella carenza del bene possono allignare. Vieni. Metterò su un piatto
tutte le mie lacrime di vecchio sognatore, come un Santa Claus castigato; ma
bastano le tue manine-colombe per mettere in moto la mia slitta con le renne
fatta di sogni e di speranze e far librare la mia carcassa delusa verso il cielo
del polo Nord. Non basta la mia espiazione di idealista-romantico per
scagionarmi.
Ecco, vedi, tenerella, il settimo cielo è vicino. Le tue manine-colombe hanno
asperso nell’etere paroline di rugiada che feriscono a morte i loro monitors
come i dardi dell’Arcangelo Gabriele. Ma il fragore, i lampi di luce e l’acre
odore di zolfo non li tange. I loro cuori sono duri come magma vesuviano
solidificatosi. Dopo un attimo tutto tace e lo squallore domina la notte. Tutto
tace, come un forum tradito, come un amore trafitto. Altri colpi inferti all’araba
fenice morta e risorta nei secoli, altre stilettate a tradimento alla proprie
origini, alla propria mamma di pietra.
Ma… ma… Aniello!. S’e addormentato il medico pargoletto. Sottile come un’astearica
con lo stoppino acceso dalla febbre, gonfio di tachipirina ed antinflogistici.
Deh, la figlioletta poggia la testa sul bicipite del papà e sognano, fusi, un
mondo migliore, più umano e pregno d’Amore.
Il monitor in un angolo lagrima la rugiada dissolta: sono le ultime paroline,
scritte dalla manine-colombe di Margherita che hanno fatto il giro del mondo,
attraversando raccapriccianti glaciazioni dei cuori, poi subito vestite di sole
e di speranza; ma sono ritornate deluse, sconfitte dalla boria e dalla pochezza
dell’uomo, per altro caduca come mai si può immaginare, nell’attimo di vita
che dura la nostra vita, nell’universo e nell’eternità.
Buona notte medico Soldatino, buona notte Alice- Margherita nel vero paese delle
meraviglie: i sogni. Mai tradire i sogni. Il Grande Vecchio, stanotte, vi darà
l’incentivo in Grazia, in cambio di un pugno d’amore che non avete negato al
forum di Torreomnia, che già langue, e poi muore.
La nostra terra assimila solo monologhi. I dialoghi sono dardi e tridenti.
Luigi Mari
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