L'ultimo puparo torrese    pag. 1

PAGINE DELL'OPERA DEI PUPI NAPOLETANI

MICHELE IZZO
(I Marcantonio)

"Non sono uno scrittore" dice subito  l'autore. E non è solo un mettere le mani avanti per farsi perdonare errori ed incongruenze. Michele Izzo  ha fatto l'Università della "strada" nell'accezione più nobile del termine. Questi sono racconti di vita vera, non opere candidate al "Campiello". Oltre a fornire un valido contributo d'arte e folklore Izzo riporta alla luce una Torre del Greco a cavallo dell'otto-novecento totalmente sconosciuta alle ultime "tecnicistiche" generazioni torresi. (Per gentile concessione dell'autore).

L'OPERAIO 
DEI SOGNI

(QUANDO  GLI  ERRORI
LINGUISTICI  SONO  CULTURA)

Correggere questi libri, specie "La memoria ritrovata",  secondo le convenzioni linguistiche didattiche è un po' una profanazione. I contenuti conducono diritto all'emozione e alla catarsi. Gli errori grammaticali e ortografici, gli anacoluti, ecc. specie nella parte narrativa dell'Izzo,  sembrano una sorta di sperimentazione gaddo-pasoliniana, che dico, joyciana se si legge il testo con animo fraterno, umanistico, se si coglie lo spirito e l'animo di questi artisti mai "contaminati" dall' intellighentia e mai apprezzati come dovuto.
Senza contare i pregiudizi di certi pseudo- curturalisti che hanno detto in giro di non voler entrare a far parte di questo sito perché ci sono anche guitti e giullari. E meno male che a un cosiddetto "giullare" italiano è stato recentemente attribuito il premio Nobel.
I canovacci delle commedie puparistiche, se così si può dire, sono abbastanza "corretti", anche se l'Izzo parla di riportarli da stagionati quaderni di lavoro. E' probabile che siano passati per qualche fase censoria degli anni ruggenti o siano le copie di prodotti editi.
Puparo sta come saltimbanco, giullare,  posteggiatore, ambulante dello spettacolo. Una volta, insieme ai cantastorie ambulanti, erano i teatranti delle masse, quelli che si facevano comprendere da tutti. Per questo il loro idioma è sacro, anche se avanza a braccetto col vernacolo, con la parlata popolare, autarchico, un po' fuori dalla letteratura bene. 
L'assenza dello stile, della tecnica, dell'artificiosità, prerogative, a pensarci bene, dei soli addetti ai lavori, dona ai contenuti dei testi che seguono invece che penalizzarli, per una sorta di religiosità letteraria.
Assenza di artifici di penna, di telecamere, di ciak, di schermi, di monitor. Un posto in prima fila sul davanzale di una finestra con imposte lignee addobbato di garofani e rose, affacciati su di una Napoli pre-post bellica reo-marottiana. Un candore, un'autenticità, una lealtà insolita che trasuda da quell'arte popolare dei pupari, ingiustamente ritenuta minore perché, appunto, quasi dissociata dalla cultura dotta.
Non potete immagginare la foga espressiva di Michele quando l'ho contattato, il fulgore dei suoi occhi, la gioia intensa nell'espormi le sue nemorie.
In questo sito proponiamo la dilogia izziana di
"Pagine dell'opera dei pupi" e "La memoria ritrovata", una partenopea "Recerche" non meno emozionante e nostalgica di quella proustiana che a tratti, ribadisco, quasi si riallaccia alla sperimentazione post-bellica gaddo-pasoliniana, non solo, ma stilizza per dono naturale l'invenzione joyciana dell'"Ulisse" per anomala punteggiatura e periodare lungo, somigliante al dialogo interiore dell'antesignano sovvertitore della scrittura classica col suo Stephen Dedalus. 

A tratti, ancora,  sembra leggere l'italiano antico di un Cavalcanti, di un Boccaccio.
Quindi, errori e discrepanze non sono da considerarsi tali,
ci vuole poco ad eliminarli, ma il testo non sarebbe più incontaminato, naturale e leale. 
E' necessario, però, mettere da parte senso critico e pedanti nozioni scolastiche, ma aprire i precordi ai trascorsi onirici di ogni personale memoria, quasi una predisposizione all'amore propriamente detto, alle origini vernacoliste pre-unitaria italiana. Starei per dire bisogna disporsi alla comprensione, all'indulgenza che si ha per la dislessia, per i gesti inconsulti o le innocenti trasgressioni dei bambini.

Perdono che gli accorderà chiunque legga la sua premessa nel secondo libro presente in questo sito
"Pagine dell'opera dei pupi Napoletani": "Non sono uno scrittore si vede per la maniera elementare con cui scrivo queste pagine. M’improvviso scrittore per ragioni a me importanti, una è quella di lasciare in visione hai posteri le cose che ho saputo realizzare con l’improvvisazione e senza l’insegnamento di nessun maestro".
In questi libri, dunque, trasuda arte, filosofia, umanità, nostalgia e soprattutto POESIA, anche perché il testo, tra l'altro, è sorprendentemente adulto nella sua struttura elementare e zibaldonica, ed ha valore, dato gli argomenti, paradossalmente, proprio per l'assenza di artifici di penna.  Non manca la ricerca storiografica, quasi una sorta di filologia, con citazioni latine e autorevoli. Un lavoro notevole per uno che scrive "a orecchio", senza studi regolari, forse senza nemmeno i primi rudimenti delle elementari.
Uno spaccato di vita vera, un'autentica testimonanza di amore smisurato per l'arte popolare che viene dai guitti e dagli istrioni fino alla commedia dell'arte; non solo, ma un'apologia al mestiere di puparo che io annovero tra quelli più autenticamente umani, proprio perché epidermico, pneumatoracico, in ultima analisi, a misura d'uomo. Puparo, che qualcuno vuole ipocritamente sostituire con "pupante" neologismo ipocrita come operatore ecologico per netturbino. 
Michele Izzo, uno dei pochi superstiti di questa nobile arte, non si arrenderà mai alla sgherra tecnologia dello spettacolo. Quando avrà momenti di stanchezza o di delusione avrà Tore 'e Criscienzo, Gano di Magonza, Orlando e Rinaldo che lo sorreggeranno sottobraccio sguainando la spada contro gli artifici dell'arte.
Poi si tramuteranno in angeli, Orlando e Rinaldo, infischiandosene della retorica e dell'analisi scelta, delle lame affilate e nevrotiche del sapere e delle dottrine; si libreranno in alto nel cielo azzurro conducendo Michele come novello Peter Pan, nel mondo meraviglioso della fantasia e della fanciullezza, quel "paese dei balocchi" ideale che affonda le radici nell'infanzia degli uomini buoni, onesti, sinceri, quelli d'altri tempi, anche e soprattutto quando i loro capelli sono diventati canuti.
                                                            Luigi Mari