"Steminator
vesevo"
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Lucerne di terracotta recuperate nella antica chiesa sotterranea di S. Maria del Principio. (Foto tratta da "Quaderni de la città" S. Polese e G. Sbarra - Cons. Com. T. Greco - 1987). La popolazione di 20 mila anime tutta poté fuggire con alquante masserizie accalcate sulle strade che, screpolate, impedivano i carri , anche la via ferrata fermò. Fu grandissima sventura con grandi disagi e perdite di roba, ma non pericolò uomo; onde questo e lo arrestamento della lava ascrissero a miracolo dell’Immacolata. Il giorno 11 tutta l’eruzione era spenta. Il pietoso caso ebbe eco nell’animo di re Francesco che, quantunque esule e povero, incontanente mille ducati, posso dire tolti alla sua mensa, fè tenere a1 cardinale di Napoli, con questa lettera del 15 del mese ”Come a pastore della diocesi ov'è Torre del Greco, mando a Vostra Eminenza mille ducati da parte mia e della regina per aiuto a quei danneggiati infelici. Non e lagrima dei miei, sudditi che non mi cada sul cuore; Né penso alla mia povertà se non quando, come adesso, m’impedisce di fare il bene che ho sempre anelato di fare. Una nuova calamità aggiunge crude sventure alle tante che gravano sui popoli. miei; gli abitanti d’una, città vcina alla mia reggia erano raminghi in aspro inverno, attorno ai loro focolari distrutti. Vostra Eminenza sa quello che l'iniquità e il tradimento fecero della mia corona. Sovrano proscritto non posso accorrere tra i miei sudditi per sollevarne le pene. La mano del re delle due Sicilie è impedita; l’esule non ha ricchezze ché, lasciando la terra degli. avi ne portava soltanto lo imperituro amore per la patria perduta. Mi siano pur grandissime le mie sventure e fievoli le mie facoltà, re sono e debbo 1’ultima stilla di sangue e 1’ultima mia moneta ai popoli miei; non dimeno l’obolo del povero ch'oggi loro mando valerà forse assai agli occhi loro che tutto quanto in più prosperosi tempi, che certo torneranno, potrò fare a lenimento delle loro infelicità". La vedova regina M. Teresa diè mille franchi, cinquecento il conte di Trani, dugento quel di Caserta, cento quel di Girgenti, cento quel di Trapani. E i fuoriusciti napolitani aggiunsero tutti la loro moneta sottratta all’amaro pane dell’esilio. Soccorsi erano fievoli, ma amorevoli più, che di continuo ogni dì tra gli esuli si facevano collette e lotti per susside alle povere famiglie di tanti sbandeggiati. La rivoluzione fe’ anche pompa di largizioni. Il medico ex luogotente Farini, che tante migliaia del reame s'avea, beccate, dié magnanimamente dieci franchi tra i torinrsi oblatori. Ma il redentore Garibaldi, sentito anch'esso quel "grido di dolore" da Caprera, non avvilì sè e i danneggiati col dare danari ma, presa la penna, mandò una brava lettera promettente ”unire la sua voce a quella dei generosi che l’alzeranno per quell’infelice popolazione”. E' argomento patetico, aggiunse: ”Roma e Venezia sorelle schiave hanno l’amore dei liberi che giurano strapparle agli eserciti sterminatori. Torre del Greco non è infelice quanto Roma e Venezia perché la lava, e i tremuoti non possono ammiserire la razza umana.... Significava aversi a spendere per Roma e per Venezia, non per Torre; ai Torresi bastava il sollievo d’udire da quella bocca che nudi, al freddo, fuor dagli aviti tetti, caduti, erano meno infelici dei Veneziani e dei Romani nei loro palagi (3). |
Resti sotterranei dell'antica chiesa Madonna del Principio. In fondo il pilastro della navata destra, ai lati le macerie della volta che poggiano sul pavimento originario con bordure e medaglioni in maiolica. (Foto da "Quaderni de la città" S. Polese e G. Sbarra - Cons. Com. T. Greco - 1987).
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