Il Teatro torrese attuale impegnato  - Samuel Beckett e Antonio Borriello in perfetta simbiosi

LA  MOSTRA  A  VILLA  MACRINA 

NOVEMBRE-DICEMBRE  2006    pag. 2

Giorni fa, ad una trasmissione televisiva ho appreso un’espressione ironica che non conoscevo, e che, a dire il vero, è entrata tranquillamente nel mio bagaglio lessicale e concettuale, distendendomi pure un po’ e inducendomi a farne un uso, come dire, ‘terapeutico’:
Questa è l’espressione:
“Dio c’è, ma non sei tu… rilassati”.
Beh! In questa sede, e volendone modernizzare la formula, mi permetto di dire, a me e a chi come me:
“Godot c’è, ma non sei tu… rilassati”, forse perché nell’immaginario collettivo, allergico, oserei dire, per cognizione di causa o partito preso, all’esistenza del Divino ( per molti materializzato, in questi giorni, nella ‘fatidica’ Play Station 3, che in America ha tenuto svegli, al momento del suo lancio sul mercato, migliaia di ragazzini fuori ai famosi “Toys Stories”), ci sta meglio forse un personaggio meno impegnativo, Godot, appunto, che il geniale Samuel Beckett ha creato nell’ottobre del 1948 per dare un’identificazione, senza volto, all’uomo moderno. Filoni di critica si sono arrovellati per cercare di trovare un significato a questa immagine guida del capolavoro beckettiano: c’è chi vi ha letto Dio (God, tra l’altro ne è il corrispondente lessicale inglese), chi la morte, chi il destino etc. Ma nemmeno l’autore sapeva davvero chi fosse questo Godot, la sua frase più nota, in questo senso, è "se avessi saputo chi è Godot l'avrei scritto nel copione". Ma, nonostante tutti gli aneddoti che girano attorno a questo Godot, che al tempo divenne un vero caso internazionale, io credo che la genialità del suo “creatore”risieda nell’aver trovato, da una parte la perfetta figurazione (o anti-figurazione, nel caso specifico) per l’uomo moderno, reduce dalla guerra e senza identità politica, sociale, etc. L’uomo anonimo, insomma! Senza più tanto da dire, da offrire, o fare (come quei tanti “godottini” che, in questo senso si sono specializzati, per arrivare oggi, nel nuovo millennio, soprattutto qui in Italia, a popolare un mondo fatto di immagini ( e tutto l’elenco che consegue, per associazioni di idee, da questa parola). Poi, di converso, c’è il Godot vero, quello nascosto, (oggi, dire, quasi assente) che, senza tacciarci di blasfemia, è un po’ il nuovo Dio, muove i fili di questo teatrino, tecnologgizzato e con tanto di suoni e luci telematiche, ma rimane nell’ombra. Forse perché non può rivelarsi, forse perché, questo tipo di Godot è in ogni uomo, più vicino di quanto ci si immagini, ma la strada per trovarlo dentro di sé è sempre più lunga e impervia.
Questa introduzione lunghissima, con tanto di ‘strampalata’ chiave di lettura del dramma di Beckett, (forse non fa male, ogni tanto, in una sede culturale azzardare qualche pseudo-critica) primo per esprimere una riflessione, che non sia d’insegnamento per nessuno al di fuori di me stessa (non proprio “godottina” ma ancora lontana dall’essere “Godot”, il che non sarebbe male per evitare, partendo da me e poi da chi, come me, che tanta piattezza caratterizzi questo nostro tempo) e poi per introdurre la lodevole iniziativa, in atto a Villa Macrina, della mostra dedicata al centenario della nascita del genio di cui parlavamo: Samuel Beckett, (1906-2006).
Grazie alla stragrande passione accostata alla professionalità di Antonio Borriello, studioso decennale del drammaturgo, è stato possibile realizzare a Villa Macrina, una mostra che da giovedì 16 novembre si protrarrà sino al 10 dicembre.
L’iniziativa rientra nel più vasto progetto internazionale di commemorazione e omaggio al grande “drammaturgo dell’assurdo”, la cui produzione ha, indiscutibilmente, una grossa eco anche ai giorni nostri e un’enorme assunto di modernità. Lodevole, dunque, l’iniziativa di omaggiare il grande Beckett proprio a Villa Macrina, la cui sorte, come quella di tutta la città, del resto, non è delle migliori. La mostra consiste in un raffinato viaggio multimediale della produzione letteraria e teatrale di Beckett dal 1953 ad oggi, che è stato realizzato grazie ad un lavoro solerte di anni, attraverso la raccolta dei materiali bibliografici più disparati: è possibile trovare oggetti di scena, come la sedia a rotelle di “Finale di partita” , piuttosto che recensioni critiche prodotte dalla penna d’oro di personaggi come Silvio D’Amico, Ennio Flaiano, Carlo Bo, Vittorio Gasmann ed altri.
Inoltre, per quattro giovedì saranno inscenate, a partire da oggi, delle perle della produzione del drammaturgo. (In fondo alla pagina il programma).
L’inaugurazione, avvenuta il 16 novembre, ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Francesco D’Episcopo (docente dell’Università degli Studi di Napoli, Federico II); Felice Piemontese, critico, poeta e giornalista e Susan Colon, addetto culturale dell’ambasciata d’Irlanda.

Francesca Mari
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