Giorni fa, ad una trasmissione televisiva ho appreso un’espressione
ironica che non conoscevo, e che, a dire il vero, è entrata tranquillamente
nel mio bagaglio lessicale e concettuale, distendendomi pure un po’ e
inducendomi a farne un uso, come dire, ‘terapeutico’:
Questa è l’espressione:
“Dio c’è, ma non sei tu… rilassati”.
Beh! In questa sede, e volendone modernizzare la formula, mi permetto di
dire, a me e a chi come me:
“Godot c’è, ma non sei tu… rilassati”, forse perché
nell’immaginario collettivo, allergico, oserei dire, per cognizione di
causa o partito preso, all’esistenza del Divino ( per molti
materializzato, in questi giorni, nella ‘fatidica’ Play Station 3, che
in America ha tenuto svegli, al momento del suo lancio sul mercato, migliaia
di ragazzini fuori ai famosi “Toys Stories”), ci sta meglio forse un
personaggio meno impegnativo, Godot, appunto, che il geniale Samuel Beckett
ha creato nell’ottobre del 1948 per dare un’identificazione, senza
volto, all’uomo moderno. Filoni di critica si sono arrovellati per cercare
di trovare un significato a questa immagine guida del capolavoro beckettiano:
c’è chi vi ha letto Dio (God, tra l’altro ne è il corrispondente
lessicale inglese), chi la morte, chi il destino etc. Ma nemmeno l’autore
sapeva davvero chi fosse questo Godot, la sua frase più nota, in questo
senso, è "se avessi saputo chi è Godot l'avrei scritto nel
copione". Ma, nonostante tutti gli aneddoti che girano attorno a questo
Godot, che al tempo divenne un vero caso internazionale, io credo che la
genialità del suo “creatore”risieda nell’aver trovato, da una parte
la perfetta figurazione (o anti-figurazione, nel caso specifico) per
l’uomo moderno, reduce dalla guerra e senza identità politica, sociale,
etc. L’uomo anonimo, insomma! Senza più tanto da dire, da offrire, o fare
(come quei tanti “godottini” che, in questo senso si sono specializzati,
per arrivare oggi, nel nuovo millennio, soprattutto qui in Italia, a
popolare un mondo fatto di immagini ( e tutto l’elenco che consegue, per
associazioni di idee, da questa parola). Poi, di converso, c’è il Godot
vero, quello nascosto, (oggi, dire, quasi assente) che, senza tacciarci di
blasfemia, è un po’ il nuovo Dio, muove i fili di questo teatrino,
tecnologgizzato e con tanto di suoni e luci telematiche, ma rimane
nell’ombra. Forse perché non può rivelarsi, forse perché, questo tipo
di Godot è in ogni uomo, più vicino di quanto ci si immagini, ma la strada
per trovarlo dentro di sé è sempre più lunga e impervia.
Questa introduzione lunghissima, con tanto di ‘strampalata’ chiave di
lettura del dramma di Beckett, (forse non fa male, ogni tanto, in una sede
culturale azzardare qualche pseudo-critica) primo per esprimere una
riflessione, che non sia d’insegnamento per nessuno al di fuori di me
stessa (non proprio “godottina” ma ancora lontana dall’essere “Godot”,
il che non sarebbe male per evitare, partendo da me e poi da chi, come me,
che tanta piattezza caratterizzi questo nostro tempo) e poi per introdurre
la lodevole iniziativa, in atto a Villa Macrina, della mostra dedicata al
centenario della nascita del genio di cui parlavamo: Samuel Beckett,
(1906-2006).
Grazie alla stragrande passione accostata alla professionalità di Antonio
Borriello, studioso decennale del drammaturgo, è stato possibile realizzare
a Villa Macrina, una mostra che da giovedì 16 novembre si protrarrà sino
al 10 dicembre.
L’iniziativa rientra nel più vasto progetto internazionale di
commemorazione e omaggio al grande “drammaturgo dell’assurdo”, la cui
produzione ha, indiscutibilmente, una grossa eco anche ai giorni nostri e
un’enorme assunto di modernità. Lodevole, dunque, l’iniziativa di
omaggiare il grande Beckett proprio a Villa Macrina, la cui sorte, come
quella di tutta la città, del resto, non è delle migliori. La mostra
consiste in un raffinato viaggio multimediale della produzione letteraria e
teatrale di Beckett dal 1953 ad oggi, che è stato realizzato grazie ad un
lavoro solerte di anni, attraverso la raccolta dei materiali bibliografici
più disparati: è possibile trovare oggetti di scena, come la sedia a
rotelle di “Finale di partita” , piuttosto che recensioni critiche
prodotte dalla penna d’oro di personaggi come Silvio D’Amico, Ennio
Flaiano, Carlo Bo, Vittorio Gasmann ed altri.
Inoltre, per quattro giovedì saranno inscenate, a partire da oggi, delle
perle della produzione del drammaturgo. (In fondo alla pagina il programma).
L’inaugurazione, avvenuta il 16 novembre, ha visto la partecipazione, tra
gli altri, di Francesco D’Episcopo (docente dell’Università degli Studi
di Napoli, Federico II); Felice Piemontese, critico, poeta e giornalista e
Susan Colon, addetto culturale dell’ambasciata d’Irlanda.
Francesca Mari
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