Sono ormai lontani i tempi della priorità
teofilosofica culturale che caratterizzava il periodo della nascita delle
Università in tutta Europa. La cultura napoletana in seno all’Università
di Napoli vede, alla fine del secolo scorso, sotto il Ministro della
Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis, personaggi come Settembrini,
De Blasiis, Spaventa, ecc. Ma, a far ruotare a tutto spiano le
pianocilindriche tipografiche furono personaggi come lo scrittore popolare
Francesco Mastriani, con i suoi 115 romanzi, poco valutati dalla
critica, ma di larga diffusione e Vittorio Imbriani, che si
distinsero nel periodo letterario della fine del secolo scorso. Più in
luce la giornalista scrittrice Matilde Serao, coi suoi famosi
Ventre di Napoli e Paese di Cuccagna. Redattrice a Roma del
Capitan Fracassa, seguì, poi le orme del marito Edoardo Scarfoglio
col suo Corriere di Napoli e Corriere di Roma. Autrice dei
noti Mosconi sul Mattino di Napoli, fondò infine Il Giorno.
Il tarantino Scarfoglio fondò Il Mattino e
scrisse saggi e varie prose. Tartarin influì positivamente il suo
allievo Roberto Bracco, valido critico e giornalista, sprovvisto
persino di licenza elementare. Esempio emblematico di autodidatta, fu
deputato e persino candidato al Premio Nobel. Alla fine dell’Ottocento Benedetto
Croce partorisce la Critica Estetica, provocando una vera
rivoluzione di pensiero filosofico-letterario. Fondatore della rivista
La Critica, compose centinaia di opere tra cui spiccano La
Letteratura
della Nuova Italia, Poesia e non Poesia, Storia
d’Italia..., ecc. Pasquale Villari, alla fine del secolo
scorso compose diverse opere di critica e di storia, altrettanto Ruggiero
Bonghi che fondò, tra 1’altro, La Stampa di Torino. Studi
di Storia Letteraria Napoletana e Manuale della Letteratura Napoletana,
furono, invece, valide opere di Francesco Torraca.
Una specie di lazzarone letterato fu invece Ferdinando
Russo, poeta dialettale di vivace realismo, come pure, anche se in
maniera più pacata, Raffaele Viviani col suo teatro. Quindi Rocco
Galdieri, che espresse nelle sue opere quel suo triste umorismo nel Monsignor
Perrelli, pubblicato a cavallo fra i due secoli. Ernesto Murolo,
invece, scrisse molte poesie in vernacolo, diverse delle quali furono
musicate. Ancora Libero Bovio ed il crepuscolare Eduardo
Nicolardi, nonchè il famoso poeta Giovanni Gaeta, altrimenti
detto E. A. Mario, che scrisse La Leggenda del Piave
e la canzone Balocchi e Profumi.
Dopo la Serao ritornarono a Napoli i tentativi ben
riusciti di narrativa. Negli anni trenta Carlo Bernari pubblica I
tre operai. Di Bernari sono Guerra e pace, Vesuvio e
pane, fino al Foro nel parabrezza degli anni 70. Nel periodo
tra le due guerre si distingue Anna Maria Ortese con Città
involontaria, i racconti Angelici dolori, fino a Il mare non
bagna Napoli, degli anni 50. Intorno al secondo conflitto
mondiale il narratore napoletano di spicco è Giuseppe Marotta col
suo famoso L’oro di Napoli, quindi Gli alunni del sole, San
Gennaro non dice mai no, ecc.
Dopo la guerra esordisce Domenico Rea di Nocera
Inferiore, con Spaccanapoli, Una vampata di rossore,
ecc. Quindi Michele Prisco, di Torre Annunziata, coi famosi
racconti dell’esordio La provincia addormentata, poi Figli
difficili, ecc. Altro romanziere del secondo dopoguerra sarà Luigi
Compagnone che esordì con La Festa, poi La vita nuova di
Pinocchio, L’onorata morte, ecc.
Infine Mario Pomilio con Il testimone e Il
cimitero cinese, L’uccello nella cupola, ecc. Vi sono molti
altri intellettuali napoletani di rilievo nel campo della filosofia, della
critica, del giornalismo, della filologia che, secondo me, vanno citati in
trattazioni specifiche più ampie, di natura critica, antologica,
storiografica, per cui discrepanze od omissioni spero saranno qui
tollerate. Un ultimo autore contemporaneo, però, degno di menzione, è il
poliedrico Luciano De Crescenzo, filosofo, umorista e scrittore di
cristallina fattura, che insieme a tutti gli altri intellettuali
napoletani, citati o meno, ha contribuito allo sviluppo dell’editoria
non solo napoletana.
IL PREZZO DEL PROGRESSO
Anche l’industria italiana e, per conseguenza, quella
napoletana, tende ad escludere la dimensione umana dalla produttività.
Per fortuna nel Napoletano è ancora possibile intravedere l’aspetto
umano del lavoro, nei centri storici, dominati dagli agglomerati di
bassi, dove gli ultimi artigiani svolgono il loro lavoro a misura d’uomo,
perché ancora operano in un contesto proletario e piccolo borghese, che
condiziona il modo di lavorare e di vendere secondo le vecchie tradizioni,
dove si ricusa l’impatto appena decennale di certi repentini
stravolgimenti tecnicistici e consumistici sotto casa propria. Certi
moduli edonistici tendono al convertimento, lentamente, come il tarlo fa
col legno, o la goccia con la pietra, facendo leva sul martellamento
pubblicitario legato al modello sociale planetario di benessere illusorio,
attraverso espedienti come il risparmio ottenuto coi prodotti di serie, o
l’adescamento dei supermercati, che eliminano perdite di tempo prezioso,
utilizzato, poi, per i giorni di lotta, atta a procurarsi altro
danaro, e… ancora risparmiare al solo scopo di rispendere. Un circolo
vizioso come la tossicodipendenza, ma legale ed istituzionalizzato da cui
nessuno, non solo non può, ma non deve sottrarsi.
Qualcuno dei tipografi che è riuscito a costruire il
capannone, magari dietro un compromesso stipulato coi “fiori all’occhiello”,
è finito forse ghettizzato in un lussuoso appartamento dei
quartieri bene, europeizzato ed irrimediabilmente escluso dal calore della
Napoli oleografica dove i sostegni psichici essenziali di solidarietà, di
contatto umano, ancora si osservano nei mercatini rionali o quelli
domenicali di Piazza Ferrovia, o di Poggioreale, nelle botteghe, nelle
case-giardino delle vecchie costruzioni spagnole. Le stesse officine
industriali dei quotidiani della capitale del sud hanno
definitivamente visto dissolto il calore umano che esalava, all’unisono,
dai precordi dei giornalisti e tipografi e dai crogiuoli delle linotype.
Era l’ardere del piombo fuso ad accomunare autori e tipografi in una
sola famiglia.
Le notizie sprigionavano anch’esse la soavità di una
metropoli ancora lontana dalla giungla urbana, animata dalle Piedigrotte,
dalle serene periodiche domenicali e dallo strabenedetto pane e
ppummarole, e dal derivato sacrale ragù, o dalla defilippiana
ritualità di pasta e fagioli o caffè che scendeva. Oggi pure i
napoletani il caffè lo fanno salire per dimostrare che il mondo,
nell’arco di pochi decenni, è cambiato da così a così, grazie all’indomita
ascesa industriale. Nelle redazioni dei giornali, anch’esse linde ed
asettiche come gli ospedali, il giornalista infreddolisce per 1’assenza
dei crogiuoli, per la nefandezza delle notizie, per il suo esclusivo
rapporto di lavoro con ...il terminale.
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