L'OPERAIO
DEI SOGNI
(QUANDO
GLI ERRORI
LINGUISTICI SONO CULTURA)
Correggere questi libri, specie
"La memoria ritrovata",
secondo le convenzioni linguistiche didattiche
è un po' una profanazione. I contenuti conducono diritto all'emozione e
alla catarsi. Gli errori grammaticali e ortografici, gli anacoluti, ecc.
specie nella parte narrativa dell'Izzo, sembrano una sorta di sperimentazione gaddo-pasoliniana, che dico,
joyciana se si legge il testo con animo fraterno, umanistico, se si
coglie lo spirito e l'animo di questi artisti mai
"contaminati" dall' intellighentia e mai apprezzati come
dovuto.
Senza contare i pregiudizi di certi pseudo- curturalisti che hanno detto
in giro di non voler entrare a far parte di questo sito perché ci sono
anche guitti e giullari. E meno male che a un cosiddetto
"giullare" italiano è stato recentemente attribuito il premio
Nobel.
I canovacci delle commedie puparistiche, se così si può dire, sono
abbastanza "corretti", anche se l'Izzo parla di riportarli da
stagionati quaderni di lavoro. E' probabile che siano passati per
qualche fase censoria degli anni ruggenti o siano le copie di prodotti
editi.
Puparo sta come saltimbanco, giullare, posteggiatore,
ambulante dello spettacolo. Una volta, insieme ai cantastorie ambulanti,
erano i teatranti delle masse, quelli che si facevano comprendere da
tutti. Per questo il loro idioma è sacro, anche se avanza a braccetto
col vernacolo, con la parlata popolare, autarchico, un po' fuori dalla
letteratura bene.
L'assenza dello stile, della tecnica, dell'artificiosità, prerogative, a
pensarci bene, dei soli addetti ai lavori, dona ai contenuti dei testi
che seguono invece che
penalizzarli, per una
sorta di religiosità letteraria.
Assenza di artifici di penna, di telecamere, di ciak, di schermi, di monitor.
Un posto in prima fila sul davanzale di una finestra con imposte lignee
addobbato di garofani e rose, affacciati su di una Napoli pre-post bellica reo-marottiana. Un candore,
un'autenticità, una lealtà insolita che trasuda da quell'arte popolare
dei pupari, ingiustamente ritenuta minore perché, appunto, quasi
dissociata dalla cultura dotta.
Non potete immagginare la foga espressiva di Michele quando l'ho
contattato, il fulgore dei suoi occhi, la gioia intensa nell'espormi le
sue nemorie.
In questo sito proponiamo la dilogia izziana di
"Pagine dell'opera
dei pupi" e
"La memoria ritrovata", una partenopea "Recerche"
non meno emozionante e nostalgica di quella proustiana che a tratti,
ribadisco, quasi si riallaccia alla sperimentazione post-bellica
gaddo-pasoliniana, non solo, ma stilizza per dono naturale l'invenzione
joyciana dell'"Ulisse" per anomala punteggiatura e periodare
lungo, somigliante al dialogo interiore dell'antesignano sovvertitore
della scrittura classica col suo Stephen Dedalus.
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A tratti,
ancora, sembra
leggere l'italiano antico di un Cavalcanti, di un Boccaccio.
Quindi, errori e discrepanze non sono da considerarsi tali,
ci vuole
poco ad eliminarli, ma il testo non sarebbe più incontaminato, naturale
e leale.
E' necessario, però, mettere da parte senso critico e pedanti
nozioni scolastiche, ma aprire i precordi ai trascorsi onirici di ogni
personale memoria, quasi una predisposizione all'amore propriamente
detto, alle origini vernacoliste pre-unitaria italiana. Starei per dire
bisogna disporsi alla comprensione, all'indulgenza che si ha per
la dislessia, per i gesti inconsulti o le innocenti trasgressioni dei
bambini.
Perdono che gli
accorderà chiunque legga la sua premessa nel secondo libro presente in
questo sito "Pagine
dell'opera dei pupi Napoletani":
"Non sono uno scrittore si
vede per la maniera elementare con cui scrivo queste pagine. M’improvviso
scrittore per ragioni a me importanti, una è quella di lasciare in
visione hai posteri le cose che ho saputo realizzare con l’improvvisazione
e senza l’insegnamento di nessun maestro".
In questi libri, dunque, trasuda arte,
filosofia, umanità, nostalgia e soprattutto POESIA, anche perché il
testo, tra l'altro, è sorprendentemente adulto nella sua struttura
elementare e zibaldonica, ed ha valore, dato gli argomenti,
paradossalmente, proprio per l'assenza di artifici di penna. Non
manca la ricerca storiografica, quasi una sorta di filologia, con citazioni
latine e autorevoli. Un lavoro notevole per uno che scrive "a orecchio", senza studi
regolari, forse senza nemmeno i primi rudimenti delle elementari.
Uno spaccato di vita vera, un'autentica testimonanza di amore smisurato
per l'arte popolare che viene dai guitti e dagli istrioni fino alla
commedia dell'arte; non solo, ma un'apologia al mestiere di puparo che
io annovero tra quelli più autenticamente umani, proprio perché
epidermico, pneumatoracico, in ultima analisi, a misura d'uomo. Puparo,
che qualcuno vuole ipocritamente sostituire con "pupante"
neologismo ipocrita come operatore ecologico per netturbino.
Michele Izzo, uno dei pochi superstiti di questa nobile arte, non si
arrenderà mai alla sgherra tecnologia dello spettacolo. Quando avrà
momenti di stanchezza o di delusione avrà Tore 'e Criscienzo, Gano di
Magonza, Orlando e Rinaldo che lo sorreggeranno sottobraccio sguainando
la spada contro gli artifici dell'arte.
Poi si tramuteranno in angeli, Orlando e Rinaldo, infischiandosene della
retorica e dell'analisi scelta, delle lame affilate e nevrotiche del
sapere e delle dottrine; si libreranno in alto nel cielo azzurro
conducendo Michele come novello Peter Pan, nel mondo meraviglioso della
fantasia e della fanciullezza, quel "paese dei balocchi"
ideale che affonda le radici nell'infanzia degli uomini buoni, onesti,
sinceri, quelli d'altri tempi, anche e soprattutto quando i loro capelli
sono diventati canuti.
Luigi Mari |