
Michele Izzo, lultimo puparo torrese
Le spade di latte (latta, N.d.r.)che occorrevano per
i combattimenti "arnese deteriorabile" si spezzavano anche nei
combattimenti ed era un continuo rifarle, Alfredo le costruiva lui e
avrebbe voluto un compenso a parte per questo lavoro ma non avanzava
richiesta ai soci. Perciò a fine settimana presentava una nota di
piccole spese da lui sostenute, era lui che faceva da contabile alla
piccola società. Una settimana poiché aveva costruito le spade, segnò
nel conto: per consumo spade lire 2; il socio suonatore di chitarra a
"Marcantonio" ha questa voce s'infuriò e disse: "ma
comme? duie lire pe struiminte 'e sciabila?" (due lire per il
consumo di spade?), anche quest'altra battuta diventò famosa veniva
ripetuta spesso da chi frequentava la piazza, e fu un altro punto di
discordia nella società.
Il fabbisogno giornaliere per le spese era consistente, occorrevano
dalle 45 alle 50 lire serale, somma che non si incassava nei giorni
feriali, il più delle volte erano in rimessa. L'incasso serale era
dalle 45, 50, avvolte 60 lire, nei giorni festivi si arrivava anche alle
90 lire per lo spettacolo in più è a tutti gli a detti li si spettava
qualche lira extra, in gergo teatrale l'extra per lo spettacolo oltre ai
due giornalieri si diceva "pa capagna e chiù". (la campagna
è chiù, veniva chiesta anche dai portinai dei palazzi a coloro che
rientravano dopo delle ore 22. Era in uso solo nella città di Napoli).
Non so quant'era il costo del biglietto d'ingresso all'epoca, ricordo
quello degli anni trenta e ne parlerò più avanti. Se facciamo un
conteggio delle entrate di cui ho detto e togliamo le uscite cosa resta?
Il socio che guadagnava di più era Alfredo per le 15 lire di paca, (15
lire all'epoca era la paca di uno operaio specializzato) i soci con le
tre lire serale spesso ce li rimettevano a fine settimana.
La società non godeva buona salute i due soci ch'erano sempre in
rimessa decisero di trovare altri pupanti per cercare di guadagnare
qualche soldo in più e si recarono a Torre Annuziata. Chiamarono i
Corelli "pupari" i quali vennero a Torre a vedere il teatro,
senza pupi che poi l'avrebbero portati i Corelli, prese visioni della
struttura fecero un accordo verbale per creare un'altra società. Per
fare ciò occorreva un nuovo permesso rilasciato dalle Autorità
competenti, per tale si recarono dal Commissario di Pubblica Sicurezza
per fare la richiesta del dovuto permesso di agibilità. A quell'epoca
l'ufficio competente era ubicato in via Falanca, la loro richiesta di
permesso li fu rifiutata perché dove costoro chiedevano la licenza
esisteva già un teatro a nome di A. Buonandi. Il Commissario chiese al
Corelli: "scusate ma voi dove avete la residenza?", "a
Torre Annuziata" rispose "andate a lavorare al paese dove
abitate, qui deve lavorare chi possiede la residenza", il Corelli
disse: "non è per me ma per questi signori che sono cittadini di
Torre del Greco" indicando i fratelli Izzo anch'essi presenti, il
Commissario fa una domanda ai fratelli: "qual'è il vostro
mestiere?" i due "siamo incisori", il Commissario alzo il
tono di voce e dice: "andate via speculatori e fate il mestiere che
sapete fare". Con la coda tra le gambe i tre se ne andarono senza
nemmeno fiatare.
Un ragazzo di famigli apprendista puparo venne a conoscenza di tutto
questo, lo riferì al Buonandi, questo si vendicò fingendo di ignorare
la cosa, si cercò un altro posto per lavorare e lo trovò a Napoli
insieme ai suoi fratelli. Aprono un nuovo teatro con i pupi a Corso
Garibaldi dandogli nome "Il Teatro di Donna Peppa", in una
settimana portò a termine la storia di Palmerino d'Ulivo, e portò via
tutti i pupi che aveva in teatro al suo deposito in via Piscopia senza
far sapere niente ai soci. il giorno che si inaugurò, il teatro di
Donna Peppe, Alfredo la mattina non andò ad aprire il locale e scrivere
il "cartellone" come faceva tutte le mattine, nel pomeriggio
alle 16.00, orario di apertura arriva Marcantonio, non vede il
cartellone apre tira su il sipario va sul palcoscenico non c'erano i
pupi, viene suo fratello Aniello "il terzo socio" è domanda
"cosa succede?", Marcantonio al fratello "non lo so, non
ci sono nemmeno i pupi!", l'altro "Alfredo non si è visto?
Mandiamolo a chiamare". Mentre questi studiavano il da farsi
arrivò Alfredo salutò e disse: "non sono venuto per lavorare qui
sta sera, sono venuto in piazza per prendere il tram e vado a Napoli a
lavorare", uno dei fratelli domandò: "come perché?".
Alfredo: "Ho saputo che voi avete chiamato un altro, mi valevate
licenziare e io l'ho fatta prima di voi, ho trovato un altro posto per
lavorare". I fratelli volevano trovare un accordo, riconciliarsi,
mettere una pietra sull'accaduto, ma non ci furono ragioni.
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Alfredo gli mostro la locandina dell'inaugurazione
del nuovo teatro e tra i nomi degli operatore c'era anche il suo, era
inutile insistere. Aniello vestiva elegantemente con panciotto e catena
con ciondolo d'oro, paglietta in testa, un po’ panciuto e con un
bastone con il pomo d'argento, al fratello minore: "è tutta colpa
tua! Hai trascinato anche me, ma io ti spacco la testa" e prese a
rincorrerlo col bancone alzato l'altro scappava e lui l'andavo dietro
facendo più giro in torno al bancone per la vendita del acqua fresca,
la curiosità dei passanti si fermavano, in poco tempo si radunò un
capannello. Qualcuno disse: "chiste so nummere" (questi sono
numeri), un altro disse: "gente currite, Marcantonio, che s'appiceco
co frate" (Marcantonio litica con il fratello) il tutto finì col
ridere, ci fu qualcuno che si giocò i numeri al lotto, non so se il
sabato chi giocò fu premiato dal bancol'otto. Chi non si contente no
gote. Chi troppo vuole nulla ottiene, i fratelli Aniello e Francesco
figlio di Marcantonio per non accontentarsi dei pochi centesimi serale
fecero chiudere il teatro "à mieza à Torre" (in mezzo la
Torre) piazza Luigi Palomba.
Descrivo un pò la Piazza com'era allora: il monumento a Garibaldi era
dove è adesso, ed era circondato da una cancello di ferro battuto alto
due metri, noi ragazzi la sera giocavamo ai "fuiente 'e duie"
(fuggire in due) un gioco assai semplice "si faceva la conta (. Ò
tuocco) tra noi ragazzi dai 10 ai 18 anni, il gruppo poteva essere di 3/
4/ 5/ 6, anche in 10 avvolte, colui che designava la conta (chi li
toccava) rincorreva ha tutti gli altri a chi ".à cchiappava"
(ha chi prendeva) andava al posto suo; "la corsa" incominciava
dal cancello del monumento a Garibaldi e terminava a quello della chiesa
del SS. Rosario, si faceva una sosta e si ripartiva per tornare ha dove
s'era partito, non era consentito fermarsi per nessuna ragione, il
riposo si faceva solo vicino ai due cancelli aggrappati quello della
partenza e quello dell'arrivo. Giochi semplici della povera gente, non
si potrebbe fare adesso per il troppo traffico. Un altro detto
caratteristico della piazza era sul braccio teso con la spata di
Garibaldi che indica il vicolo Del Gatto, all'ora quella via era un
vicolo stretto ed era conosciuto come: ".ò vico do Carmene"
(vico del Carmine) all'entrata sul lato sinistro c'era un
"Vespasiano", è si diceva che la spata di Garibaldi ti
indicava dove dovevi andare per orinare, il detto era " Vai 'a
piscià dido 'o viche d'ò Carmene". Il marciapiede era assai
largo, e lungo da vicino la Chiesa del Carmine fino alla curva di via XX
Settembre. Dove adesso ci sta l'edicola per la vendita dei giornali vi
era un banco istallato fisso per la vendita de l'acqua con la spremuta
di limone e un pizzico di bicarbonato di soda, i gestori erano due,
mamma e figliola, tutte le mattino allestivano il banco con limoni e
foglie verde i contenitori dell'acqua in terra cotta, alla sera poi
portavano via tutto lasciando sole il bancone, avevano pure qualche
sedia per qualche cliente. In quel vasto marciapiede la mattina
dall'alba alle ore 11/12, vi erano sparse tutte ceste di frutta e
verdura, si effettuava operazione di compravendita all'ingrosso. Nel
vicolo indicato da Garibaldi c'era lo "stallone" (stalla per
la sosta dei cavalli e asini di coloro che portavano la merce al
mercato, nello stesso vicolo fatta la compravendita degli animali
domestici e suini per allevarli. La domenica vicino la Chiesa del
Carmine cerano banchi con scarpe indumenti e arnesi agricoli era il
mercatino della domenica affluivano quasi tutti i Contadini delle vicine
campagne, si notava il giorno di festa. Proprio vicino alla statua di
Garibaldi si fermava il tram, a due carrozze staccavano la motrice
andava più avanti, ritornava e l'attaccavano ha l'altro lata pronta per
partire per partire per Napoli, era il capolinea del tram n° 55,
scendeva dalla via Piscopia e dopo fatto la manovra e la sosta partiva
par Corso Umberto 1°. In quella piazza sono cresciuto, ho passato i
più bei giorni dell'infanzia e dell'adolescenza, mi sono rimasti tanti
ricordi. Mi sembra di vedere quegli uomini non più giovani, che
sostavano ore e ore seduti e in piedi li vicino il caffè di Romito
Filippo "ò cafè 'e Feleppiello" (il caffè di Filippo), col
lapis e foglio sempre a portata di mano segnavano e compilavano i numeri
per poi giocarli all'otto, per poter giocare ricavavano i numeri da
qualsiasi avvenimento, dalle disgrazie alle risse, dal furto ai sogni;
con un povero diavolo subnormale si divertivano a fargli le domande per
riderci e poi compilare l'ambo, il terno, la quaterna e così via.
Il bancone che vendeva l'acqua era fisso lì dove "oggi ce
l'edicola dei giornali", il banco abbellito con limoni e foglie
della stessa pianta, una grossa caraffa di terra cotta ('o giarro) con
sopra un bel pezzo di ghiaccio "nei mesi estivi", la bibita
era fatta con una spremuta di limone, acqua e una puta di bicarbonato di
soda. Le venditrice, mamma e figlia, si chiamavano Fiocchella,
(Raffaella) e Miliella (Emilia), erano sempre allegre e scherzose,
allestivano il banco alle ore 9 o 10 del mattino e lo disfacevano a
notte inoltrata, non avevano orario preciso, il pranzo e la cena li
consumavano sul posto di lavoro, ci avevano un paio di sedie per uso
proprio e si ci sedeva pure qualche pensionato o disoccupato per
ammazzare il tempo e per ridere alle spalle della povera gente. Emilia
s'improvvisava sensale (mediatrice) era una vera e propria agenzia
d'affari, si occupava della compravendita e affitto di case, vendeva
qualche vestito, pelliccia, scarpe, tutta roba usata che qualcuno
l'aveva ricevuto dal parente Americano, e combinava anche matrimoni. Si
trattava di un'agenzia tutto fare, ed era al corrente di tutto quello
che succedeva nelle case meno abbienti, conosceva le corna di tutti per
questo c'era sempre gente vicino a quel banco. |