Cap. 5 - Pag. 192

Cap. 5 - Pag.193 

Quando nella bottega annuncio qualche pubblica- zioncella, la prima cosa che mi chiede la gente è: Ma fa ridere?. Il bello è che essa ride pure quando ho creduto di scrivere cose serie. Non sarà per partito preso? Forse anche a Napoli, oggi, si insinua quel proverbio che recita: Quante volte le bocche ridono ed i cuori non ne sanno nulla. Abbiamo finito col dottrinalizzare pure le risate? Abbiamo fatto del proverbiale buon umore napoletano un’altra elaborazione culturale. Se così fosse, poveri noi! On Luì – dicono sovente gli ex apprendisti quando s’affacciano all’uscio della mia bottega – All’alma di colui che a te percosse... Ed io mi commuovo per stupidaggini del genere, perché tali non sono. Esse sostituiscono i contatti umani d’un tempo, il senso dell’amicizia, sempre più compromessi, per questo tronco la frase dicendo: Curre, cammina, va a fa’ ’o duvere tuoie. Ed egli docile come un cagnolino riconoscente si avvicina soddisfatto alla napoletana. Io noto la prima stempiatura, gli incipienti segni della sua dissolta giovinezza. Penso a quando, paternamente, lo dileggiavo dicendo mesci

il caffè, ed egli puerile ed ignaro lo zuccherava. Ah, scarzappulillo, non più imberbe, col tuo pomo d’Adamo che va su e giù, con qualche dente in meno e la consorte incinta ogni nove mesi perché non si decide a fare il maschio. Ricordo quando dicevi al cliente moroso che cincischiava nelle tasche inventando mille scuse: Ma dicite ca nun tenita a «zuppa». Rieccovi a fare ’o duvere vuoste, come un tempo, con la napoletana, dove il caffè scende. Ridico mesci, e voi, meno candidi, lo versate, dietro un adulto sorriso sornione.  Un ex scarzuppulillo centellinò con me quel nettare dell’amicizia e si dileguò per l’ingresso. Un attimo dopo ricomparve: «On Luì – sbottò – me scurdavo ’na cosa importante». Pausa. «Dai, parla», ruppi. E lui «Ammesso e non concesso che io ti dicessi di fare poco il berloffo, tu che faresti?». Grazie, ragazzi, grazie perché mi fate, talvolta, riassaporare la giovinezza. Grazie per aver tollerato i miei sbalzi d’umore dovuti alle vostre inottemperanze, per aver saputo sorridere a qualche mia verbale escandescenza: ’Ata fa’ ’e mmane comm’ e piede!