Quando nella bottega annuncio qualche pubblica-
zioncella, la prima cosa che mi chiede la gente è: Ma fa ridere?. Il bello è che essa ride pure quando ho creduto di
scrivere cose serie. Non sarà per partito preso? Forse anche a Napoli,
oggi, si insinua quel proverbio che recita:
Quante volte le bocche ridono ed i cuori non ne sanno nulla. Abbiamo
finito col dottrinalizzare pure le risate? Abbiamo fatto del proverbiale
buon umore napoletano un’altra elaborazione culturale.
Se così fosse, poveri noi! On Luì – dicono sovente gli ex
apprendisti quando s’affacciano all’uscio della mia bottega –
All’alma di colui che a te percosse... Ed io mi commuovo per
stupidaggini del genere, perché tali non sono. Esse sostituiscono i
contatti umani d’un tempo, il senso dell’amicizia, sempre più
compromessi, per questo tronco la frase dicendo:
Curre, cammina, va a fa’ ’o duvere tuoie. Ed egli docile come un
cagnolino riconoscente si avvicina soddisfatto alla
napoletana. Io noto la prima stempiatura, gli incipienti segni della
sua dissolta giovinezza. Penso a quando, paternamente, lo dileggiavo
dicendo mesci
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il caffè, ed egli puerile ed ignaro lo zuccherava.
Ah, scarzappulillo, non più
imberbe, col tuo pomo d’Adamo che va su e giù, con qualche dente in
meno e la consorte incinta ogni nove mesi perché non si decide a fare il
maschio. Ricordo quando dicevi al cliente moroso che cincischiava nelle
tasche inventando mille scuse: Ma
dicite ca nun tenita a «zuppa». Rieccovi a fare ’o duvere
vuoste, come un tempo, con la
napoletana, dove il caffè
scende. Ridico mesci, e voi, meno candidi, lo versate, dietro un adulto sorriso
sornione. Un ex scarzuppulillo
centellinò con me quel nettare dell’amicizia e si dileguò per
l’ingresso. Un attimo dopo ricomparve: «On Luì – sbottò – me
scurdavo ’na cosa importante». Pausa. «Dai, parla», ruppi. E lui «Ammesso e non concesso che io ti dicessi di fare poco il berloffo, tu
che faresti?». Grazie, ragazzi, grazie perché mi fate, talvolta,
riassaporare la giovinezza. Grazie per aver tollerato i miei sbalzi
d’umore dovuti alle vostre inottemperanze, per aver saputo sorridere a
qualche mia verbale escandescenza:
’Ata fa’ ’e mmane comm’ e piede!
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