Varianti tipologiche
Essendo, per quanto
precisato, la definizione architettonica di ogni torre
strettamente correlata all’armamento, a sua volta dipendente dal
contesto ambientale, ne consegue che per tratte costiere
morfologicamente omogenee, prive di foci di fiumi o di preminenze
antropiche, quelle che vi si susseguono appaiono sostanzialmente
identiche. In particolare lungo le marine basse e sabbiose,
lontane dagli abitati, abbastanza frequenti e lunghe nel
meridione, se ne osserva anche una vistosa diradazione con
interassi spesso di diversi chilometri. In tali contesti la
scansione coincide quasi esattamente con gli estremi semaforici
del sistema, non richiedendosi alla difesa anticorsara un
significativo ruolo interdittivo. Discorso completamente diverso,
invece, per le coste sinuose e convesse, specialmente se rocciose
e frastagliate. Il continuo avvicendarsi di piccoli promontori,
di calette, di anfratti e di brevi spiagge, segmentato da
incisioni torrentizie e forre carsiche, costituiva lo scenario
ideale per l’insidia corsara. La loro estensione, tuttavia,
risulta una trascurabile frazione dell’intero perimetro
litoraneo meridionale tranne due sole cospicue eccezioni: la penisola del Gargano e quella d’Amalfi. Emblematico che lungo il
loro sviluppo gli interassi delle torri scadano da una media di km
4 a meno di m 500. L’equivalenza geomorfologica, però, ad un
più attento approccio non trova identiche analogie nelle
connotazioni insediative, ostentando al riguardo diversificazioni
tali, peraltro nel passato ancora più stridenti, da rendere i
rispettivi livelli di rischi assolutamente incomparabili. E’
interessante, per coglierne a pieno la conseguenzialità nell’ambito
del torreggiamento, dedurle da precise memorie il cui sfalsamento
cronologico ne accentua le differenze. Ancora agli inizi del
nostro secolo il Gargano suscitava le seguenti impressioni nei
rari turisti che osavano avventurarvisi: "...ieri i miei
compagni di viaggio mi hanno riempito il capo di storie del
brigantaggio sul Gargano; di aggressioni, di ferimenti, di
assassini e di piccole bagatelle, come sarebbe il cannibalismo, ad
esempio; la mobile e fervida fantasia di queste popolazioni ama
certamente il colore, vi sarà molta esagerazione in tutto ciò
che mi hanno raccontato, ma se debbo giudicare dall’aspetto dei
luoghi e degli uomini che incontro, francamente, nulla mi
meraviglia. D’altra parte un uomo che si avventuri in questa
perfetta solitudine, può dirsi si dia in mano alla gente del
paese. Un compiuto sistema stradale non esiste; il paese è corso
in massima parte da vie mulattiere aspre e difficili che vanno fra
rocce e selve e si disperdono in tutti i sensi... ciò che è certo
si è molto hanno ancora di primitivo; e come
potrebbe essere
differentemente se
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molte famiglie vivono quassù allo stato selvaggio, entro caverne?
Inoltre nelle regioni più deserte del centro del promontorio, vi
sono pastori che non vedono faccia d’uomo per mesi e
mesi...". Per completare la determinazione del rischio
corsaro potenziale occorre aggiungere che il Gargano, ritrovandosi
a nord delle pingui distese di grano del Tavoliere, non veniva
lambito dai mercantili cabotanti verso Napoli.
Pochi anni prima dell’avvio della costruzione delle torri cosi
veniva descritta, invece, la Costa d’Amalfi da Leandro Alberti: "...e
di lunghezza di circa venti miglia, ove si veggono alti,
difficili, aspri Monti, massimamente da quel lato ch’e sopra il
mare... [Vi] sono belle fontane con altri sorgini di chiare acque,
dalle quali escono laghi, dilettevoli ruscelletti, scendendo con
gran murmurio... Sono questi ameni luoghi molto habitati... e
tutta questa costa (come dicemmo) habitata, in guisa tale che pare
a quelli che navigano il mare vicino a questi luoghi,
ragguardandola, una continua città di lungo tratto più tosto,
che separate habitationi…". Evidentissima dalle
antitetiche descrizioni l’accennata diversa criticità delle due
penisole. Come se non bastasse a rendere ulteriormente a rischio
quella amalfitana contribuiva la vivacità del traffico navale
antistante. Non diversamente da quanto attualmente avviene in
prossimità delle barriere autostradali, la vicinanza del porto di
Napoli moltiplicava i vettori lungo le sue acque, nelle apposite
direzioni. Pertanto se in entrambe le penisole la continuità
ottica, incessantemente cesurata dalla tormentata morfologia
geologica, impose una identica fitta scansione di torri, non
altrettanto avvenne per le loro connotazioni funzionali. L’assenza
di obiettivi a terra unitamente alla inconsistenza del cabotaggio,
permise lungo il contorno della prima uno schieramento
eminentemente semaforico con modeste potenzialità offensive,
mentre costrinse lungo quello della seconda ad una ridondante
maggiorazione del dispositivo adottando tutte le varianti
tipologiche delle torri, alcune peraltro esclusive, per meglio
esaltarne il ruolo interdittivo.
La singolare, ed unica,
circostanza consente ancora oggi visionando questa sorta di
esaustivo campione di appena una quarantina di chilometri, di
ricavare una dettagliata interpretazione degli oltre 2.000 dell’intero
sistema, in ogni sua articolazione architettonica- operativa, in
uno scenario di
incomparabile suggestione. La
ricognizione permette un ulteriore approfondimento in materia,
rintracciandosi lungo il suo dipanarsi alcune superstiti torri
delle precedenti realizzazioni anticorsare risalenti al medioevo,
per lo più integrate nella linea vicereale quali raccordi
semaforici, previe marginali modifiche, esemplificazione a loro
volta dell’accennata cooptazione ed estreme testimonianze della
ultrasecolare preesistenza della tragedia. Il che giustificherà
delle brevi digressioni circa le varianti tipologiche.
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