Pupi torresi           pag. 2

insultavano con parole poco corretto la signorina zittiva e arrossiva. Nell'intervallo i pupanti usavano avvicinarsi all'ingresso, fu allora che notarono i molestatori e accorsero in difesa della sorella, e dalle parole passarono alle mani, provocando una rissa con botte da orbo. A causa dei colpi rimasero al buio, essente l'illuminazione di allora ottenuta con il carburo (acidilè). Nella gran confusione Don Pasquale fece chiamare Don Luigi che arrivò di corsa, e dall'ingresso della sala gridò: "fermi tutti! E ascite cca fore" (e uscite qui fuori), i molestatori riconobbero la voce del loro capo e obbedirono. La strada era poca illuminata, i giovani che avevano provocato la rissa furono portati nei pressi della Chiesa del SS. Rosario "all'ora la chiesa ci aveva per protezione una ringhiera con il cancello in ferro battuto e due lampioni a carburo per l'illuminazione, Don Luigi conosceva bene i giovani li disse: "piantateve" (parola d'ordine della camorra) come per dire "stati ritti e fermi" li presi a schiaffi, loro zitti subirono la punizione fecero segno di si col capo, l'episodio si concluso con una sola parola in coro dai quattro " 'a l'òberienzo masto!!!" (all'obbedienza maestro). Le sere successive i giovani ritornarono per assistere lo spettacolo, umili e rispettosi nei confronti dei proprietari, mantenevano l'ordine in sala, zittendo quelli che davano disturbo nel mentre facevano lo spettacolo. Non so la durata di questo teatro, so che la famiglia Buonandi si stabilirono a Torre del Greco, erano in sette marito moglie tre figli maschi e due femmine. Dopo qualche anno i due più grandi maschio e femmina se ne ritornarono a Napoli si crearono famiglia e li rimasero per tutto il resto dalla vita, gli altri tre figli "Pasquale, Alfredo, Anna, si accasarono a Torre ed anno rimasto gli eredi.
Faccio un salto veloce per arrivare ai primi anni venti, l'opera dei pupi fu aperto in Piazza del Popolo (oggi Piazza Luigi Palomba). Nel locale dove adesso ce il "Bar Conte" accanto alla vendita di Carta da parati e colori. Il teatro fu allestito con tutte le regole, un ordine di parco, un loggione in legno, la platea con comune sedie impagliate. La pitturazione del sipario, delle quinte, della bocca d'opera fu eseguite dal professore Nicola Ascione, conosciutissimo per i suoi affreschi all'altare in fabbrica (quando si faceva in muratura) al corso Garibaldi in occasione della Festa dei quattro Altari. Per allestire il teatro ci volevano fondi, per tanto fu costituita una società di tre persone, uno solo era puparo aveva i pupi, gli altri due sovvenzionarono le spese per tutto ciò che occorreva fare. Finito i lavori di allestimento si avviò ha fare teatro con qualche aggiornamento ha come veniva fatto prima, l'illuminazione non più a carburo o petrolio ma con luce elettrico, si abolì il suono del tamburo e la can cassa, davanti alla ribalta c'era un orchestrina di due ho tre elementi con strumenti ha corda, questi suonatori suonavano nell'intervallo con musica ha piacere, durando lo spettacolo nei combattimenti, quando si riunivano la corte dei cristiani e quella dei pagani, e all'apparizione dell'Angelo: i pezzi suonati nel corso dello spettacolo erano frammenti di musica classica. Ci misero pure una guardia municipale "in divisa" perché l'uniforma incuteva rispetto. La guardia si chiamava Nicola Di Lecce nativo di Bari per questo lo chiamavano "Nicola 'o Barese" (il barese), veniva ricompensato con poche lira per sera e lui arrotondava lo stipendio.
Una sera entrò per assistere allo spettacolo una coppia di sposi in luna di miele, la cosa incuriosiva tutti perché non era solito vedere entrare donne in un locale pubblico, non solo ma pure che quei due erano conosciuti in tutta Torre, lei Maritella (Maria) s'improvvisava venditrice ambulante di frutta e verdura, lui esercitava la professione di facchino (scaricando di merce varie) possedeva una forza ineguagliabile da solo scaricava un traino di sacchi di farina da un quintale cadauno, si chiamava Giovanni e lo chiamavano "Scialone" (sprecone). La coppia si era seduta in un parco laterale e avevano gli occhi a dosso dai presenti in sala per la curiosità non solo li guardavano ma dicevano parole sotto voce, la scena era aperta il mormorio dei presenti cresceva fu così che uno dalla prima fila disse ad alta voce "chi 'o cache?" un altro di dietro rispose " 'o cachi lui!" l'altro rispose: "no! ò cachi lei!", la guardia si avvicinò ha quello che aveva lanciata la voce l'ammonivo, subito un altro riprese col dire "ò cachi lui ò cachi lei?", la guardia andava all'altra parte, un'altra di dietro faceva lo stesso e così via, da tutto il vociare che fecero prima uno e poi l'altro e un altro ancora divenne una caciara la coppia di sposi furono costretti ha darsene via il puparo "Alfredo" si affacciò sulla scena e disse: "ma che è stato? Ciò vulite fa, fa l'opere 'e pupe?" (cose è stato, ci volete far fare l'opera dei pupi?). Si chetarono tutti, il puparo ritornò al suo posto di lavoro. La battuta di Alfredo Buonandi è rimasta memorabile: ancora oggi viene usato quanto si sta facendo qualcosa è un altro lo interrompe allora colui indaffarato con quello che sta facendo dice: "me fai fare l'opere è pupo?"


La famiglia Izzo - 1930
Una deviazione per un fatto grazioso, Giovanni "Scialone" era un uomo che ci stavo agli scherzi si divertiva anche lui quando lo canzonavano i borghesi e nella primavera degli anni trenta un gruppo dimezzi borghesi ne studiarono una veramente divertente, a Giovanni li fecero capire d'essere un artista "attore nato" per il fisico per l'altezza (era 2 metri alto) la forza lo già detto. Li promisero di farlo girare un film nelle vesti del mitologico personaggio, per tanto tutti pomeriggi dalle 15,00 alle 18, 00 sulla spiaggia "La Scala" gli facevano indossare una vesta di colore rosso, un turbante sulla testa e una clava nelle mani che li serviva per difendersi da un gruppo di ragazzi dai i 10 e i 20 anni, armati di bastoni e manici di granate.
Il titolo del film era "GIOVANNI CONTRO TUTTI", la macchina da prese era una cassetta di legno, con un finto obiettivo con una manovella da un lato che facevano girare a vuoto, la cassetta era come le macchine fotografiche che avevano i fotografi di piazza. Giravano più di una ripresa al giorno ed il povero Giovanni le bastonate le prendeva sul serio, perciò qualche volta si fermava e diceva: "No! così mi fate male!". Al termine della serata lo pacavano con quattro o cinque lire, e ai ragazzi 10, 20, centesimi anche 50 in base all'età. I signori si divertivano alle spalle dei poveracci e anche i partecipanti e tutti quelli che assistevano allo scherzo, tutto intorno una massa di gente rideva e applaudiva gli scherzi stupiti che inventava chi non aveva nulla da pensare.
Riprendiamo la storia iniziata: già detto i proprietari erano tre, ciascuno prendeva la paca per quello che faceva e a conti fatto levato le spese se ci rimaneva qualche soldo lo dividevano in tre, "le mansione e il dovuto compenso dei soci", Alfredo che faceva l'opera e percepiva 15 lire a sera, l'addetto alla vendita dei biglietti tre lire per sera, quello che suonava la chitarra tre lira, altri suonatori (non soci) anche questi tre lire cadauno, l'altro pupante (non socio) 15 lire anche lui, l'addetto a strappare i biglietti a l'ingresso altre tre lire, poi c'era l'affitto del locale, il consumo dell'energia elettrica qualche altra piccola spesa da levare tutte le sere in fondo non ci restava niente da dividere, le poche lire rimanevano solo la domenica che l'incasso era più consistente per i tre spettacoli fatti.
Il socio chitarrista era mio padre Francesco conosciuto col nome Marcantonio (il nome di suo padre) soffriva di sonnolenza e spesso quanto sulla scena c'erano i pupi che dialogavano e lui non suonava si addormentava appoggiandosi con la tasta sulla chitarra, il segnale per quanto dovevano suonare li veniva dato con un fischietto dai pupari, avvolte nemmeno con il trillo del fischietto si svegliava. Una sera erano sulla scena Carlo Magno con i paladini, riunite a commentare l'attacco a sorpresa avvenuto fuori le mura di Parigi capitanato dal Re del Marrocco, sortì una guardia reale e disse "Sire! Sono giunti a Corte i guerrieri che hanno respinto gli aggressori", l'imperatore risponde: "fateli entrare e che siano onorati", la guardia: "obbedisco", guarda dietro le quinte e dice: "suonati i bellici strumenti, che si onorano i combattenti", si gira di fronte al pubblico e dice: "sona Marcantò" (suona Marcantonio).
I presenti in sala fecero una risata fragorosa, d'allora tutte le volte che sentivano il fischietto in coro gridavano "sona Marcantò". Questo succedeva tutte le sere e anche quando lo incontravano per strada, tanto che la battuta diventò di patrimonio popolare, ed è stata pronunciata dai Torresi per più di vent'anni, fino a quando si sono affacciate le nuove generazioni. Le società costituite con accordi verbale non hanno mai avuta lunga durata, anche per questa successo la stessa cosa, già con l'incasso a stento si coprivano le spese ed era un primo inciampo, poi si affacciarono altri intoppi. I pupi non erano di Alfredo Buonandi come lui aveva dichiarato "verbale" ai soci quando si costituì la società, il padrone era ancora l'anziano padre Don Pasquale che si aveva ritirato dal lavoro, non aveva pensione è chiese il noleggio per gli attori di legno e fu concordato tre lire a sera per il solo noleggio se si doveva rinnovare il guardaroba per i pupi era sempre a carico dei soci e andava a beneficio di chi era proprietario.