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deformato il corso autentico e naturale della vita persino con le favole dei bambini, ricche di trasfigurazioni e contorsioni della realtà, con la mania dell’arte, del desueto, dell’ambiguità creativa. Abbiamo finito per trasmettere ai bambini la parte inferma della creatività artistica. Lasciamo che i bambini scrivino i libri per noi, i bambini appena accostati ai rudimenti lessicali, i bambini incolti e incontaminati dalla cultura, i bambini come immagine speculare degli uomini di Neanderthal, semplici, bonari e pacifici perché incolti, ignari dell’elaborazione culturale dell’angoscia umana legata all’idea del decesso e la probabile assenza salvifica. I bambini lontani da TV e computer, gli ultimi e più terrifici strumenti di una cultura in saturazione; i bambini nuovi, pasturanti nei prati virenti e rigogliosi, nutriti con more e aromatici agrumi, lontani dalle derrate martoriate nei laboratori per la conservazione. Lasciamo che tali bambini scrivano i libri per noi e bruciamo le biblioteche, forse assisteremo alla nascita di una umanità diversa, almeno per qualche millennio... Perché l’unica salvezza del mondo, la vera non

utopia e quella di creare una umanità la cui ragione sia finalmente aliena da tutte le elaborazioni culturali accumulate nei millenni.
E così, cadendo io stesso nella prosa scolastica, cedendo alla mania, come tutti coloro che usano lo strumento della scrittura, di coinvolgere gli altri nelle proprie idee, tronco tosto la dissertazione osservando, invece, che la stampa a caratteri mobili di piombo fuso è ormai agonizzante anche perché il progresso, inteso soprattutto come evoluzione fisiocratica, fa pressione sulla domanda crescente relativa al movimento demografico.
Devo spezzare una lancia in favore dei progressisti riconoscendo che le tecniche veloci sono più idonee al fabbisogno planetario di stampati. E’ discutibile, però, (ricompongo la lancia) se questo tipo di fabbisogno sia necessario o superfluo, se non dannoso.
L’inventore d’altra parte, oblìa l’aspetto speculativo di ogni scoperta, per non dire quello esiziale (vedi la bomba atomica) perché spinto innanzitutto dalla molla dell’affermazione personale.