locale radicata sulla ossequianza sudditale, in
alternativa alla reazione delittuosa d’esito irreversibile. In altre
parole il popolo, attraverso atteggiamenti blasfemi o scurrili, reagisce
alle angherie dirigenziali in alternativa alle conseguenze di pulsioni
reattive di tono delittuoso. Il popolo napoletano per secoli ha fatto
finta di non sentire molte puzze e continua a far finta di non sentirle.
Non e affatto codardo, ma saggio, e vorrebbe, in maggioranza, regolare i
conti con sberle e cazzotti, alla Bud Spencer. E’ una razza,
quella vesuviana, al di là di certa minoranza purulenta di immaturi
settici, che tendono a diffondere la cancrena in tutto il tessuto
sociale, ancora adulta, sebbene si avvertano le prime avvisaglie di
confusione e disorientamento. Un popolo, come molti altri, che ha da
tempo superato la fase cervantesiana e che riconosce bene l’utopia
delle rivoluzioni. Così gli scritti di
Roberto d’Angiò (come, ad esempio, il famoso epitaffio per la nipote
Clemenza, figlia di Carlo Martello) passano alla storia. Spesso, pero,
le mediocrità e le baggianate di uomini storicamente famosi sono valide
sol perché fatte da uomini tali, o pure perché vissuti
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quando vi era penuria di opere artisticamente e
culturalmente valide. Un po’ come accade oggi, talvolta, per alcuni
riconoscimenti ufficiali. Uomini ed opere egregie restano in ombra perché
scavalcate dai primi posti, mentre, per contro, opere ed uomini mediocri
si affermano per 1’assenza temporanea di elementi migliori. Senza
parlare delle affermazioni di carattere competitivo dove un voto od un
centesimo di secondo distruggono la carriera di uomini validi.
Intanto il Petrarca accettò di essere esaminato, per alcuni
riconoscimenti, dal sovrano, «L’unico - disse - che accetto come
giudice del mio ingegno». Ma qui, a mio parere, la cosa faceva perno più
sull’appoggio politico che sulla perizia letteraria. Dante, per tutta
risposta, denigrava il re sermone, altrettanto per ragioni
politiche. Ma è bene ribadire che il fulcro di tutta la cultura napoletana
di quel periodo storico fu l’opera di S. Tommaso d’Aquino, il quale,
in assenza non già solo delle collane economiche divulgative moderne, ma
pure di quelle prototipografiche di Aldo Manuzio, si disponeva sugli ampi
sagrati ed intratteneva la folla napoletana, in volgare, con i concetti
essenziali della sua
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