"LA TELEGRAFIA AEREA" di Urbano Cavina
PREFAZIONE
Forlì, 7 maggio 2006
Nella seconda metà
dell'Ottocento, con l'affer-mazione della telegrafia elettrica, le antiche
catene di torri segnaletiche furono via via abbandonate. Originariamente
usate nell'alto medioevo per spedire segnali, in genere d'allarme,
attraverso la combustione di fascine di paglia o di legna, esse con il
passare del tempo trovarono una applicazione sempre più complessa, che
tuttavia ci costringe ad attendere l'epoca napoleonica per vedere le prime
trasmissioni di segnali mediante la moderna telegrafia aerea ad opera dei
fratelli Chappe.
Non è semplice allora
ricostruire dai resti di queste antiche torri le vecchie linee telegrafiche. Più semplice, invece,
è scorgere gli antichi semafori lungo le strade
costiere, specie nei loro punti più inoltrati e spesso più elevati, la dove
più facilmente si riusciva ad avvistare e comunicare per tempo le frequenti e
rapide incursioni della pirateria ottomana che aveva le sue basi nelle
vicine coste dell'Albania e del Nord Africa.
La trasformazione di
alcune torri costiere in telegrafi marini ad asta, capaci di comunicare con
le navi che transitavano sotto costa o, nel migliore dei casi, non oltre
l'orizzonte marino, contribuì a mantenerle in vita. Fino a quando, nel primo
Novecento, la Telegrafia-senza-fili di Marconi, fece il suo ingresso,
segnando in modo definitivo il tramonto del sistema di segnalazione a bracci
mobili originato dalla Télégraphie Aérienne degli Chappe (l'arma segreta
che alimentò il mito dell'imbattibilità di Napoleone)
E tuttavia la
telegrafia aerea, o ancor meglio, visiva - che dalle sue aste inviava segni
convenzionali a distanza modulando il flusso di luce selezionata e
preamplificata da un cannocchiale - rispettava le stesse regole della
telegrafia senza fili. Benché si manifesti in modo diverso, la luce infatti
obbedisce alle stesse leggi della propagazione elet-tromagnetica e si rivela
all'occhio come al più sofisticato dei ricevitori di radio onde. <<Piccola
scatoletta sferica - scrive Mario Pincherle - con un buco dotato di una
lente>>, dove i segnali luminosi entrano e
colpiscono i sensori ottici che traslano impulsi elettrici al cervello. Che le onde luminose
fossero della stessa natura elettromagnetica delle onde radio era emerso già
dagli esperimenti di Galvani, che con la sua rana appesa alla ringhiera del
balcone e collegata a un filo metallico messo a terra in fondo al pozzo del
giardino di casa, rivelava le scariche di fulmini non lontani.
|
Purtroppo però Galvani
non ne fu consapevole, cosicché il destino volle che la
telegrafia senza fili nascesse dopo quella elettrica. Solamente le
sbalorditive previsioni di Maxwell nel 1873 e le inoppugnabili prove di
Hertz nel 1888, seppero dimostrare in modo definitivo che la luce è un
fascio di onde elettromagnetiche, schiudendo così le porte al telegrafo
senza fili, al wireless.
L'onda "radio"
appartiene al mondo del-l'acustica, nel senso che può portare solamente la
voce. Mentre l'onda visiva fa parte del mondo ottico, e può portare soltanto
le immagini in via diretta, senza conversione e con la massima delle
risoluzioni. Due mondi separati ora distrutti dalla televisione e dalla rete
che creano un terzo mondo, dove spazio e tempo sono azzerati.
E allora, ricordare che
la Grande telegrafia visiva dell'Ottocento, con le sue tecniche e i suoi
linguaggi, non è del tutto estranea allo schema scientifico che guida le
moderne telecomunicazioni, può servire da stimolo per non dimenticarla. O
meglio, per riscoprirla senza atteggiamenti di sufficienza, senza
preconcetti. Per custodirla con attenzione, come se fosse la vecchia foto da
incorniciare e appendere di un'antenata che fila con la rocca. Per
sdebitarci ed esserle riconoscente d'avere spianato la strada con la sua semplicità alle radiocomunicazioni odierne.
l'Autore
|