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CAPITOLO I

              CENNI STORICI

Il territorio di Torre del Greco faceva parte, in antico, della periferia sud-orientale di Ercolano. Questa era in origine un centro degli Osci, popolazione italica stabilitasi in Campania. Nel VI sec. a.C. ci furono i Greci che dominavano la costa del golfo partenopeo, con Cuma, Pozzuoli, Napoli, Pompei, chiamandola Heràkleion. Nel V sec. a.C. fu conquistata dai Sanniti, che però la persero a favore dei romani durante la Seconda Guerra Sannitica nel 326 o 308, chiamandosi Herculaneum e diventando luogo preferito dai patrizi romani per trascorrere le loro giornate allietati dalla bellezza della natura e dalla salubrità dell’aria. Fu presa poi nell’ 89 da un legato di Silla insieme a Pompei, Stabia e Sorrento nella seconda Guerra Sociale. La fertilità del suolo e la ricchezza di acque permisero lo sviluppo di coltivazioni orticole e legnose. La “vite” trovava qui le condizioni migliori per il suo sviluppo: clima adatto, terreno fertilissimo, esposizione a mezzogiorno e vicini mercati di sbocco, infatti innalzata alla dignità di municipio e ricevuta una colonia romana, la città prosperò col commercio. Ma allo splendore seguì la rovina. Nel 62 o nel 63 d.C., durante il regno di Nerone, un violento terremoto faceva rovinare in gran parte Ercolano, Pompei, e recava danni a Nocera, Stabia, Napoli, Pozzuoli; e il 24 Agosto del 79 d.C., imperando Tito, il Vesuvio, da tempo quieto, dava luogo ad una gigantesca eruzione seppellendo Ercolano e contemporaneamente Pompei, Stabia, Oplonti, sotto una pioggia di cenere e lapilli. Pochi scampati ebbero il coraggio di ritornare sui luoghi della sciagura per rimettere in vita le campagne.
L’Impero Romano d’Occidente crollava sotto la furia dei barbari nel V sec., mentre quello d’oriente rimaneva in vita: calavano in Italia i Visigoti, i Vandali, gli Eruli e gli Ostrogoti. Le invasioni barbariche avevano fatto nascere la necessità di costruire fortezze, rocche, luoghi fortificati che potessero dare rifugio alle popolazioni.
L’unità politica realizzata dai bizantini, che erano intervenuti col generale Narsete sconfiggendo il barbaro Totila, re degli Ostrogoti, veniva infranta nel 568 da altri barbari, i Longobardi che si insediarono nella valle padana e in diversi punti del centro e del meridione d’Italia. In seguito ci fu un’affluenza continua di greci e scorrerie saracene. Sopravvennero i Normanni, chiamati così perché erano uomini che venivano dal nord: Nord Manner, che dal 1130 unificarono come regno tutta l’Italia meridionale con la Sicilia (Napoli era conquistata nel 1139) e diedero impulso al feudalesimo; seguirono gli svevi dal 1194. Le popolazioni, in quel tempo, preferivano vivere raggruppate in villaggi che per lo più sorgevano ai piedi di fortificazioni e di torri da dove era più facile la difesa.
Le torri che sorgevano lungo l’arco costiero partenopeo,furono accresciute dagli svevi, infatti Federico II aveva fatto edificare nuove torri che aumentavano man mano che ci si avvicinava alla città di Napoli. Quella costruita fra il villaggio Sora e contrada Calastro, due villaggi sorti intorno al 500 d.C., per essere l’ottava torre partendo da Napoli, fu chiamata infatti Turris Octava. Gli angioini, venuti dalla Francia guidati da Carlo I d’Angiò, che nel 1266 in seguito alla battaglia di Benevento, sconfigge re Manfredi di Svevia e viene proclamato re dal Papa Clemente IV di Napoli e Sicilia.
Con gli angioini Napoli divenne capitale al posto di Palermo presa dagli aragonesi con la guerra del Vespro nel 1282. Intanto il villaggio di Torre Ottava si sviluppa ulteriormente e all’inizio del 1300 assume la denominazione di Torre del Greco e diventa il centro più importante del nostro territorio. Questo si ingrandì molto rapidamente estendendosi dai confini di Somma a quelli di Ottaviano, Scafati fino ai vicini villaggi di Resina, Portici, e San Giorgio a Cremano, che allora dovevano essere piccoli agglomerati.
Nonostante l’imperatore Federico avesse concesso al nostro territorio il privilegio di essere conservato “nel perpetuo demanio insieme con la capitale” ,nel 1418 esso diventò possesso feudale. Torre del Greco fu, pertanto, prima dominio diretto dei Carafa, che la ottennero in pegno dalla regina Giovanna II d’Angiò (1414-1435) per il prestito di duemila ducati d’oro. La casa Carafa conservò la capitania di Torre e comarca con Ettore Carafa (1496-1511), poi con Anton Francesco, Fabrizio, la cui nonna la vendette per 72.092 ducati a Giovan Francesco De’Sangro, principe di San Severo e duca di Torremaggiore. Quest’ultimo rivendette l’ufficio di capitano nel 1574 a Marcello Caracciolo per 41.000 ducati. In questo periodo, Torre del Greco non versava affatto nelle stesse condizioni di miseria delle altre città del regno di Napoli: la nostra cittadina era diventata un centro importantissimo per la pesca e per la redditizia lavorazione del corallo.
Dopo una breve parentesi la capitania ritornava ai Carafa. Nel secolo XVII la città si estendeva fra il mare e via Piscopio da una parte, la porta di Capo la Torre e la chiesa del Carmine dall’altra; comprendeva cinque quartieri, cioè quelli di Capo la Torre dalla Porta a largo Santacroce, di Vico di mare intorno al castello, con la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, Corso Umberto, il Rio e San Giuseppe alle Paludi etc. Il suo territorio era molto vasto e confinava con Resina, Torre Annunziata, Scafati, Somma, Ottaviano e Trecase, borgo torrese ma poi venduto.
La comunità di cittadini era detta università e per la sua vicinanza a Napoli godeva degli stessi privilegi di questa ed aveva leggi che la garantivano da ogni sopruso del signore per cui in caso di inosservanza, faceva ricorso alla regia corte per ottenere giustizia, mentre in altri luoghi c’era miseria, Torre viveva in un eccezionale prosperità. Ma l’eruzione vesuviana del Dicembre 1631 colpì la città gravemente, con scosse sismiche, piogge di cenere e lapilli, lave di fango che arrivarono fino al mare, alterando l’aspetto del territorio: campi devastati, distrutte molte case, molti cittadini morti. Pochi tornarono dopo la ricostruzione.
Ancora la rivolta di Masaniello del 1647 e la peste del 1656, che infuriò su Napoli e in tutto il Viceregno, spopolarono Torre e la ridussero in più tristi condizioni. Questa si riprese di nuovo e alla fine del secolo, anche se gli abitanti erano ridotti a poco più di 4000, godeva “ogni più tranquilla quiete”.
Ma uno sviluppo ulteriore era impedito dalle vecchie istituzioni e dal cattivo funzionamento del governo feudale, per cui si sentiva il bisogno di rendersi autonomi con la creazione di un proprio governo. Ciò però, sarebbe stato possibile solo con il riscatto “dall’utile padrone”, che possedeva, tra l’altro uno dei più importanti poteri: quello giudiziario. Perciò con unanime sforzo e sacrificio pecuniario notevole, i torresi, si liberarono della soggezione dei signori, conformemente alla politica della Spagna che tendeva a diminuire la forza dei signori e a favorire lo sviluppo della borghesia, riscattando la città dal feudo.
Nel 1699, dunque, il territorio di Torre del Greco, divenne libera università. Il governo fu tenuto da un governatore nominato dalle tre università di Torre, Resina, Portici e Cremano, che rimaneva in carica un anno; vi erano poi degli eletti del popolo e deputati. Gli effetti del riscatto furono molto positivi nel settore agricolo. Infatti le classi dei commercianti e dei professionisti acquistarono buona parte delle estese proprietà feudali e le affidarono ai contadini che col passare degli anni divennero possessori per averli comprati o per gli effetti della legge eversiva della feudalità del 1806.
Lo sviluppo era stato favorito anche dalla fioritura della pesca e dalla lavorazione del corallo nonché dal commercio marittimo; famosa è la “reale compagnia del corallo” con capitale di 600 ducati diviso in 1200 azioni da 500 ducati ciascuna. Morto Carlo II d’Asburgo senza figli nel 1700, s’insedia la dinastia dei Borboni di Francia con FilippoV. Poi dopo la guerra di successione spagnola tra Spagna-Francia e Austria-Inghilterra, Napoli veniva occupata dagli austriaci nel 1707. Nel 1714 Filippo rimaneva re di Spagna e l’Austria teneva per se l’Italia meridionale che diventava così un suo viceregno governato da una serie di viceré inviati da Vienna.
Con la guerra di successione polacca scoppiata nel 1733 e combattuta tra Spagna-Francia e Austria,la Spagna riconquistava l’Italia meridionale con la Sicilia per opera dell’infante don Carlo di Borbone che diventava sovrano dei regni indipendenti di Napoli e Sicilia. La città s’accrebbe di abitanti, raggiungendo i 9.000 nel 1743, gli 11.000 nel 1761, i 17.000 nel 1794; continuarono a prosperare le varie arti e mestieri, soprattutto l’industria della pesca del corallo. Nel XVIII secolo “l’Università di Torre del Greco” per il territorio fuori dell’abitato,era molto estesa, era verde distesa di lussureggianti campagne di ottimi vigneti, ogni tanto intervallati da neri ammassi di pietra vulcanica che ne rompevano l’uniformità.
Altre eruzioni vesuviane arrecarono danni notevoli alla città: nel 1737, nel 1760, in quella memorabile del 15-16 Giugno 1794 nella quale la lava di fuoco scesa dalle falde del monte la sotterrò quasi tutta,gettandosi nel mare.Resistette il robusto campanile della parrocchia di Santa Croce ed altri pochi edifici. Il re offrì ai torresi il suolo di S. Giovanni a Teduccio perché riedificassero lì, in luogo più sicuro, la loro città, ma questi rifiutarono e rifecero in breve tempo una nuova patria sulle rovine di quella distrutta. Promotori della rinascita furono l’allora vice parroco Don Vincenzo Romano e l’architetto napoletano Ignazio Di Nardo, incaricato dall’Università.
La Rivoluzione Francese e Napoleone apportavano ovunque in Europa le nuove idee di libertà e di rinnovamento politico e sociale. A Napoli, fuggito re Ferdinando, s’insediava sul trono nel 1806 Giuseppe Bonaparte, fratello del grande, che aboliva in tutto il regno meridionale il decrepito e farraginoso ordinamento feudale,facendo di ogni città o paese un municipio libero. Il barone Gaetano Langella veniva destituito; Torre, Resina e Portici diventavano comuni autonomi e avevano un proprio sindaco (per Torre il primo fu G. Scognamiglio) con un decurionato, cioè un attuale consiglio comunale.
Ferdinando tornò a Napoli dopo la caduta di Napoleone, nel 1816, unendo i due Regni di Napoli e Sicilia e assumendo il titolo di primo re delle due Sicilie. Ferdinando II (1830-1859), anch’egli autoritario, fece costruire la ferrovia Napoli-Portici, prima in Italia, inaugurata il 3 Ottobre 1839 e prolungata l’anno seguente fino a Torre del Greco e in seguito fino a Torre Annunziata, a Nocera e Castellammare.
Gli avvenimenti politici del risorgimento incalzavano maturando il processo di unificazione nazionale. Giuseppe Garibaldi sbarcava l’11 Maggio 1860 in Sicilia, conquistava l’isola, passava sul continente e raggiungeva Salerno. Mentre il nuovo re Francesco II si allontanava da Napoli, egli la mattina del 7 Settembre, partito da Vietri sul Mare con pochi suoi uomini, si portava nella capitale per conquistarla; Torre entrava così nella grande famiglia dell’Italia unita, regnando Vittorio Emanuele II di Savoia (1860-1878), cui sarebbe seguito Umberto I (1878-1900). Nel nostro secolo, regnando Vittorio Emanuele III, la città ha vissuto le vicende di tutta la nazione: il governo liberale di Giolitti, la prima guerra mondiale, il ventennio fascista con i podestà, la seconda guerra mondiale durante la quale affrontava i drammatici giorni della carestia, dei bombardamenti aerei per la sua vicinanza a Napoli (memorabile quello del 13 Settembre del ’43), l’occupazione tedesca dopo l’armistizio, caratterizzata da razzie di uomini e cose, nello stesso Settembre, fino al passaggio liberatore degli eserciti anglo-americani, e il 20 Marzo del ’44 si aveva il primo sindaco della nuova serie nella persona del dott. Francesco Brancaccio, liberale. Nasceva nel ’46 la Repubblica e capo provvisorio dello stato era l’avv. Enrico de Nicola, napoletano, che, dimorando a Torre, ricevette qui, da autorità e cittadini, le prime felicitazioni della nazione. Dagli anni 50 fino agli anni 80 la popolazione è cresciuta molto (64.395 abitanti nel 1951, 77.576 nel 1961, 91.676 nel 1971, 103.605 nel 1981, 105.000 nel 1985), e nonostante nell’ultimo ventennio sia diminuita, con il fenomeno dell’emigrazione giovanile nel nord Italia in cerca di lavoro, di circa 10.000 unità, oggi la città resta comunque la terza della Campania dopo Napoli e Salerno con le sue attività legate al mare, all’agricoltura, al commercio e all’industria, unico centro noto in Italia e all’estero per la pesca e la lavorazione del corallo, cammei e affini, tanto da essere chiamata “la capitale del corallo”.