Finalmente
aprì bottega ad est del Vesuvio, senza il beneficio di rivendicazioni
sindacali, ma attraverso il centesimare dei suoi risparmi. Ma da quel
momento, da paria mediocre del mondo del lavoro divenne un potenziale
buon partito per l’occhio particolare di certe donne, non molte per
fortuna, che ancora oggi ricercano l’affermazione accovacciandosi
sotto l’egida di un marito portapane. Avvenne uno dei tanti matrimoni
terapeutici dove l’illusione dell’idillio durò giusto i nove mesi
della gravidanza. Giovanni Paperino, dietro un eccessiva possessività
materna, da parte della consorte, si vide escluso dalla sfera affettiva
dei congiunti, in più sentiva opprimente l’ingerenza della suocera.
Non si rendeva conto di alimentare da sé queste manovre inferme della
consorte perché non imponeva i suoi diritti e doveri rispettivamente di
marito e di padre. Finì che, per
sentirsi accettato, si immerse nel lavoro, come si suol dire, fino al
collo. La donna, vittima del modello sociale capitalistico si crogiolava
sui sensi di colpa di Giovanni e, attraverso finissimi ed eleganti
ricatti morali, lo spingeva a sudare, come si suol dire anche questa
volta, le sette camicie. (Perdonatemi le
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puntualizzazioni
stilistiche pqe questo stralcio retorico, ma sento sempre la presenza della buonanima di Croce che mi
fissa dal famedio). Giovanni Paperino, come tutti gli adulti bambini era,
tutto sommato, un candido ossessionato. Il conflitto si consolidò quando,
preso dal bisogno della fuga, dovette lottare intensamente contro la
rinuncia affettiva dei suoi figliuoli. Una coppietta di pargoletti
tenerissimi, si confidava, due batuffoli di cotone idrofilo, l’uno rosa,
l’altro celeste, sebbene, secondo la moglie, lui avesse contribuito al
loro concepimento solo attraverso un meschino, scellerato semino. La fetta
di potere ottenuta dalla moglie di Paperino era insufficiente secondo il
parametro vigente, a stento riusciva a snobbare i condomini. Sebbene fosse
detentore di una posizione economica superiore alla media nazionale,
l’uomo si sentiva meschino, inottemperante, un poveraccio da questua.
Schiacciato dalle pressioni domestiche il tapino decise di recarsi a
visitare la famosa rassegna grafica del capoluogo lombardo onde acquistare
macchine rapidografiche, turbografiche e, come si suol dire (per la terza
volta), chi più ne ha più ne metta.
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