SPECIALE VESUVIO
 
Speciale a cura di
Silvestro Giannantonio
e Aniello Sammarco

La situazione. È bastata una scossa leggermente superiore alla media, per ridestare l’attenzione attorno al vulcano Eppur si muove Una piccola scossa, pochi secondi e la paura torna ad imperare. Il Vesuvio, ad un anno di distanza dall’avvio della crisi sismica (9 ottobre, scossa pari al 3.6 della scala Richter) che per mesi fece temere perfino una ripresa delle attività, si fa sentire nuovamente. Che il “Grande fratello” fosse attivo lo si sa da sempre, che la gente provi a rimuovere questa scomoda verità è altrettanto vero.
Ma ad ogni scossa tornano gli interrogativi di sempre. Cosa fare? Casa pensare? A chi credere? Nel bailame delle voci, registriamo la tranquilla reazione della direttrice dell’osservatorio Vesuviano, Lucia Civetta, e l’allarme - a volte sussurato, altre urlato - di Giuseppe Luongo.
Il terremoto di mercoledì 27 settembre, per il momento non prelude a una crisi sismica, come quella dell’autunno scorso per capirci. Ma nemmeno è possibile escluderlo. E se fossimo di fronte ad nuova crisi sarebbe la terza in cinque anni; troppe per gli esperti extra-Osservatorio. Se si pensa poi che quella del 1995/96 è stata la più pesante degli ultimi 50 anni (come scritto in un articolo apparso sullo “Smithsonian Institution - Globa1 Volcanism Network” e firmato tra gli altri da Lucia Civetta), pur senza far registrare scosse superiori al 3.5 (come invece il 9 ottobre ’99), c’è quantomeno da riflettere. E pensare: pensare allo scenario al quale ci troveremo ad assistere. Eruzione esplosiva è il punto di partenza di tutti gli studiosi. E tra questi registriamo i pareri di Flavio Dobran, ingegnere fluidodinamico “prestato” alla vulcanologia. Dobran è tra i maggiori esperti al mondo in fatto di simulazioni al computer, e con un Pc ha ricostruito una eventuale eruzione del Vesuvio. Dati alla mano, Dobran ha anche individuato una soluzione.
Posizionare due barriere alte 30 metri rispettivamente a 2.5 e 4.5 km di distanza dalla bocca del vulcano. Basterebbe questo - non parliamo di costruzioni che deturperebbero il territorio circostante, ma anche di semplici terrapieni - per fermare la colata lavica dopo un’eruzione. Si verrebbe a creare quello che gli esperti chiamano coignibrite, che impedirebbe alla lava di proseguire il suo percorso seguendo la topografia.
Ci sarebbe poi - fanno sapere sempre gli esperti - la “Base surge”, un fenomeno che non segue la topografia ma ha anche un raggio d’azione assai più ridotto. Insomma, per evitare che città come Torre del Greco vengano inghiottite dalla colata lavica, per Dobran bastano due “muri” alti trenta metri.
Lo studioso statunitense ha anche prodotto un cd nel quale è riportato per intero il suo studio, con simulazione annessa. Dall’Osservatorio nessuna risposta. Flavio Dobran ha anche affermato che in soli cinque minuti la colata lavica raggiungerebbe in caso di eruzione il mare: 300" per distruggere tutto quello che gli si para davanti, ad una velocità di 300 km/h. Nemmeno il primatista del mondo dei 200, Michael Johnson correndo ad una velocità costante potrebbe mettersi in salvo partendo da Torre del Greco. Forse al ritmo di Jan Ullrich, ciclista tedesco fortissimo a cronometro, qualche chance di salvezza in 5 minuti la potremmo avere. Traffico permettendo. è il caso di iniziare ad allenarsi? La ricostruzione.
Il Piano di Evacuazione ha preso ad esempio l’eruzione del XVII secolo. Ecco tutte la fasi dell’evento Nel 1631 vi furono oltre quattromila morti L’eruzione del 1631, iniziata alle 7 del mattino del 16 dicembre, fu caratterizzata da quattro fasi principali:

1) formazione della colonna pliniana, colonna sostenuta carica di ceneri, lapilli e pomici (dalle 7 alle 18 del 16 dicembre);
2) produzione di violente esplosioni intermittenti (dalle 18 del 16 dicembre alle 10 del 17 dicembre)
3) emissione delle nubi ardenti (tra le 10 e le 11 del 17 dicembre)
4) emissione delle ceneri freatomagmatiche (a partire dal pomeriggio del 17 dicembre). L’ultima fase fu accompagnata dalla formazione di colate di fango e da alluvionamenti (a partire dal pomeriggio del 17 dicembre). Secondo alcuni autori, durante il giorno 17 si ebbe anche l’effusione di alcune colate laviche verso mare.
La fase pliniana fu caratterizzata dalla formazione di una colonna eruttiva a forma di “pino” la cui altezza massima fu di circa 13 km fra le ore 7 e le ore 15, e di 19 km fra le ore 15 e le ore 18. La ricaduta del materiale solido trasportato dalla colonna si verificò ad est del vulcano, producendo un deposito di lapilli e ceneri in un’area stretta ed allungata a causa della presenza di un vento molto forte (circa 100 km/h).
Lo strato di lapilli presentava spessori massimi di una cinquantina di centimetri nella piana ad est del vulcano (area di San Giuseppe Vesuviano).
La fase eruttiva avvenuta nella notte fra il 16 ed il 17 fu caratterizzata da una serie di esplosioni discrete che causarono soprattutto un notevole panico.

Le nubi ardenti emesse durante la mattina del 17 dal Vesuvio devastarono numerosi villaggi ai piedi del vulcano.
I centri abitati di Boscoreale, Torre Annunziata, Torre del Greco, Granatello e Cercola, praticamente intoccati dai lapilli durante la fase pliniana, vennero rasi al suolo nel giro di due ore dal passaggio delle colate piroclastiche. Alcuni dei rami più consistenti delle colate piroclastiche raggiunsero il mare e vi entrarono nei pressi di Torre Annunziata, Torre del Greco e Granatello. L’emissione delle nubi ardenti del 1631 si verificò in concomitanza con lo sfondamento della parte sommitale del cono vesuviano e la formazione di una depressione sommitale (caldera) di circa 1.5 km di diametro.
Le nubi ardenti furono emesse da un’attività di semplice trabocco dal cratere (boiling over) e furono fortemente condizionate nel loro scorrimento dalla gravità e dalla morfologia. A causa di questa particolare dinamica la parete del Monte Somma costituì una barriera insormontabile ed una efficace difesa per i centri abitati di Ottaviano, Somma Vesuviana e Sant’Anastasia. Contemporaneamente all’eruzione delle nubi ardenti il livello del mare si abbassò di alcuni metri in quasi tutto il golfo di Napoli per una decina di minuti. Tale abbassamento fu seguito da un rapido rientro e dalla formazione di onde alte da 2 a 5 metri (maremoto).
L’eruzione delle ceneri freatomagmatiche si verificò principalmente nel pomeriggio del 17 e con un’intensità decrescente anche nei giorni seguenti. La fase di emissione delle ceneri fu accompagnata dalla ricaduta di ceneri umide e da forti precipitazioni. Molte abitazioni in un’ampia area intorno al vulcano subirono il collasso dei tetti a causa dell’accumulo di ceneri umide. Colate fangose di grosse proporzioni si riversarono lungo le valli del vulcano colmando gli alvei dei “lagni” e causando inattesi e micidiali fenomeni di esondazione.
La formazione della colate di fango fu favorita dalla sostanziale impermeabilizzazione del substrato operata dalle ceneri fini, che impedì il regolare assorbimento delle acque piovane. Questo aumento esorbitante della portata della rete idrica si verificò anche in quella parte dei rilievi appenninici, circostante il vulcano, interessati dalla ricaduta delle ceneri e dalla loro conseguente impermeabilizzazione.
L’eccesso di acqua superficiale causò anche estesi alluvionamenti nella piana campana nel triangolo approssimativamente compreso tra Acerra, Nola e Cicciano. La maggioranza delle persone (oltre 4mila) morirono per effetto delle nubi ardenti la mattina del 17. Il bilancio delle vittime sarebbe stato ben più grave se i centri della costa, su cui le nubi ardenti si abbatterono, non fossero stati pressoché totalmente evacuati spontaneamente la notte prima, a seguito del terrore generato dalla ricaduta delle ceneri e pomici della fase pliniana.
Diversi morirono annegati o travolti dalle colate di fango nel pomeriggio del 17. Il collasso dei tetti e la ricaduta di blocchi sembra aver causato un numero modesto di vittime. I danni dell’eruzione furono ingenti. Le cittadine di Torre del Greco, Torre Annunziata e Boscoreale furono rase al suolo. Largamente distrutte risultarono Ottaviano e Massa di Somma, mentre fortemente colpite furono San Sebastiano, San Giorgio a Cremano, Resina, Portici quasi tutta Somma Vesuviana e parte di Trocchia. Tutte le vie di comunicazione furono interrotte.
Moltissime abitazioni subirono il collasso del tetto a causa dell’accumulo di materiale piroclastico (lapilli e ceneri). Più di 400 tetti di case collassarono nella sola città di Nola (15 km a nordest del Vesuvio). L’inviato speciale di Ugo La Perta Anno Tremila, ritrovati tre corpi negli scavi di Torre Si è conclusa da soli due giorni l’ottava edizione delle Olimpiadi interplanetarie, disputatesi quest’anno su Marte.
Giochi emozionanti, che hanno visto la partecipazione di 18.300 atleti, provenienti da tredici pianeti diversi. Ho ancora negli occhi le splendide prove fornite dagli atleti, con il fantastico record conseguito dal rappresentante di Giove nel salto in lungo, capace di raggiungere con un solo balzo direttamente la Terra. Tre settimane di durissimo lavoro, con ventisei ore di dirette al giorno (è faticoso lavorare adesso che le ore quotidiane sono quaranta). Già gustavo una bella vacanza nella mia residenza estiva sulla Luna, quando mi squilla il telefonino.
Dall’altra parte, il direttore: “Ugo - mi diceva, con voce ferma e decisa - sai, quest’oggi hanno ritrovato tre corpi negli Scavi di Torre del Greco”. Scavi di Torre del Greco: ne avevo sentito parlare. Il direttore conosceva le mie origini torresi. Un mio trisavolo decise di abbandonare la città poche ore prima che il Vesuvio eruttasse. Fu uno dei pochi a non ascoltare gli appelli alla calma, mentre i terremoti facevano crollare le case e aprire le strade. Si narra che la gente presidiava il Palazzo di Città, chiedendo informazioni al sindaco: “Non succederà nulla - assicurava il primo cittadino -, abbiamo ampie garanzie. E poi, il nostro Piano di Evacuazione è predisposto per qualsiasi emergenza” ripeteva all’inverosimile.
L’ultima volta fu drammatica: “Adesso andate via, il Vesuvio non esploderà mai” disse, sbattendo con forza i pugni sul tavolo. Pochi minuti dopo era inghiottito dalla lava. Pare sia suo uno dei tre corpi rinvenuti a Torre. A rivelarci la sua identità, sarebbe stata quella fascia tricolore che non abbandonava nemmeno quando andava a letto assai più catastrofico”.
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