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Venditori torresi pag. 2
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'O maruzzaro. Sembra preistoria. Eppure a Torre del Greco c'era pure chi vendeva le lumacche per la strada, pietanza economica, ma sfamava molti.


L'uovaiola
Una sorta di polleria ambulante. Venivano a Torre dall'entroterra agro nocerino sarnese. I polli, certamente ruspanti, venivano forniti solo su richiesta


Una variante del ciabattino ambulante.
Gli zoccoli erano molto diffusi, specie d'estate, perché costavano meno delle scarpe.


'O mezzunaro. Quest'immagine è dedicata a chi, oggi, si lagna. I mozziconi (allora senza filtro) venivano raccolti e trasformati in sigarette.
Un disperato mestiere inventato.

Disegni tratti dai volumi: Usi e costumi di Napoli
di F. Bourcard - Ediz. Polaris - La Spezia - 1990

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'O sapunaro. In pratica raccoglieva stracci vecchi che rivendeva, in cambio di sapone, che in seguito convertì in ogetti utili o danaro.

Cenni sull'epoca dei venditori
ambulanti della cintura vesuviana

L'equilibrio del consorzio umano rivacilla dopo corsi e ricorsi epocali perché sono venuti a mancare non già i valori etico-religiosi in sé, ma i sostegni psichici che allora, pure tra follie di masse e battaglie cruente suggerivano al singolo la scelta di una presenza terrena intellettivo-istintuale ora atarassica, per dirla con il tanto partenopeo Epicuro, ora apotropaica, atta a scongiurare il negativo esistenziale relativo all'interrogativo primario, inconscio, dell'uomo di carattere salvifico post-mortale.
Mi perdonino i concittadini torresi ancora legati al "cicchignacco 'nda butteglia" o a "Dinte a 'na vaschicella ce stanno cinche paparelle, una vo' bere, una vo' magna', 'n'ata vo' fa' 'a pipì, 'n'ata 'a puppù, e l'urdema: accuccia, accuccia, si no t'ammacco 'o caruso".
Era l'epoca indubbiamente disagiata del contesto partenopeo, per dirla con la Serao, che, nel famoso "Ventre di Napoli" (tutto un crescendo di doglianze, disapprovazioni e lamentele) tentava di scuotere il dirigismo politico dell'epoca. Così recitava sull'urbanistica partenopea: "(...) al primo piano un'agenzia di pegni, al secondo si affittano camere, al terzo si fabbricano fuochi artificiali: certe altre case dove al pianterreno c'è un bigliardo, al primo piano un dormitorio, al secondo una raccolta di poverette, al terzo un deposito di cenci. Per distruggere la corruzione morale e materiale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente... non basta sventrare questa terra, bisogna rifarla". E ancora "Un operaio tipografo prende cinque lire a Milano, quattro a Roma e due a Napoli. (...) e così i sarti, i calzolai, i muratori, i guantai (...) e le povere donne occupate come modiste, come fioraie (...) E la serva napoletana, dieci lire al mese, senza pranzo, da casa a casa, da padrone a padrone, scendere le scale quaranta volte al giorno, cavare dal pozzo venti secchi d'acqua (...). E il lavoro dei guaglioni di dodici anni che devono accontentarsi di un po' di mangiare per fare il mozzo di un cocchiere signorile o l'apprendista in qualche bottega. I pranzi, fatalmente fatti di niente, l'indispensabile per non morire di fame (...) Quando sulla tavola ci sono i maccheroni al sugo o lo scapece, la grande insalata fatta di zucchine e melanzane fritte nell'olio e poi condite con aceto, pepe, origano, formaggio e pomodoro, è già festa".
E' già festa! Perchè in questo clima di povertà che rasentava l'inedia rifulgeva una energia interiore di speranza e di rinnovamento che doveva trovare la sua palma oggi soltanto nell'appropriazione edonistica che è ben lungi dall'acquiescenza esistenziale. Per questo vien voglia di postulare la Torre del Greco di leopardiana memoria, romantica anche se un po' crepuscolare, o quella prischiana della provincia trasognata. Sensazioni che si raccolgono in tempo reale con la raccolta di foto antiche di Torre del Greco presente nel lavoro.

Tratto da questo sito, di Luigi Mari:
Introduzione all'iconografia