Gennaro
Francione è autore del recente Domineddracula,
romanzo storico-biografico incentrato sulla figura del voivoda
rumeno Vlad Tepes. Domineddracula è un’opera dotta,
forte di una grande conoscenza della storia rumena ed europea,
che mostra i due volti del controverso principe rumeno, feroce
sanguinario e allo stesso tempo coraggioso alfiere della
Cristianità. Il romanzo si colloca anche in una cornice di più
ampio respiro, com’è quella dell’Europa del Quattrocento,
offrendo da una parte cronache di atroci guerre (molto bello
il passaggio sulla battaglia di Costantinopoli), dall’altra
momenti vissuti nella corte di Mattia Corvino, fertile oasi
per artisti e letterati, o nei ricchi palazzi di Mohammed il
Conquistatore, in cui si sussurrava con terrore il nome di
Kaziklu bey (nome turco di Dracula). Abbiamo fatto
due chiacchiere con l’autore.
Catafalco:
Domineddracula è un’opera mastodontica (ben 656
pagine!). Quanto tempo ci è voluto per scriverla? G.
F.: 6 mesi. Ci ho messo sei mesi per scrivere l’opera,
più il tempo del viaggio in Romania in un pulmino sui
sentieri della vita di Dracula per percepire atmosfere reali
che non sempre i libri permettono di cogliere. 6 mesi
possono sembrare pochi, in rapporto soprattutto alla mole del
romanzo, ma per me sono molti. Il segreto di questo tempo
stretto può essere colto in vari fattori. Prima di tutto
la mia scrittura è rapidissima. Ho scritto più di 150 opere
in 20 anni e questo mi ha permesso un esercizio formidabile
sia nella composizione dei testi che nella stesura. Per la
composizione è l’ipertestualità¹
che mi consente armature sincroniche e sinergiche complesse di
pronto attingimento e sviluppo dei dati. Così ad esempio
avevo creato schede-files sulle armi usate dagli eserciti
cristiani e mussulmani, a cui attingevo con rapidità per
armare la truppa che m’interessava di volta in volta. Per
gli abiti, le case e così via... idem. Quanto alla
stesura, è ancora il mezzo informatico che mi ha consentito
una scrittura di getto, possibile non solo per le schede files
retrostanti, ma proprio per la duttilità del mezzo. In
questa linea di discorso il tempo della scrittura informatica,
per usare una metafora, diventa un fiume in piena che travolge
tutto. Infatti la velocità e la massa, per usare ora un’allegoria
in chiave di matematica einsteiniana, riempiono il tempo
stesso e lo allungano nel senso che lo riempiono di più
istanti di energia produttiva. Insomma la scatola cronica
è sempre la stessa ma a seconda di come si agisce e si
compongono gli atomi interni, pressandoli o lasciandoli
galleggiare, ne viene fuori un tempo-contenuto di maggiore o
minore ampiezza e intensità. Da ultimo una notazione
biografica sulla rapidità di stesura. Nella scrittura io
sono un dannato come Faust. Quando non scrivo romanzi, saggi,
teatro, essendo giudice penale, scrivo sentenze. Sentenze
tutte motivate contestualmente, sempre con metodi informatici. Miei
amici hanno voluto mandare al Guiness dei primati un mio
record: in un giorno (dalle 9 alle 17,30) ho celebrato 52
processi e motivato ben 11 sentenze. Pagine e pagine...
C.: Com’è nata l’idea di un romanzo su Vlad
Tepes? Può descriverci le circostanze del suo “primo incontro”
con questo personaggio? G. F.: Sono stato sempre
affascinato fin da piccolo da Dracula il Vampiro. Poi ho letto
il Dracula di Ivan Lantos ed è stata per me una
rivelazione. Vlad, fonte vampirica di Stoker, era ancora più
entusiasmante del mostro redivivo che succhia sangue agli
umani. Intendiamoci: ero affascinato dal personaggio
storico ma non riuscivo a liberarmi dal magnetismo di quello
fantastico. Da questo mi è scattata l’idea di fondere i due
momenti. Non mi risulta (ma potrei sbagliarmi) che finora
sia stata compiuta un’operazione di questo tipo. In genere o
si tratta il Vlad storico o si tratta Dracula il vampiro.
Sembra quasi che tertium non datur, se non con minime
interferenze nella letteratura ultimamente accentuate dalla
cinematografia. La mia operazione è secca. Vlad, l’imbattibile,
non solo non viene sconfitto dai turchi - la loro è la più
potente armata dell’epoca correlabile quasi a quella
americana odierna - ma non viene battuto neppure dalla vita
che ne reclama la morte. Egli resuscita grazie al sangue del
pipistrello, il suo spirito guida. Quest’immagine è
stata una folgorazione e da qui, da una fonte incandescente di
minima acqua, il ruscelletto è diventato un fiume in piena.
C.: Quali sono stati i passaggi più
difficili da ricostruire della vita di questa “figura chiave”
della storia rumena? G. F.: Tutto è difficile e
tutto è facile. La passione travolge tutto in scrittura, come
nella vita, anche i problemi più ardui. I vuoti della
storia del domnul Vlad Tepes sono stati i momenti più
drammatici. Li ho potuti riempire “ad arte” proprio grazie
al fatto che la mia non è opera saggistica, ma romanzo
storico alla Manzoni per intenderci. Polanyi ne La conoscenza
inespressa rileva una sorta di integrazione o empatia che
costituisce il mezzo più idoneo per conoscere l’uomo nella
sua storia e nelle discipline del suo spirito. In particolare
Diltey ci ha insegnato come lo spirito di una persona possa
essere compreso soltanto rivivendone, quasi misticamente, l’operatività. Orbene,
là dove non arrivano i documenti o forse arrivano con sforzo,
è necessario per lo scrittore e anche per lo storico questo
processo d’immedesimazione-integrazione per ricostruire
storie del tempo passato. Uno dei vuoti di Vlad Tepes era
il suo rapporto con la battaglia di Costantinopoli, punto che
vedo le è piaciuto e ha sottolineato nell’introduzione a
quest’intervista. Per risolvere questo busillis ho
trasformato il domnul in una spia per far sì che fosse
presente nei posti di questo grande evento che sconvolse il
mondo. Ciò sia per poter vedere noi - con l’escamotage del
suo occhio diretto (come se fosse una telecamera) - quanto
capitò in quell’ombelico del mondo, sia in particolare per
far conoscere dall’interno la forza e l’intelligenza degli
strateghi turchi, il che esaltava vieppiù le vittorie di Vlad,
il demonio imbattibile. Probabilmente Vlad non è stato mai
mandato là come spia, ma anche se così fosse è innegabile
che egli seguiva con tutti i mezzi di comunicazione del tempo
quanto accadeva in un paese così vicino alla Romania. Egli,
dunque, ancora una volta spiava Costantinopoli e le sue
vicende. Il viaggio fisico di Vlad come 007 del 1400 in
terra bizantina diventa, alla fine, solo metafora letteraria
di un percorso visivo spirituale e massmediale. Ecco un
esempio di buco storico risolto con l’arte dell’immedesimazione,
procedura che presenta connotati di alta creatività estetica
e nel contempo di spiegazione intelligente di realtà, non
più ricostruibili, lontane nel tempo e nello spazio.
C.: Di recente la Romania sta
spingendo molto sulla figura del Conte Dracula come attrattiva
per i turisti, a discapito di una riscoperta storica del
Principe Vlad. Trova legittime le accese polemiche in
proposito provenienti soprattutto da parte degli studiosi
rumeni? G. F.: Le polemiche sono inutili se non
dannose. La risposta è nel mio libro. Io avevo di fronte
la storia e la leggenda, entrambe di pari bellezza e forza.
Perché sacrificare l’una all’altra; perché non fonderle? L’operazione
non è affatto un ibrido, anzi. C’è sempre da qualche parte
una storia che diventa mitica senza per questo scalfire la
bellezza delle gesta reali in sé. Secondo Evemero la
divinizzazione stessa presuppone grandi eroi, le cui gesta
terrene sono state esaltate sino a portare quei grandi uomini
sulla soglia dell’Olimpo. Non c’è ibrido in Domineddracula
perché non c’è soluzione di continuità tra Vlad e Dracula
il Vampiro, essendo il primo il presupposto storico della
formazione letteraria del secondo. E poi se è storia la
vicenda terrea di Vlad l’Impalatore, è storia anche la
letteratura vampirica e il folklore rumeno che crede nei revenants
succhiasangue. L’introduzione a Domineddracula
del professor Eugen Uricaru, direttore dell’Accademia di
Romania a Roma, è un avallo alla bontà di questa tesi. Il
professore, esperto di storia, ha accettato la commistione tra
i due mondi, giocando io sagacemente la storia di Vlad e
tenendola appesa con un filo al mondo del fantastico. Fantastico
giammai gratuito, che annoia, ma sempre scientifico per come
era asserita la scienza a cavallo del Medioevo e del
Rinascimento. Scienza che a quel tempo era l’alchimia, cui
il soffiatore Vlad s’ispira per poter rinascere con l’elisir
di lunga vita in un progetto di sangue rigenerato all’infinito.
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C.: Tornando al romanzo, le
vicende, introdotte da classicheggianti espedienti letterari e
incorniciate in piacevolissimi scorci della vita quotidiana
nel XV secolo, sono per la maggior parte narrate con uno stile
ricercato, che si può definire a tratti “epico”, a tratti
vicino a certi scritti di Umberto Eco. Quali le ragioni di
queste scelte linguistiche? G. F.: Prima di
tutto mi oppongo al modernismo a tutti i costi. In questo e
in altri romanzi ho talora subito l’assalto di qualche
critico che vituperava l’uso di termini antiquati,
riferendosi il censore dogmaticamente allo stilema di un
linguaggio moderno universale, agile, comprensibile, fluido. Sono
in completo disaccordo. La letteratura è anche ri-creazione
di atmosfere, modi di dire, linguaggi. Per questo se io
riporto una vicenda del ‘400 devo usare un linguaggio antico
per ricreare in qualche modo l’aura del tempo. Naturalmente
questo discorso va fatto cum grano salis ad evitare
appesantimenti comunicativi che potrebbero andare
effettivamente a discapito della fruizione leggera del
narrare. E qua è l’arte. L’arte, in questa e in
altre cose della vita, è mascherare l’analisi, sgrossarla
delle soverchierie, e arrivare alla sintesi anche a livello
stilistico. In
Domineddracula credo di aver realizzato l’intento, a
quanto mi dicono i miei primi 122 lettori, con spruzzate qua e
là di termini anche desueti in uno stile generale del
racconto sempre, forte, gravido, talora solenne o come lei
dice “epico”, ma sempre carico di tensione. Siamo,
ragazzi, alla fine del Medioevo e del Tempo della Peste, non
nel Tempo della Sars! Accade talora che lèggi cose
teoricamente pesanti che ti prendono con leggerezza e solo
dopo ti accorgi che l’autore ti ha fregato facendoti
viaggiare e galleggiare felice tra cose onerose. Allora ammiri
l’equilibrio prospettico-linguistico di colui che ti porta
seco con l’affabulazione negli avvenimenti ardui in maniera
lieve e dici ancora: “Questa è arte”. Quanto ai
richiami che lei mi fa rapportandomi a Eco, mi sento onorato.
Considero Il nome
della Rosa il capolavoro della letteratura fredda
del Novecento. Un grande capolavoro che avvince ma dà un’emozione
ghiacciata giammai al calor bianco come io cerco di rendere
nel mio romanzo storico-alchimistico. Quest’ultima
decifrazione mi fornisce la chiave per un’estrema
definizione stilistica di
Domineddracula che può essere definito un romanzo
gotico-storico. Il che a livello editoriale è stato
un grave limite del libro. Sembra strano ma è così. Esperti
di grandi case editrici mi hanno rifiutato questa e altre
opere gotiche da me scritte riferendo di una nostra
irrefragabile soggiogazione agl’inglesi, che sono appunto i
maestri del genere. Questi signori dimenticano forse il
gotico di Dante Alighieri? Non
se n’è dimenticato il mio editore attuale Costanzo D’Agostino,
un piccolo grande editore (contro i grandi piccoli editori)
che ha avuto il coraggio di pubblicarmi quest’opera
mastodontica.
C.: Una piacevole sorpresa di
Domineddracula sono senz’altro le poesie di Michael
Beheim (nella bibliografia è citato il volume Die Gedichte
des Michel Beheim, credo inedito in Italia). Ci può
parlare di questo autore e dei suoi scritti? G.
F.: Quest’autore è il mio tormento. Il fiume in
piena della scrittura talora trova ostacoli. Non puoi avere a
disposizione proprio tutto e qualcosa tralasci sperando che il
tempo sincronicamente ti metta a disposizione i materiali
residuali che non sei riuscito a trovare, quando ne avrai
realmente bisogno. Mentre scrivevo il romanzo, quando
potevo, davo la caccia a Beheim. Ho cercato Beheim e l’ho
trovato in una biblioteca tedesca a Villa Sciarra di Roma. L’ho
trovato, ero felicissimo ma è stata una beffa. Era un grosso
volume, scritto in tedesco. Chi me lo poteva mai tradurre?
Come potevo sostenere il tempo lungo e la spesa e la
deviazione dal mio intento di scrittura iperveloce. Ho
cercato ancora. Niente. Non esisteva il libro integrale di
quelle cronache in italiano e non sapevo davvero come fare. Alla
fine mi è schizzata in mente l’idea del
pseudobiblos. Il pseudobiblos è non solo il
libro che qualcuno dice che ci sia e che poi tutti immaginano
esistente, ma anche il libro che, per motivi contingenti,
esiste veramente ma che tu non hai il tempo o il modo di
tradurre. Per me Beheim allo stato era un simbolo, un
guscio vuoto con macchie qua e là rappresentate da traduzioni
sporadiche di pezzi in italiano. Per questo ho risolto il
problema semplicemente con l’omettere di risolverlo. Mi sono
detto: “Basta! Non lo traduco”. E ho fatto bene. Alla
fine il non tradurlo si è risolto in un chiaro vantaggio
determinando anzi un’azzeccata trovata per la struttura del
libro. Per chi non avesse letto Domineddracula
spiego in breve il meccanismo. Il monaco Papacostea scappa
dalla Romania infestata dalla peste-Dracula. Si rifugia in
Austria presso il poeta Beheim cui racconta le gesta di Vlad
Tepes l’Impalatore. L’aedo riporta le cronache in versi
che io, dopo averli riportati simbolicamente per una ventina
di versi all’inizio di ogni capitolo, traduco in prosa. Orbene,
non sapendo che diavolo diceva il poeta tedesco ho dovuto
inventarmi il suo libro almeno nei versi iniziali, parafrasi
di pezzi mai visti e letti. Poi ho inventato l’escamotage
di rendere in prosa il presunto testo scritto da Beheim. Ma,
infine, ho innescato la girandola d’inserire il poeta in
veste di narratore-narrato per infine uroboricamente
coinvolgerlo nella vicenda stessa raccontata. Non racconto il
finale che coinvolge lo stesso poeta ma posso dire che là il
pipistrello cantore si è morsa la coda vivendo alla fine l’esito
del suo affabulare. Alla luce di tutto questo dire, sia
chiaro. I versi che introducono i capitoli del Domineddracula
sono una mia assoluta invenzione. Quei versi, mi faccio un
po’ di pubblicità, rappresentano la struttura portante
dello spettacolo omonimo che rappresenteremo al castello di
Pontremoli il 9 di agosto e a Roma alla torretta Valadier
(Ponte Milvio) dal 31 ottobre al 6 novembre, con l’intercalare
di un Dracula-Halloween. Speriamo di coinvolgere nell’iniziativa
di romanzo-drammaturgia altri castelli d’Italia. A
proposito. Gli spettacoli, in chiave nettamente antiartistica
e di arte gratuita usufruibile da tutti, sono assolutamente
gratuiti.
C.: Quali sono gli autori che hanno
maggiormente influenzato l’opera di Gennaro Francione? G. F.: Sono partito dal fantastico
puro (il primo romanzo era Mille e non più mille che
racconta le profezie sulla fine del mondo riferite a Malachia
e alla Madonna di Fatima) sono arrivato al romanzo storico in
chiave magica e gotica. Per la prima produzione la mia
passione erano gli autori di fantascienza come Ballard,
Sturgeon, Van Vogt etc. Per la produzione magico-realistica,
oltre a Umberto Eco per il suo capolavoro
Il nome della Rosa, mi riporto a Italo Calvino, a Oscar
Wilde, a Dostojewski ma anche - ahimè so che mi alienerò le
simpatie di tanti studenti che sono oggi come io ero allora -
ad Alessandro Manzoni. I promessi sposi
rappresentano un capolavoro non solo di stile ma di struttura
compositiva. Un’opera multimediale ante litteram, per
usare una fraseologia informatica, dal momento che unisce
saggistica storica, narrazione pura, letteratura. Sì gli
odiati Promessi sposi hanno rappresentato un’opera
fondamentale nella mia formazione letteraria, dopo Dante
Alighieri, il Gotico per eccellenza, naturalmente.
C.: Ha in mente di scrivere
ancora, in futuro, dei “cattivi” della storia, per esempio
sulla Contessa Bathory? O magari tornerà a parlare di Dracula
o di vampiri? G. F.: È alle stampe, sempre per
i caratteri dell’editore D’Agostino, un’opera nuova,
multimediale su Giorgio Castriota Scanderbeg, l’invincibile
piccolo grande principe d’Albania che nel ‘400 salvò il
suo paese dai continui tentativi d’invasione dei turchi
potente armata del mondo all’epoca. Scanderbeg visse nello
stesso tempo di Vlad con cui ci sono molte similitudini, come
l’essere stati da giovani ostaggi dei turchi e la fusione
nelle loro anime della cultura e della psicologia insieme
ottomana e musulmana. L’opera drammaturgica finale Il
ritorno di Scannerebecco descrive la rinascita dell’eroe
Scanderbeg grazie all’amore rievocativo e ritualizzato delle
generazioni a venire, che non lo dimenticano e pregano per il
suo riemergere dal mondo dell’aldilà. Anche in questo caso
abbiamo un’ipotesi di revenant realizzato attraverso
un rito collettivo attuato per resuscitare i morti. Sono in
trattativa con l’ennesimo piccolo editore per un altro
romanzo neogotico, anch’esso scartato dai megaeditori del
nulla per i motivi sopraesposti. Questo romanzo è più
strettamente legato al mio mestiere di giudice. Infatti narra
le labirintiche vicende di un magistrato di Torino, città
magica per eccellenza, che viene preso dal Diavolo per
realizzare un oscuro progetto di dominio sul mondo. Si tratta
di aprire le porte dell’inferno e resuscitare i morti,
attraverso la creatura più debole di questo tempo. Non più
le donne, ormai femministe affermate, non più i bambini,
diabolici manovratori di congegni informatici, ma un giudice
zitello di vecchio stampo, tanto implausibilmente giusto
quanto fragile. A proposito di Diavoli quanto alle opere
che sono ancora nella mente di Zeus, ho in animo di riscrivere
l’inferno in versi, solo il Tartaro, facendomi guidare da
Dante Alighieri. Solo l’inferno perché, da gotico quale
sono nell’anima, credo che la porta per il purgatorio e il
paradiso, per l’uomo com’è adesso, è completamente
sbarrata. Per news, recensioni, link, curiosità su
Domineddracula clicca su http://space.tin.it/clubnet/mttfra/domineddracula.htm.
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