"Steminator vesevo"

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L'epitaffio (ncopp''u pataffio)
Strada Regia (Via Nazionale)

 ...Prima dell'incendio il mare batteva con le sue onde alla ripa del castello, senza però che offendesse il fonte che scaturisce sotto detto Castello, né impediva che gli uomini e le donne torresi andassero a pigliar l’acqua fuorché in caso di grande tempesta che l’onde de1 mare entravano fin dentro detto fonte.
Batteva similmente il mare alle ripe delle massarie che si ritrovano appresso, verso il luogo detto S. Nicola, fin alla Torre detta del Bassano, nel qual luogo vi era d’arena solamente da palmi quaranta in circa e hoggi ve ne sono da cento venti passi, dove più e dove meno. Qual vacuo di terra fu causato dall’arena, cenere e altra materia che in abbondanza calò dal monte e fece ritirare il mare per detto spatio di passi cento venti in circa. Nel qual terreno hoggi vi sono fatte massarie e ogni anno vi si fanno hortolitie (= ortaggi, n.d.r.) in abbondanza” (Tale fascia di terreno venne chiamata ”mare seccato” e diventò proprietà dell’Università). Sulla Strada Regia delle Calabrie, ora Via Nazionale, verso Torre Annunziata, al Km.15, addossato alla facciata della Villa Faraone Mennella, si vede ancora oggi il cosidetto Epitaffio.
Esso ha forma monumentale, costruito in pietra vesuviana, e presenta due, lapidi, una prima più piccole, posta più in alto, una seconda molto più, grande posta sotto l’altra. In origine il monumento sorse per ricordare il rifacimento della strada che andava da Napoli alle Calabrie, avvenuto nel 1562 ai tempi del viceré spagnolo Perafan, de Ribera duca d'Alcalà. Infatti nella prima lapide l'iscrizione in latino, dice:

VIAM
 A  NEAPOLI  AD  REGIUM 
PERPETUIS ANTEA  LATROCINIIS  INFAMEN 
ET CONPLAGRATI VESUVII SAXIS IMPEDITAM.
PURGATO  INSIDIIS  LOCO
EXAEQUATA PLANITIE 
LATAM  RECTAM  (UE)  DUXIT
AERE  PROVINCIALI 
PERAFANUS  RIBERA ALCALANO  (RUM)  DUX  PROREX
ANNO  DOMINI  MDLXII

(Questa via che conduce da Napoli a Reggio, già infame per continui latrocinii e di difficile transito per vie tre dell’arso Vesuvio, liberato il sito dalle insidie, livellato il piano rese larga, e diritta, col denaro della Provincia, Perafan de Ribera, duca d’Alcalà, Viceré, nell'anno del Signore1562). Il 16 dicembre 1631 la detta lapide fu travolta dalla furia devastatrice del Vulcano e andò dispersa, come dice il Balzano.
Dopo l’eruzione, essendo stata ritrovata la lapide fu ricostruito il monumento nel 1635 per opera del viceré Emanuele Fonseea, conte di Monterey. In alto fu collocata la primitiva lapide e in basso una seconda che commemora l’immane disastro (ed è appunto un epitaffio), anch’essa scritta in latino:

AT O
VIII ET LX POST ANNO XVII CALEND (AS) IANUARII
PHILIPPO IV REGE
FUMO, FLAMMIS, BOATU
CONCUSSO CINERE ERUPTIOHE
HORRIFICUS, FERUS SI UNQUAM VESUVIUS
NEC NOMEN NEC FASCES TANTI VIRI EXTIMUIT QUIPPE, EXARDESCENTE CAVIS SPECUBUS IGNE, IGNITUS, FURENS, IRRUGIENS,
EXITUM ELUCTANS. COERCITUS AER,

    
         Epitaffio seicentesco sulla Strada Regia
              per le Calabrie, ora Via Nazionale

IACULATUS TRANS HELLESPONTUMDISIECTO VIOLENTER MONTIS CULMINE,
IMMANI ERUPIT HIATU POSTRIDIE,
 CINEREM
PONE TRAHENS AD EXPLENDAM VICEM PELAGUS IMMITE PELAGUS
FLUVIOS SULPHUREOS FLAMMATUM BITUMEN,
FOETAS ALUMINE CAUTES,
INFORME CUIUSQUE METALLI RUDUS,
MIXTUM AQUARUM VOIURINIBUS IGNEM
FEBRVEM (QUE) UNDANTE FUMO CINEREM
SESEQ (UE) FUNESTAMQ (UE) COLLLUVIEM
IUGO MONTIS EXONERANS
POMPEIOS HERCULANEUM OCTAVIANUM, PERSTRICTIS RECTINA ET PORTICU,
SILVASQ (UE), VILLASQ (UE), (UE)
MOMENTO STRAVIT, USSIT, DIRUIT
LUCTUOSAM PRAEA SE PRAEDAM AGENS
VASTUMQ (UE) TRIUNPHUM.
PERIERAT HOC QUOQ (UE) MARMOR ALTE SEPQLUM CONSULTISSIMI NO MONUMENTUM PROREGIS.
NE PEREAT
EMMAHUEZL FONSECA ET SUNICA COM (ES),
MONT IS RE (GIS) PROR (EX),
QUA ANIMI MAGNITUDINE PUBLICAE CALAMITATI EA PRIVATAE CONSULUIT
EXTRACTUM FUNDITUS GENTIS SUI LAPIDEM.
COELO RESTITUIT, VIAM RESTAURAVIT,
 FUMANTE ADHUC ET INDIGNANTE VESEVO.
AN (NO) SAL (UTIS) MDCXXXV,
PRAEFECTO VIARUM
ANTONIO SUARES MESSIA MARCHI (ONE) VICI.

(Ma, haimé, 68 anni dopo (1631) al 16 dicembre, sotto il regno di Filippo IV. con fumo, fiamme, boati, terremoto, cenere, eruzione, orribile, fiero come mai, il Vesuvio non temé il nome né la potenza di tanto illustre uomo poiché per il fuoco ardente dalle spelonche interne, arroventato, furente, turbinante, compresso, aprendosi una via, schiantata violentemente la cima del monte, irruppe il giorno seguente in una immensa voragine. Scagliata la cenere fin oltre l'Ellosponto, trascinando dietro di se una marea per completare la rovina, una marea crudele, fiumi di polvere, bitume infiammato, pietre piene di allume, scorie informi di metallo d'ogni sorta, fuoco mescolato a cateratte di acqua, cenere bruciante per il fumo che l'avvolgeva liberando se stesso e quella funesta congerie delle falde del monte, dopo aver bloccato Resina e Portici, in breve istante abbatté, bruciò, atterrò Pompei, Ercolano (Torre del Greco), Ottaviano, e selve e Ville ed edifici, spingendo innanzi a se la sua funerea preda e il suo vasto trionfo. Anche questo marmo era perito, profondamente sepolto, monumento dell'illustrissimo viceré. Affinché non perisca, Emanuele Fonseca e Zunica conte di Monterey, viceré, con tanta grandezza d'animo per la pubblica calamità, a spese private ordinò estratta da sotterra la lapide del suo connazionale, l'ha restituita alla luce ed ha restaurata la strada, mentre il Vesuvio è ancora fumante e indignato. Nell'anno di salute 1635, essendo prefetto delle strade Antonio Suares Messia, marchese di Vico.