Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 15

             L'unificazione del regno di Sicilia con quello di Napoli ad opera aragonese, compiutasi nel 1442, incrementò enormemente le possibilità dei corallari partenopei,e ne accentuò la capacità di compiere cam-pagne alquanto lontane dalle loro basi. Del resto la loro abilità risulta anche dal gettito fiscale assicurato alla corona. Da un documento fiscale del 1444-45 si evince che la gabella imposta sul corallo oscillava tra grana 6 e grana 15 per oncia, peraltro indizio inequivoco della diversificazione qualitativa del grezzo. Per meglio apprezzare l'entità della pesca basti considerare che la gabella sul pescato, dava per il solo 'banco' di Massalubrense nel medesimo periodo la ragguardevole cifra di 23.000 ducati annui (48): è indicativo ricordare che nella stessa epoca con soli 300 ducati si costruiva una torre costiera di media grandezza!
            Le lungimiranti disposizioni governative possono considerarsi le antesignane di una purtroppo scarsamente ricorrente politica di sviluppo industriale del mezzogiorno. Alfonso d'Aragona è stato unanimamente tramandato quale amante dello sfarzo e del lusso, ma anche della regolamentazione dello sfruttamento razionale di risorse tipiche del regno quali per tutta la famosissima 'Dogana delle pecore' (49), e tali connotazioni sembrano attagliarsi perfettamente alla incentivazione dell'atipica attività marittima. La richiesta del resto dell'oro rosso si con­ferma­va in costante ascesa: da ogni parte d'Europa giungevano ordinativi, ormai di gran lunga esulanti le effettive disponibilità: istigavano comunque l'incremento dei prezzi e quindi l'intensificazio­ne della pesca. In breve: "...Napoli era divenuta in quel secolo un centro commerciale dove confluiva il corallo pescato sulle coste vicine, specialmente nel suo golfo e nelle isole dell'Arcipelago Partenopeo e Pontine, e non è da escludere quello di pescherie più lontane del Mediterraneo, sarde, siciliane, dalmate, egee e forse anche africane. Ciò si deve inferire alla durata dei contratti napoletani talora estesa a due stagioni estive ...Altri indizi ne sono il quantitativo calcolato a cantari, la grandezza dei rami scelti che varia da contratto a contratto e che talora supera il peso di un rotolo, i luoghi di origine di alcuni dei capitani di pesca ed infine le importazioni di corallo da parte di allogeni, quali i Genovesi e i Sicilia­ni..."(50).
           
 La contempo­ranea so­vranità aragonese sul regno di Napoli, i Sicilia e di Sardegna, giocò un ruolo incentivante assolutamente eccezionale: Alghero in pochi decenni si trasformò in primaria base commerciale del corallo, ed in quanto al centro dei più ricchi settori di pesca divenne anche la principale base operativa delle coralline, protette dalle sue possenti fortificazioni (51). Se per la seconda volta si riscontrano precise regolamentazioni per l'attività tese al rispetto dei limiti naturali, per la prima furono date esplicite sollecitazioni per l'individuazione di altri banchi lungo le coste cagliaritane. E la Sardegna costituì per un notevole arco cronologico l'area di pesca per antonomasia, affiancando agli altri pregi quello di confermarsi di gran lunga la meno rischiosa. Il che non significava affatto sicura, perchè con lo spostarsi dei pescatori si spostarono e si incrementarono, stante la loro maggiore vulnerabilità, anche i razziatori barbareschi, parassitismo che poteva ormai riguardarsi per canonizzato.
             Circa le modalità di aggregazione per la pesca in base ai documenti pervenutici, possono discretamente tratteggiarsi suddividendosi in due tipologie fondamentali, peraltro abbastanza consuete nella marineria quattrocentesca e rinascimentale. Nella più semplice abbiamo da una parte gli armatori, proprietari delle imbarcazioni, dall'altra i 'padroni' o capitani pescatori: al termine della campagna i secondi vendevano ai primi l'intero pescato ad una prestabilita quotazione commerciale, ovviamente inferiore a quella corrente. E' ben evidente la compartecipazione ai rischi, costituiti nella perdita per i possidenti del capitale investito e della corallina, e per i lavoratori della fatica e non di rado della vita. Quanto agli utili si dividevano in quote secondo le rispettive e tradizionali spettanze gerarchiche.
            Più complessa invece la stipula fra armatori e capitani, previo noleggio dell'imbarcazione. In tal caso mentre i primi si facevano carico della fornitura della corallina con relativo equipaggio, i secondi certamente di accertata e notoria esperienza della capacità di condurre una proficua pesca. Al rientro tutto il prodotto veniva venduto al miglior prezzo, e quindi l'utile complessivo suddiviso in quote prestabilite e gerarchicamente decrescenti.
            Non mancavano, ovviamente, formule diverse ma risultano meno praticate: è singolare osservare che similari impostazioni erano adottate anche dai corsari barbareschi al profilarsi di ogni stagione di caccia (52), con la sola differenza che la spartizione contemplava innanzitutto i disgraziati prigionieri catturati nelle razzie, da vendere all'incanto sui mercati di schiavi nordafricani, e quindi le prede materiali.
            La relativa abbondanza delle fonti circa i contratti per la pesca del corallo costituisce una ulteriore conferma del suo costante incrementarsi. A Torre del Greco verso la fine del '400 aveva attinto ormai apporti economici tali che allorquando Antonio Carafa, succeduto nella capitania della cittadina al padre Francesco, volle approfittarne attraverso una onerosa gabella, sollevò le immediate rimostranze degli armatori. Il loro vibrato ricorso fu accolto dalla Reale Cancelleria e l'incauto feudatario si vide costretto non solo alla rinuncia del cospicuo introito ma anche alla restituzione di quanto già estorto. Onde evitare similari iniziative future i torresi pretesero la specifica enunciazione della prerogativa in una dettagliata capitolazione,de­bitamente concessa dal sovrano,che così recita al 6  articolo dei suoi 58 :  

     "...che sia lecito a deti cittadini, et abitanti senza pagamento nullo possano andare tam in territorio et mare di detta Torre et casali; quam in extra a pescare coralli, et de quelli che piglieranno non siano obbligati a pagare cosa nulla..."(53).

 

                Implicito ravvisare proprio nel rarissimo consenso regio la ormai acquisita rilevanza commerciale della categoria ed il basilare gettito fiscale da essa garantito, conferma a sua volta della notevole produttività delle coralline.    
Certamente i rendimenti della pesca non risultano, a differenza dei rischi, dovunque straordinari ma pur sempre remunerativi.Agli inizi del '500 allorquando un sottufficia­le di carriera dell'esercito spagnolo di stanza in Italia, percepiva uno stipendio mensile di 4 ducati, cifra affatto disprezzabile (54), con la stessa quantità di denaro si potevano acquistare circa kg 3 di corallo grezzo, frutto, nei casi di pesca non particolarmente fortunata, di una giornata di lavoro: ma occorreva saperlo trovare ed estrarlo dal mare! Ed è ulteriormente emblematico che, per la fin troppo evidente ricchezza generata dall'attività, un altro capitano della cittadina,il principe di Stigliano, tentando la riapplicazione della gabella nel 1577, fu nuovamente costretto a retrocedere da parte del governo, non certo particolarmente sensibile ai diritti fiscali dei sudditi.