solitario di
Prometeo alle piccole finestre da cui A e B lanciano velenose
invettive contro i loro padri. Mentre tutti gli altri registi
intorno a lui si affannano a distruggere il teatro, Vitiello lavora
sui suoi attori e con i suoi attori e sulle molteplici possibilità
dello spazio scenico di via Martucci: "...Il Teatro Esse si
pose come punto di riferimento per la ricerca, nel concreto del
lavoro, di una nuova funzione del teatro" (2).
"...fare teatro nelle cantine di Napoli era inefficace;
qualsiasi spettacolo si metteva in scena in questi luoghi riservati
ad un numero limitato di persone risultava involontariamente
elitario. La LSE si pone perciò in una nuova prospettiva cercando
spazi più aperti che facilitino l’avvento di un teatro
popolare..."
(3). Sembra che la cantina sia considerata come un luogo chiuso,
fisicamente e metaforicamente, eppure con la LSE non assistiamo al
passaggio dal chiuso all’aperto: Vitiello ha scelto
la periferia, un luogo chiuso a sua volta, angusto e lontano. Più
che un cambiamento fisico, reale, è un cambiamento mentale: è il
modo di considerare il teatro che cambia, l’idea di teatro, ma
soprattutto cambia il modo di fare teatro: diversi punti di
riferimento, Kleist e Brecht, e diverse influenze caratterizzeranno
gli spettacoli di questo periodo.
Dopo tanto parlare, dopo tanti rimandi ed osservazioni: esiste una
poetica registica di Gennaro Vitiello? Credo proprio di si, credo
che sia quella linea sottile che unisce i due gruppi di Vitiello,
quell’inseguire i suoi ideali estetici attraverso spettacoli che
hanno come elementi fondamentali ed indissolubili il testo, la
parola e la scena. Sono questi i tre momenti che il regista cura di
più nel corso degli anni, ma senza mai ripetersi, in un percorso
registico che si potrebbe esemplificare in maniera troppo
semplicistica nei vari passaggi a cui assistiamo: dalla cantina al
garage, dal centro alla periferia, dal teatro-rito per pochi al
teatro di piazza per le masse, dal teatro di parola a quello
gestuale, dalla provocazione alla comunicazione, dal teatro colto a
quello popolare. A prima vista un percorso pieno di contraddizioni
che Vitiello risolve con soluzioni originali: la sua poetica cambia
in continuazione, con testi diversi, tempi diversi, obiettivi
diversi, attori diversi, ma sotto tutto la sperienza intesa
come sperimentazione continua. Vitiello raccoglie esperienze, si
misura con cose lontane, lavorando per aggiunte o smussamenti, e poi
le riporta qui, le riporta a Napoli, le riporta alla sua cultura,
alla sua immensa curiosità e poi da queste costruisce qualcosa di
completamente diverso: "...Vitiello è l’autore di una
drammaturgia, non è l’autore di spettacoli, è un autore della
Nuova Drammaturgia ante-litteram, solo che non agisce su una
scrittura letteraria, ma su una scrittura scenica, che è
più volatile, resta solo qualche foto, qualche ricordo..." (4).
Il suo merito maggiore è stato quello di aver saputo coniugare il
teatro popolare con quello colto, con la LSE, e di aver attualizzato
l’evento teatrale senza stravolgerne il senso, con il TS, senza
per questo rinchiudersi in una ricostruzione archeologica del testo,
e tutto questo senza mai sporcarsi le mani, senza scendere a
compromessi.
Vitiello ha lasciato un’impronta molto forte in quelli che hanno
lavorato con lui, soprattutto in quelli che si sono lasciati andare
(5); ed attori come Peppe Barra lo riconoscono ancora oggi, dopo 20
anni (6): "...Nel periodo delle prove, Gennaro non sapeva
mai niente di quello che doveva avvenire in scena. Si poneva nei
panni dello "spettatore privilegiato" come amava definire
il suo ruolo, era il bambino che gioca col balocco più bello, lo
sguardo entusiasta nella scatola delle meraviglie. Pochi lo
conoscono così, pochi hanno potuto sperimentare la "mano"
dolce e sapiente che aveva nel dirigere un attore. Maieuticamente
aiutava a nascere il personaggio che era in te. Lavorava "con l’attore"
e non "sull’attore". E quando arrivava il blocco, quel
momento di conflittualità col personaggio (cioè con te stesso)
interveniva lui, ma non si sostituiva a te, solo giocava lui al tuo
posto e non si trattava di imitarlo ma di seguire il suo itinerario
psicologico: e allora eccolo trascinarsi da "mendicante"
assumendo tratti alla Bruegel o alla Bosch nelle prove brechtiane di
Mammà chi è?, o mostrarti il sorriso beffardo di un
"Mephisto" goethiano o agire "la Zanzara" che va
a stuzzicare "Cristobal" in un surreale "Lorca
andaluso". Alla fine ti aveva insegnato a trovare quel
dispiegarsi della verità che ti sembrava irraggiungibile..."
(7).
Molti dei suoi attori e collaboratori più stretti mi hanno detto
che ancora oggi continuano a fare i conti Gennaro ad ogni
nuovo lavoro: "Cosa mi avrebbe detto Gennaro?", "Come
lo avrebbe fatto Gennaro?", quasi che Vitiello avesse loro
insegnato un modus operandi che invece di legarli sempre allo stesso
modello, li rendesse più liberi ogni volta: un modo di pensare e di
vivere il teatro invece che farlo semplicemente, quasi una voce
fuori campo che li guida: "...L’eredità è quello che le
persone lasciano dentro di noi..." (8).
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Didattica -
Laboratorio burattini

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NOTE:
"...Gli spazi proposti
agli scenografi da Vitiello non erano mai spazi ortodossi,
cercava sempre un palcoscenico che prescindesse dal
palcoscenico, dalla platea, dal sipario...Il rapporto tra
struttura scenica e riferimenti pittorici, culturali e
antropologici erano portati allo spasimo"
- G. Baffi - interv. cit.
V. Monaco - ibidem, pag.
154.
G. Vitiello - progr. di sala
Ur-Faust
E. Salomone - ibidem
"...Vitiello era la
scuola perché partiva dal grado zero...lui ti parlava e con le
parole ti toccava. Con lui dovevi lavorare in maniera onesta,
toglierti di dosso tutti gli abiti e le sovrastrutture, lo
pretendeva, a volte con giorni e giorni di provocazioni anche
violente: lui voleva il tuo essere umano..."
- ibidem
"...Vitiello era una
persona ricca di amore, non solo per il teatro, ma soprattutto
per l’individuo...Vitiello era più che un regista, un uomo di
teatro: lo reputavo un grosso poeta, una persona di grande
poesia e umanità, soprattutto di grande umiltà..."-
P. Barra - ibidem
Tratto da "Il
ricordo della Libera Scena Ensemble. Spettatore
privilegiato" - s.d. - Arch. Vit.
M. Izzo durante una
telefonata avuta con me lo scorso maggio.
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