Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 14

Non a caso:"...è allora che con il lievito delle ciurme sicilia­ne,liguri,e provenzali,e con le gesta di Guglielmo Boccanegra e di Corrado Lancia, si viene affermando nel bacino tempestoso del Mediterraneo occidentale la nuova potenza navale catalana. E' essa che, poco dopo il Vespero siciliano (1282), con Ruggero di Lauria, il grande Ammiraglio di Pietro d'Aragona, sacheggiando nel 1286, Marsa el Kharez [Mascares] sulle coste di Barberia, distrugge non solo il nido da cui i corsari saraceni portavano il terrore nelle terre cristiane, ma anche la base della pesca araba del più pregiato corallo.
             Vediamo allora, nelle note, aspre contese tra Angioini di Napoli e Aragonesi di Sicilia, la pesca del corallo divenire per questi ultimi, come per i primi, lievito di agguerrimento per le ciurme e mezzo di attrazione e di ricompensa per i vassalli; e Trapani,base di armamento della pesca del coral­lo,diviene vera base strategica." (43).
            Se fino a questa vicenda le connessioni tra pesca del corallo e contese militari erano di sfondo,divengono in seguito continuamente più coerenti ed interdipendenti:il corallo assumeva sempre di più la colorazione rosso sangue!
                Tornando agli Angioni di Napoli vi è da osservare tuttavia che nonostante la rozzezza e l'ignoranza dell'epoca si inizia a configurare una precisa consapevolezza di quello che oggi definiamo 'sviluppo compatibile' con le risorse ambientali,nella fattispecie una regolamentazione ecologica della pesca.Per cui:"...Carlo I d'Angiò nel 1276, concesse licenza ad alcuni Marsigliesi e Provenzali di pescar coralli nei mari di Principato e Terra di Lavoro, ordinò inchieste per accertare il quantitativo di corallo estratto dagli stessi Marsigliesi e Provenzali sia da altri,e inibì la pesca senza permesso del re,evidentemente non tanto allo scopo di esercitare un diritto regio,quanto per impedire il depuaperamento delle risorse locali..."(44).
             Agli accorti amministratori non sfuggiva,ed è forse una conferma dell'apporto economico significativo derivante dalla pesca del corallo,che un intenso sfruttamen­to dei banchi avrebbe comportato  una svalutazione del pro­dotto e soprattutto una irreversibile ablazione dei banchi. Del resto la ormai notevole esperienza acquisita nella sua pesca aveva fatto rilevare come occorressero alcuni decenni affinché, rigenerandosi il corallo,tornasse remunerativa la pesca nei medesimi paraggi.Al pari dei boschi, pertanto,si adottò una sorta di turnazione dei settori costieri ritenuti corallogeni. La facilità e l'eccessivo numero delle concessioni rilasciate tra la fine del XIII e l'inizio del XIV dovettero far temere l'esaurimento irreversibile dei banchi della penisola per cui se ne bloccò drasticamente la pesca. Emble­matica al riguardo una precisa interdizione di Roberto d'Angiò del 1332-33,tra le poche scampate alla distruzione degli archivi, così titolata:  

     "Edictum quod non extrahantur coralli injussu regis a mari inter Caprum et Minervam, ubi coralla­rum maxima copia invenitur."(45)

             Il documento testimonia pure, indirettamente, la diffusa pratica della pesca ad opera dei napoletani, e dei capresi in particolare. Le concessioni pertanto iniziarono a tener conto,nei limiti delle competenze vigenti e del rispetto delle stesse,della necessità di pause biologiche miranti al riprodursi della pregiata specie. In ogni caso comunque il pescato subiva scrupolose ispezioni, già di prammatica per il carico fiscale,miranti però in questo caso a stabilire eventuali viola­zioni dei limiti stabiliti. La saggia normativa disgraziatamente non trovò pari adesione nei successivi monarchi della dinastia che pressati dalle endemiche ristrettezze economi­che del Regno, si trasformarono in promotori di un selvaggio  sfruttamento. Le inopportune disposizioni costituirono la premessa per il successivo radicale esaurimento dei banchi della costa amalfitana, verso la fine del '400. Non scomparve però l'incentivo alla sua ricerca ed alla sua pesca,grazie alle ormai specializzate e radicate competenze, per cui divenne indispensabile per i cercatori trasferirsi sempre più lontano per quadagnarsi la giornata.                L'avvento della dinastia aragonese segnò un ulteriore incremento della pesca che assurse ad attività privilegiata con cospicui introiti per l'erario regio.E' interessante ricordare al riguardo che già nel 1418 Alfonso il Magnanimo, perfet­tamente conscio del ruolo trainante che la pesca del corallo rappresentava per la Sicilia,attivando un vasto indotto, a libeèrò rapidamente da ogni gravame fiscale.Così i 'Capitula Gratiarum Privilegiorum' al rigurado:

 "Capitula Gratiarum Privilegiorum

...quod piscantes dictos corallos sunt exempti immunes et liberi ab omni impositione seu gabella novissima imponenda a Regia Curia quemdamodum in aliis Mundi partibus piscantes corallos sunt liberi et exempti et non solum Vassalli Ill.mi Regis Aragonum Domini Nostri immo et subiecti aliis Regibus et Communitatibus..."(46).

Il che non compromise i proventi fiscali del settore corallino in­troitandosene di gran lunga maggiori dalla viva­cissima commercializzazione nel frattempo istauratasi.
   
            Ovviamente liberalizzatosi lo sfruttamento,tirando il mercato  e vigendo una discreta protezione militare l'atti­vità di ricerca divenne frenetica ed i risultati sembrarono confortare le speranze.I banchi di corallo in seguito a minuziose ricognizioni parvero moltiplicarsi lungo le coste non solo della Sicilia e della Sardegna,ma persino della Liguria,del Lazio,della Tosca­na ed ancora,stando ad un mano­scritto del XVI secolo:

     "...trovase assai pure appresso all'isola di Ponza posta all'incontro della maremma di Roma ma per tema di corsari scarsamente pescato..."(47).