fetta di dignità, per uscire dall’emarginazione
della miseria.
Provenivamo
da una Napoli prostrata nei disagi e nell’inedia. Malaparte ci ricorda
la drammaticità di quegli anni, forse eccedendo nella trasfigurazione
artistica con fioriti, declamatori ed ampollosi virtuosismi di stile.
Tutti i popoli nell’annichilimento prolungato diventano servili e
confusi. Nella disperazione non esistono popoli migliori o peggiori, ma
solo folla di individui che, obnubilati, lottano per la
sopravvivenza. Qualsiasi
altro popolo al posto di quello napoletano, non avrebbe fatto cose
migliori. E’ facile giudicare
con la pancia piena, come diciamo noi. Con buona pace di Curzio, che
amo e ammiro come scrittore, La
Pelle sarebbe stata stilata dietro un’altra ottica se, invece di
trovarsi, egli, nella condizione di consumare bisbocce con gli
anglo-americani, il destino l’avesse voluto gomito a gomito coi
diseredati, a dormire nei loro tuguri, a soffrire la propria fame e per
quella dei figli, che egli non aveva.
Ecco perché un posto, nel dopoguerra, rappre- sentava la meta per i giovani di
allora, a cui le
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madri
ancora rammendavano i calzini o facevano risuolare le scarpe.
Allora, oggi
si dovrebbe rifiutare il benessere, ammesso che sia veramente tale? No, si
dovrebbe apprezzare la parte buona di esso, ma non si può quando, sotto
la molla consumistica, esso alimenta un crescendo di se e rende i
consumatori dipendenti di dosi infinite. Mai come oggi cade bene la
locuzione: stavamo meglio quando
stavamo peggio, e non credo che sia solo un qualunquistico luogo
comune. La vita dei campani era senza dubbio più serena nel secolo
scorso, sia pure nelle ristrettezze e nel servilismo, perché si
apprezzava e si utilizzava bene quel poco che si otteneva.
Chi poco tiene caro tiene, si dice a Napoli. La stampa tipografica
ebbe il suo fulgore ai tempi della Serao. La moglie di Scarfoglio fu la
prima a scuotere il dirigismo politico e difendeva tutte le categorie
disagiate dei lavoratori, non di meno i tipografi: «Napoli - diceva - è
il paese dove meno costa l’opera tipografica; tutti lo sanno: i tipografi sono pagati un terzo meno degli altri paesi. Quelli che
guadagnano cinque lire a Milano, quattro a Roma,
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