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Chi ha le tempie canute ricorda che il tipografo delle botteghe, nel dopo guerra doveva accontentarsi delle bruschette o delle marenne a base di melanzane a funghetti e friarielli, mentre quello che faticava al giornale poteva permettersi la fetta di prosciutto. Spesso i compositori o gli impaginatori dei giornali davano il loro diretto contributo ai pezzi di cronaca, perchè facevano da tramite tra ambiente popolare e redazione, suggerendo, tra l’altro, espressioni gergali, peculiarità caratteriali e comportamentali del popolo, sconosciute alla classe alto borghese dei giornalisti agiati di allora. Chissà chi furono gli informatori della Serao, forse la masnada di camici neri rattoppati e bisunti che la circondava. Quale tipografo artigiano negli anta può dimenticare le rasserenanti giornate di lavoro in queste officine grafiche. Lazzi, facezie, scherzi da prete e soprattutto spiccava quella sorta di paradossale religiosità nel turpiloquio, poetico, colorito, ilare, puerile ed innocente. Questi erano i soli delitti che si confessavano la domenica in chiesa. Dovevano pur farsi perdonare qualcosa, altrimenti i reverendi avrebbero rischiato la... cassa integrazione.

IL SOGNO DEL GIORNALISMO
Le tipografie artigiane vesuviane che ancora realizzano nella maniera tradizionale le pubblica- zioncelle locali pressate dalle ambizioni letterarie degli oscuri docenti di lettere, o dei cultori di sogni nel cassetto, o dei poeti del sabato sera di fama intercomunale, arrotondano il fatturato in un contesto lavorativo molto compromesso dall’offerta satura. Ebbene, io appartengo alla categoria di questi sciagurati sognatori, conscio, però, del carmina non dant panem, non solo, ma pure del nemo propheta in patria, poiché queste sporadiche mie esperienze scrittorie desuetamente autofabbricate in tomi, sono destinate, volutamente a non valicare il circondario urbano. Sono comunque solidale con tutti gli sventurati come me, e quasi mi rammarico del privilegio di poter prevalere, almeno quantitativa- mente, sugli altri, che la sorte non li ha voluti bottegai tipografi. Comprendo, anche se non giustifico, coloro che non sanno valutare i propri limiti, e continuano imperterriti in questo cammino spinoso, attribuendo il loro insuccesso solo a fattori egemonici da circolo chiuso. Oggi, più che mai, in