CALABUSCIA - Pag. 270 - Aetas
Internazionale - Roma
E' il racconto di una guerra inedita, quella di una fuga dopo
l'armistizio lungo tutto la penisola di due napoletani, padre e
figlio,alla ricerca di una salvezza che si rivela una mera chimera.
"Calabuscia" è la trasposizione partenopea di calaboose(in
americano "gattabuia") e indica il precipitare continuo,
in guerra come in pace, da un carcere all'altro fino all'esito
finale dell'ultima prigione, la morte. I personaggi parlano in
dialetto napoletano. Questo contribuisce a dare un'atmosfera da
filosofia di vita partenopea ad avvenimenti ora decisamente
burleschi in sé ora tragici. *Al libro, scritto col sistema
ipertestuale Teseo, sono state aggiunte nel marzo 1996 schede di
supporto per la diffusione nelle scuole medie inferiori e
superiori.
Adottato come libro di testo nell'Istituto Platone di Casalpalocco,
dove l'autore ha tenuto conferenze per spiegare il nuovo romanzo
storico del 2000 ("Da Manzoni al computer"). *Vincitore
nel maggio 2001 del premio letterario "Il Telescopio" con
un racconto tratto dal romanzo. http://digilander.iol.it/lucioleo/zeus51/51verro.html
*Citato nell'articolo di Simone Navarra, Balvano, la tragedia
dimenticata, su "Il Nuovo" 2 marzo 2002 http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,108993,00.htm
l MOTIVI D'INTERESSE
n occasione delle celebrazioni del cinquantenario della liberazione
il libro per la sua capacità rievocativa di suggestioni
dell'epoca(si opera talora una minuziosa ricostruzione di oggetti,
mode, costumi etc.) e di fatti realmente accaduti, è adatto sia a
un pubblico anziano che quegli avvenimenti vissero, sia ai giovani
per far conoscere situazioni in fui furono coinvolti i lorro
padri.
PREFAZIONE
L'idea di scrivere questa storia sulla Seconda Guerra Mondiale nasce
da un gesto di affetto verso i miei genitori,i quali hanno voluto
raccontarmi le loro memorie di quei tempi terribili. La mia
generazione è sorta appena pochi anni dopo quella disastrosa
guerra.Rispetto ai figli veri e propri del conflitto faccio parte
della schiera dei nati un momento dopo,di quelli che pur venuti
fuori in tempi di pace sentono ancora addosso la casualità di
un'esistenza,dove la nascita dei singoli è stata più che mai
appesa a fili di vicende orrende. Ho sempre avvertito fin da
piccolo,come tanti ragazzi della mia generazione,un'idiosincrasia
viscerale nel vedere e leggere fatti di guerra,che mi davano quanto
meno un senso di noia e di cupezza. A quarant'anni ho posto fine a
quell'esorcismo che,rovesciandosi,nella consacrazione mi riforniva
di una nuova gioia di vivere.
Mi sono messo allora a registrare i ricordi dei miei cari,a
raccogliere qua e là testimonianze vere di amici e conoscenti che
vissero quegli anni da civili,da soldati,da deportati,sicché
dall'avversione al genere,percependo il sentimento che animava
quelle storie,è nato come per incanto l'entusiasmo di un narrare.
Ho potuto constatare in quei racconti una sorta di enigmatico
enantiodroma.
Notavo infatti che i più non avevano piacere a raccontare,vittime
anch'essi di un esorcismo della memoria,che rinnegava il vissuto per
dimenticare per sempre il dolore del tempo catastrofico.Quando però
prendevano il via, notavo che divenivano preda di una
meraviglia,prima per me che chiedevo di quel tempo,e poi per se
stessi animati da uno spirito superiore su fatti,che ormai
lontani,sembravano essere entrati nel dominio di una superiore
coscienza.
Quella coscienza del saggio che sa,accetta e racconta,sempre ha dato
felicità agli anziani di tutte le latitudini. Mi sono chiesto anche
quale significato avesse per un figlio raccontare la guerra vissuta
dai padri e ho trovato nell'impresa un valore profondo. Fondere la
mia emozione letteraria e culturale con le vicende brute raccontate
dal trovatore genitoriale,permetteva un trasfert veramente eccitante
con le generazioni passate e alla fine,in un'unione di comprensione
senza sforzo,generava una nuova comprensione che annullava il tempo.
Contemporaneamente il cronotopo zero,che è proprio della dimensione
atavica,introiettava il rapporto in una dimensione mitica,là dove
il senso di grande antiquatezza della Seconda Guerra Mondiale,così
nuova,ma già così vecchia, permetteva alfine di ricevere quella
fabulazione metafisica di cose che mai più ritorneranno.
Dopo essermi dilettato a descrivere fantastiche catastrofi
sociali,raccontarne una vera mi sembrava ancora più elettrizzante.E
questo nell'esaltante consapevolezza che la Seconda Guerra Mondiale
è stata anche l'ultima grande guerra internazionale combattuta
dall'uomo.O forse la penultima,perché la prossima,se ci
sarà,durerà lo spazio di 48 ore e ognuno se la potrà godere
stando comodamente sprofondato in poltrona in attesa che i raggi
atomici brucino le nostre carni.
* * * Un'ipotesi agghiacciante?
Va bene. Ma intanto le schiere di mortali, con o senza guerre,
continuano a salire lassù come notava l'ingegnere Luciano De
Crescenzo in un nostro dialogos sull'argomento. Lui, maestro di
narrativa nella napoletanità, ha voluto dilettarsi a parlare con me
di questo mio quasi isolato tentativo di esplorazione nel
labirintico slang partenopeo. E, filosofeggiando, mi ha prospettato
l'ipotesi che anche i miei avi, come i suoi in Oi dialogoi, chiedano
notizie su di me alle fresche anime arrivate. Eccoli là nonno
Gennaro e nonna Giulia(eroi popolari della storia che vi apprestate
a leggere) "sulla soglia del Paradiso, che chiedono
informazioni a tutti i napoletani in arrivo" e in particolare a
una giovane coppia morta in un incidente stradale.
"Da dove venite?". "Da Torre del Greco...Abitavamo a
Montedoro...vicin'a Casina Rosa...proprio sott'o Vesuvio".
"Sapete niente di un certo Gennaro Francione, amico di Luciano
De Crescenzo?".
"Luciano De Crescenzo lo conoscono tutti come scrittore.
Gennaro Francione... è noto tra i delinquenti!". "I
delinquenti?!" chiede interdetto il nonno indurendosi, mentre
la consorte buonanima mette l'indice piegato in bocca e diventa più
pallida di quello che di solito è.
"Certo! Fa il giudice!" risponde l'anima maschia.
"Aah...". Il nonno si rilassa e osserva sfiatando la
mogliera che molla il dito. Poi, impettendosi fiero del nipote
rivestito di una carica così nobile, continua:
"Ma ci avevano detto che vuleva fa' 'o scrittore... è bravo...comm'
a De Crescenzo!".
"Ci dispiace. Non sappiamo davvero nulla di questo".
"Allora ve lo dico io. Ha scritto una bellissima storia su
quella seconda maledetta guerra che io e la mia famiglia abbiamo
vissuto...". "Ce l'ha la prefazione di un autore
famoso?".
"No. Per quelle cose ci vuole un santo in Paradiso... Anche se
si è bravi...". "Perché non vi rivolgete là
sopra?", fa la spiritella. "Lassù... è un'idea.
Il nostro Superiore ha fatto quello splendido volume tradotto in
tutte le lingue del mondo che è la Bibbia e una mano ce la
darà". E fu così che i due vecchi per aiutare il nipote
scrittore chiesero udienza nientemeno che al Sommo. Molto dovettero
faticare per superare le non poche difficoltà frapposte dalla
burocratica schiera di San Pietro.
La coorte sanpietrina aprì loro con mille grimaldelli le infinite
porte, con non poco dispendio di tempo, proprio per superare i
centomila trabocchetti frapposti agl'imbroglioni di mezzo mondo(con
in testa quelli di Forcella) che, per essersi pentiti per tempo,
pure hanno accesso in paradiso.
Alfine la Luce esplose fortissima innanzi a loro, ma dopo la prima
gioia i due vecchiarelli se ne tornarono con la testa ciondolante in
spalla.
"Avete domandato allora grazia a Dio?" chiese la coppietta
di Montedoro che la cosa se l'era presa a cuore. "Abbiamo
chiesto ma Egli nulla può".
"Ma come?! Possibile?! E che vi ha detto?". E' la Giulia a
parlare, perché a lei, indubbiamente più devota come lo sono tutte
le pie donne di Napoli, il marito lasciò il sublime compito di
elevare l'altissima prece.
"Egli disse: 'Signora se è amico di De Crescenzo dovrebbe
bastare... Lui con quei capelli grigi e la barba bianca sembra un
santone indocristiano. E' gentile, educato e di buon cuore.
Ma soprattutto sa apprezzare quello che vale. Se la prefazione la fa
quello là sotto... |
LA
CIBERFLOTTA DI ANTIARTE.IT
Caro sig. Mari le inviamo per intera la nostra cyberflotta
Astrid Agius
P.S. Ha conoscenza di compagnie teatrali a
Torre intenzionate davvero a fare "teatro" nuovo? Il
giudice (Gennaro Francione. N.d.r.)
è dovuto andare in Svizzera per
portare un'opera in napoletano.
Le sue opere le potrà trovare nella biblioteca di Adramelek Theater
L'ASSOCIAZIONE RINASCIMENTO 2000 E' LIETA
DI PRESENTARE I NOSTRI SITI IN RETE
1) ANTIARTE 2000: LA RIVOLUZIONE DELL'ESTETICA NEL CYBERSPAZIO:
http://www.antiarte.it
2) ADRAMELEK THEATER: Il TEATRO MAGICO E UROBORICO DEL TORRESE
GENNARO FRANCIONE:
http://www.antiarte.it/adramelekteatro
2) Il CYBEROMANZO DI FRANCIONE: IL METODO IPERTESTUALE TESEO
PER IL ROMANZO DEL FUTURO:
http://www.antiarte.it/cyberomanzofrancione
4) UNIONE EUROPEA GIUDICI SCRITTORI(EUGIUS): LA NUOVA UNIONE
DEI GIUDICI UMANISTI D'EUROPA:
http://www.antiarte.it/eugius
5) UROBORNAUTA: VIAGGIO NEI MONDI MAGICI DI FRANCIONE:
http://www.antiarte.it/urobornauta
6) MOVIMENTO UTOPIST-A(MU): IL GIOCO DELL'ANTIPOLITICA IN
RETE:
http://www.antiarte.it/movimentoutopista
7) ARTISTIKA: L'ANIMA DELL'ARTE NELLA VILLA-AZIONE
PERMANENTE DEGLI ARTISTI LIBERI:
http://www.antiarte.it/artisti-ka
8) TRENO DI LUCE 8017: L'INNO ALLA PACE DEI 521 MORTI DELLA
TRAGEDIA DI BALVANO http://www.antiarte.it/trenodiluce
|
". E così fu. Il gatto si
morse la coda e il galantuomo ingegnere, il padreterno della
scrittura terrena napoletana, una mano ce la diede. A nome anche di
quelle pure e translucide anime trapassate, davvero grazie,
ingegnere.
I pezzi di Oi dialogoi(ott. '85) in originale e parafrasati sono
stati riportati per gentile concessione dell'autore Luciano De
Crescenzo e della Arnoldo Mondadori Editore.
DALLA PRESENTAZIONE DI "CALABUSCIA"
AL WHITHE SHIVER DI PAOLO PROCACCINI
"Calabuscia" è un romanzo che somiglia molto al suo
autore. E' infatti frizzante, umano, ironico, ricco di proposte e
citazioni di varia cultura, senza essere inutilmente saccente. In
esso si narrano le vicende umane di una famiglia, in chiave
autobiografica, nel periodo a ridosso della fine dell'ultimo
drammatico conflitto mondiale. La tragedia narrata è quella del
popolo italiano, preda dei dissidi delle parti politiche in lotta
(fascisti ed antifascisti), ma soprattutto delle violenze materiali
e morali degli invasori nazisti. Un falso barlume è l'avvento degli
Alleati, perché anch'essi sotto camuffata veste di liberatori
impongono al popolo rinnovate sofferenze morali. Un intero paese
dilaniato viene dipinto da Francione, con mano leggera, ma non per
questo meno rigorosa nella condanna. Lo stile del narratore è
sobrio, asciutto.
Pur nel dramma in alcuni punti le vicende, come è nella vita anche
nei peggiori momenti, sanno suscitare il sorriso. Ma la valutazione
delle responsabilità oggettive, delle scelte umane contrarie a
qualunque idea di rispetto dell'umanità, è ferma e motivata. Come
si può immaginare che accada nelle sentenze che l'autore emette,
nella sua altra veste di giudice penale. Il romanzo è molto attento
nella immedesimazione con l'espressività popolare, con i sentimenti
e le aspirazioni della gente semplice, presa nell'ingranaggio di
eventi epocali. L'uso del linguaggio dialettale nelle conversazioni
si articola nei vari idiomi delle regioni attraversate nel fluire
del racconto.
Ci troviamo letterariamente nell'ambito del genere dei libri di
viaggio, in quanto tutta la prima parte descrive la "grande
fuga" degli eroi maschili, per scampare la prigionia,
attraverso il nostro paese preda degli eserciti occupanti. In
seguito il viaggio continua ed è una serie di piccoli viaggi della
fame, alla ricerca di sostentamento, per far campare la numerosa
famiglia. Un viaggio tragico che lascia il segno sugli eventi: è
quello nel quale perde la vita e i faticati risparmi la madre
courage della storia, l'infaticabile donna Giulia, contrabbandiera
forzata per procurare cibo ai suoi nove figli. E' un forte simbolo
del gusto per il calembour drammatico del nostro autore, che il
titolo del suo libro sia in assoluto contrasto con il movimento che
caratterizza il raccontare. Infatti "Calabuscia" è la
deformazione di calaboose, gattabuia, luogo di detenzione, arresto
d'ogni moto libero.
Paolo Procaccini 30 Gennaio 1995
GIUDIZIO DEL PROF. HARALD KANHEMANN
Il libro non è indice di
napoletanità, anche se si avvale del mondo partenopeo per creare
situazioni pittoresche,ma è emblema di italianità. Io che sono
tedesco e vivo da trent'anni in Italia l'ho letto e mi ha fatto
penetrare nella psicologia di questo popolo. La guerra non è stata
mai sentita dagl'italiani. Essa è deprecabile in ogni caso ancor
più se imposta. Lo spirito è ellenistico. Ricorda la stoà, non
quella degenere attuale,ma la vera, quella in bilico tra una fatale
rassegnazione e un lume di speranza che alita sempre, anche nei
momenti più bui.
Lo stile ricorda quello dei cronachisti romani alla Sallustio o alla
Cesare nel De Bello Gallico. Sallustio, anch'egli giudice(pretore
propriamente) era uno storico capace di dare un quadro vivo,
drammatico delle vicende umane, infine di creare una letteratura su
base storica dove era importante più l'interesse della vicenda che
non la precisione cronachistica del narrare. Asciutto eppur
profondo, incisivo, è lo stile di Calabuscia tale da accattivare il
lettore. Le immagini sono cinematografiche, plastiche. E' usato l'humor
nero, l'ironia, la struttura del dire a metà, tutte forme del
poetico che valgono per quel che dicono ma ancor di più per quanto
non dicono.
E' lasciato al lettore continuare il senso, interpretarlo,
intuirlo,acuirlo. (Dr. Harald Kanhemann, Agente letterario di Eulama,30.1.92
giorno dell'orologio tricipite e lunare. Malgrado il giudizio
esaltante, dirà che l'opera non è accettata dal mercato
italiano:non sono conosciuto, la guerra non interessa, il libro
richiede concentrazione). *Per Sallustio la conoscenza dei luoghi
doveva aiutare la conoscenza dei fatti.
EMOZIONI DI STEFANO LOCONTE, PRESIDENTE DELL'ANTIARTE
Questo libro è una culla. Sottolinea la metafora del mondo in
sfacelo: Questa città ha la bellezza insopportabile di un cadavere
ancora caldo, o comatoso, tutto perfetto, troppo, con la pulizia
scolpita del corpo immoto un'attimo prima della decomposizione
finale. La voce fresca del bambino: Un passione senza limiti mi
veniva poi dal teatrino dei burattini.Pulcinella mi mandava in
sollucchero, ma fu una vera estasi quando per due soldi un
burattinaio venuto a esibirsi a Torre mi propose di muovere la morte
perché suo figlio era malato. Sì dovevo muovere la morte velata.
"Mamma mia che paura!" diceva Pulcinella vedendo là sopra
il mio pupazzo."Chi site?". "Song' 'a morte"
facevo io."'A morte!". "E chi v'ha chiammata?".
"Vuje...". "Io?!Io....". Pulcinella prendeva a
tremare al che veniva per me il momento più elettrizzante.
Afferravo un bastone e scatenavo paraccoliate schioccanti sulla sua
testa fino a farlo stramazzare. |
Balvano,
la tragedia
dimenticata
di Simone Navarra
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Oggi ricorre l'anniversario del disastro
ferroviario del '44 in cui morirono oltre 600 persone. E
ancora ci sono dubbi sulle responsabilità. Colpa degli
americani che sovraccaricarono il treno o inevitabile
fato? |
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ROMA - Una tragedia dimenticata e
che per molti non ha ancora una spiegazione. Oggi
è l'anniversario di uno dei più gravi incidenti
della storia ferroviaria d'Italia eppure ancora non si
riesce a individuare un responsabile certo
per quanto accaduto all'espresso 8017 nella
tratta Napoli-Potenza, nella galleria di Balvano, alle
prime ore del mattino del 3 marzo 1944. L'unico
dato certo, dopo 57 anni, sono le 526 persone
morte per aver respirato i gas venefici della
vecchia locomotiva a vapore, rimasta bloccata nel
tratto in salita, poco prima dell'arrivo alla stazione
del paesino della Basilicata. Tutto il resto è un
interrogativo senza risposta. Una congettura carica di
dolore su cui si possono al massimo lambiccare gli
storici interessati.
Secondo quanto scriveva "Il Giornale
del Sud", martedì 7 marzo la causa di tutto è da
attribuire al gran numero di clandestini che avevano
preso d'assalto quello strano convoglio, con dodici
vagoni a carico normale
e 33 ufficialmente vuoti. Ma non sembra
così certa questa verità. Più di uno tra i superstiti
parlò chiaramente di ordini dati dai
soldati americani di aggiungere vagoni in
almento quattro stazioni intermedie. Così da allungare,
in modo innaturale, la sequenza di carrozze. E
si aggiunge subito dopo altre domande: possibile
che i macchinisti non si rendessero conto di creare una
camera a gas? E se sì, perché continuarono ad alimentare
le caldaie?
A partire da questi interrogativi
Gennaro Francione, giudice e scrittore, ha costruito un
romanzo dal sapore d'inchiesta, "molto intriso di
ricordi", Calabuscia. E' la storia semplice e
pulita di donna Giulia (la nonna di Francione ) che
faceva da corriere per il ricco mercato nero
partenopeo e che prendeva spesso quel treno.
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"Era una
signora eccezionale, con un grande coraggio. In un
periodo tanto difficile riuscì a procurare il mangiare
per i suoi figli e ad essere punto di riferimento per
tutte le persone che la conoscevano. In calce al mio
libro invito tutti coloro che sono in grado di riferire
su questo tragico fatto con ricordi, testimonianze di
scrivere alla redazione che provvederà a stilare un
libro bianco. Purtroppo l'oblio però rischia di
mangiarsi la memoria e di far scomparire questa ferita
tutta italiana".
L'ossido di carbonio uccide, secondo
i manuali, in cinquanta o sessanta secondi eppure non
c'è ricordo di allarmi o di allerta. I primi
soccorritori si trovarono di fronte allo spettacolo
allucinante di una massa compatta di corpi l'uno sopra
all'altro. "Sulle prime nei vagoni - si legge nel
romanzo - tutti i passeggeri si sono accorti che il
convoglio si è fermato e sono inquieti, anche se non
sanno bene cosa stia succedendo. Nell'oscurità totale
degli antri metallici ricolmi di uomini e cose volano
borbottii, commenti,lamenti, bestemmie. Solo alla fine,
quando il fumo invade l'ambiente in maniera sempre più
fitta e la gente prende a tossicchiare, il panico
comincia a diffondersi, anche se ancora nessuno osa
muoversi. Il non sapere cosa stia succedendo impedisce
d'intuire il cosa fare". E' l'inattività fatale. "Spero
che un giorno venga sollevato il velo - conclude
Francione - su un fatto tanto grave. E forse alle
famiglie delle vittime dopo tanto tempo basterebbe che
le Ferrovie e il ministero della Difesa deponessero un
mazzo di fiori. Basterebbe quello".
(2 MARZO 2002; ORE
17:00) | |
http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,108993,00.html
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