Pupi torresi        pag. 1

1890-1992  I  BUONANDI


Michele Izzo , l'ultimo puparo torrese

Come negli altri due testi di Michele Izzo, presenti in Torreomnia, non sono state qui apportate correzioni per non "contaminare" l'autenticità e l'intraducibilità vernacolistica traslitterate dall'Izzo dalle espressioni verbali popolari per suo "dono" naturale non già di "non scrittore", ma di "non scolaro".  Ciò sacrifica le più elementari, legittime convenzionalità linguistiche, con buona pace di Croce, Flora o chi per loro, ma lascia cogliere la fragranza dell'ambiente, la musicalità della strada, la cultura fuori dall'analisi scelta, cromosomicamente viceregnista, lazzaronica. Una "ripresa dal vivo" con montaggio in macchina senza RVM, con spurie, interferenze, lungaggini e ripetitività, ma sacralmente veristica. Bisogna intanto riconoscere al nostro  l'abilità di scrivere a braccio e "ad orecchio" non essendo stato nemmeno autodidatta. Teneri, ad esempio: (e ct) per (ecc.); (ha proto) per (approdò); (ha detto) per (addetto); (acidilè) per (acetilene), ed altri graziosi suoni coniati ad orecchio in parole.
E' sorprendente, intanto, il costrutto della narrazione, la ricchezza di particolari, la lucidità dell'ottantenne "cantastorie" più che narratore, la memoria limpida e presente dell'anziano, l'amore sconfinato per questa, denominata ingiustamente, "arte minore". 
Ma ciò di cui bisogna avere un "religioso rispetto" è l'evidente esaltazione dei precordi, la riuscita sublimazione nostalgica; quella sorta di "Recerche" proustiana che alimenta la linfa nella terza età, che esorcizza l'esistenziale allo stadio finale, che  medica la problematica senile odierna. Izzo quasi rivendica l'anziano del terzo millennio, sfortunato erede della defunta cultura umanistica. 
Questa sezione completa la trilogia, per così dire, delle memorie dell'Izzo, che costituisce l'unica testimonianza torrese della storia dei pupi, non solo, ma rappresenta un vivido revival nostrano nello spaccato di secolo XX tra le due guerre.                                                                         
 Luigi Mari

L'OPERA DEI PUPI
A TORRE DEL GRECO

                  I Buonandi 
          e i Pupanti napoletani


Sono l'ultimo puparo di tradizione napoletano "Torrese" con ottantuno Natale alle spalle e una del terzo millennio, memoria da computer dove ciò accumulato fatti, aneddoti, storie, episodi di vita vissuta. È da tutte le cose che io ricordo ho ricostruito la storia dell'opera dei pupi a Torre del Greco.

Un tipo di teatro valutato di seria "B" dagli Studiosi, come teatro minore nella nostra città a operato per più di mezzo secolo, introdotto è gestito sempre dai Buonandi.
Ciò che scrivo non è frutto della mia fantasia, ma vivi ricordi presenti tutt'oggi nella mia mente. In parte acquisite per esperienze vissute, altre raccontatemi da un vecchio puparo mio maestro. Quest'anno ricorre il quarantunesimo anno della sua scomparsa e centodieci della nascita.
Questo mio racconto è un doloroso omaggio alla sua memoria, ed espressione di gratitudine ai colleghi scomparso.
                                              Michele Izzo

Nel 1890, a Napoli si sciolse la compagnia del teatro "Masaniello" ubicato fora 'a marina (fuori la marina) i componenti della stessa cercarono un'altra strada: chi si mise in proprio, chi si scritturò in un'altra compagnia e altri si spostarono per la provincia.
Filippo Buonandi, con la sua famiglia e con pupi ed altro materiale di sua proprietà ha proto (approdò. N.d.r.) a Torre del Greco, dove aprì il suo teatro al 1° vico Annuziata, un locale piccolo tutt'oggi esistente. Si può indovinare questo locale recandosi d'into vico dè crape (vico delle capre) la prima porta quanto si entra a sinistra, in modo che ciascuno possa rendersi conto di quanto era capiente, i posti a sedere erano costruiti di legno arrangiate dagli stessi teatranti.
All'epoca, il teatro con i pupi si serviva per la colonna sonora come sottofondo musicale rulli di tamburo e colpi di gran cassa. Prima che incominciasse lo spettacolo, e nell'intervallo tra il primo ed il secondo, la grancassa (grosso tamburo) veniva suonata fuori della porta d'ingresso per richiamare il popolo. 

Colui che batteva questo tamburo, gridava a squarciagola dicendo: "Jammo ca mò s'aiza", alludente all'apertura del sipario, (il sipario di prima era di tela dipinto e andavano su è giù, poi fu sostituito con tendaggio che s'apriva in due, oggi pare che non serve proprio perché li bastano l'effetto di luci) poi appena lo spettacolo incominciava l'uomo addetto all'imbonimento alla gente rimasta fuori diceva " j 'ammo che sé già 'aizato", nell'interno poi il rullo del tamburo si usava per il combattimento, per richiamare alla battaglia, e quando s'incontravano le corti opposte.
Il capo della compagnia era un uomo attempato, ed era il padre padrone per rispetto dell'anzianità lo chiamavano Zi Filippo (Zio Filippo). Chi operava sul ponte per animare e prestava la voce al pupo si leggeva la parte dal copione ch'era istallato avanti sull'apposito leggio, ma se perdeva il segno alla lettura improvvisava la battuta e andava ha braccio, anche per un qualsiasi inconveniente tecnico bisognava essere pronti all'improvvisazione.
Una sera accade che, mentre erano presente sulla scena Carlo Magno con i suoi consiglieri a corte riunita, un bambino di un tre quattro anni uscì sulla scena in mezzo ai pupi per giocare. A questo punto quello che recitava e prestando la voce a Rinaldo disse: "Bambino cosa faì?" rispose Zi Filippo col tono di voce che usava per Carlo Magno: "Lascialo stare che quello è Filippetto il nipote di zio Filippo", la scherzosa battuta fu coronata da un applauso e una risata in coro di tutti presenti in sala. Il teatro di Zio Filippo a Torre ebbe vita breve e poi si trasferì a Castellammare di Stabia.
Tra il 1895/96 arriva a Torre Pasquale Buonandi con la famiglia, impiantò il suo teatro in un bel locale assai più ampio di quello dello zio Filippo, il locale di cui parla non c'è più il palazzo tutto fu danneggiato dai bombardamenti nel secondo conflitto Mondiale, ed era ubicato in corso Umberto 1°, di fronte alla Chiesa del SS. Rosario.
Pasquale Buonandi venne a Torre con una lettera scritta dal capo in testa dell'Onorata società dalla capitale da consegnare a chi dirigeva la camorra di Torre del Greco, un certo don Luigi "non sapeva ne leggere e ne scrivere" la lettera fu letta da chi l'aveva portata, il contenuto della missiva era da proteggere la famiglia da chi l'avrebbe molestato con ricatto o cose del genere. Don Luigi promisi di occuparsi della protezione, li disse dove stava di casa è se occorreva anche di notte sarebbe arrivato per proteggere dai mali intenzionati. Il teatro fu istallato, i Buonandi babbo e figli avviarono a lavorare con due spettacoli serale con un incasso da poter vivere.
Una sera al botteghino si presentarono quattro giovani "picciuotti" (aspirante camorristi) erano caprai (pastori) e facchini (scaricanti di merce varie), che essendo ubriachi molestavano la cassiera, figlia del gestore: gli ubriachi