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Id. 1094
IL DIAVOLO E L'ACQUA SANTA
Signori,
la discussione sulle donne vesuviane è una delle più belle del forum. Il Dott.
Langella la imbrocca sempre. Convivono, però, in questa discussione il diavolo
e l'Acqua Santa.
I miei messaggi sulla donna sono il diavolo.
e quelli di Aniello Langella sono l'Acqua Santa. Ma questo non toglie che siamo
entrambi cristiani praticanti.
Basta leggerli. I miei messaggi affondano nevroticamente nelle problematiche
socio-esistenziali del genere femminile che attingono dalle origini della
cultura millenaria; e quelle di Aniello spaziano tra le Maria Goretti, le
Bernadette, e le donnine ingenue che non sanno manovrare il cambio dell'auto,
nel modo più candido e amorevole che si possa vedere la donna, con una
predisposizione alla comprensione e al perdono da fare invidia al maggiore
gentlemen.
La realtà è che siamo entrambi credenti, solo che l'ottica di Aniello sono i
Vangeli sinottici, con l'idea cerulea e virginia di Maria e delle Pie donne; la
mia visione attinge più lontano, a quella della donna del vecchio Testamento,
con tutte le antiche, annose problematiche.
Donne bellissime e donne seduttrici, quelle del vecchio testamento, regine o
schiave, peccatrici o fattucchiere, angeli o demoni, fanciulle o vecchie, ebree
o barbare, figlie o spose, vergini o madri.
Dalla questione donna alla donna come enigma: questa è la traversata dal
Vecchio al Nuovo Testamento nei ritratti, nelle storie, nelle parabole in cui
protagoniste sono le donne. Tutto il maschilismo universale fa perno sulla prima
donna Eva. Il Vecchio Testamento e un disastro per l’immagine femminile.
Dio, la chiamò ishsha = donna. Poi Adamo fece partecipe la donna del
comandamento di Dio di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del
bene e del male. Il resto lo sappiamo.
Ma c’è un’altra donna che viene annunciata qui. Dice Dio rivolto al
serpente: "Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la stirpe tua e la
stirpe di lei; essa ti schiaccerà il capo e tu insidierai il suo
calcagno".
I messaggi di Aniello Langella partono dall’Avvento di Maria annunciata dal
Grande Vecchio molti secoli prima dell'era cristiana, ritenendo, forse,
"anacronistici" e superflui le considerazioni a monte. In non commento
il tuo giudizio di Langella. Che viva lungamente con l'immagine della donna
muliebre e poetizzata nell'eterno femminino.
Quando parlo di letteratura agiografica torrese mi riferisco a quella con tanto
di "Imprimatur", e nulla da eccepire. Ma pur essendo cattolico
praticante ho ugualmente diritto a fare delle considerazioni per così dire
laiche della complessa figura della donna nei secoli. Un’altra stirpe, non
genealogica, dicevo, reintegrerà l’enigma con il mito di Maria, vergine,
madre, senza macchia e senza peccato: Maria restituirà il Paradiso senza più
la tentazione della sostanza. Eva diventa solo storia del passato.
La donna torrese cattolicissima per motivi storici locali, emula, nel DNA,
"in cantina" il concetto vergineo del sesso, ma divenuto conflittuale
con la liberalizzazione sessuale del XX secolo. MA NON NELLUOMO. Non
penalizzato, l’uomo, nel Vecchio testamento, ma vittimizzato nella figura di
Adamo che rivendicherà se stesso nei secoli a venire, con la priorità della
forza fisica e con la supremazia all'ingresso delle cariche pubbliche, sociali
ecc. sconfiggendo tutti i ntentativi di matriarcato fino all’ultimo, quello
torrese in sordina che primeggia sull’educazione filiale.
Donna e peccato ci hanno accompagnato fino alla memoria d'uomo. Non è lontano
il tempo in cui, anche sotto il Vesuvio, era peccaminoso istruire le ragazze al
ciclo. Qualche centenaria ancora recitava un Pater Noster davanti ad una sedia
dove era stata seduta una ragazza con le regole. Tutti gli oggetti che avevano a
che fare con la fisiologia femminile relativa non già al sesso ma alla
procreazione era contaminato perché disse Lo scienziato americano Mulsen: “L’amore
ha posto la sua magione a porta a porta con la defecazione” ma dimenticò che
quella magione dà la continuità al genere umano. Non è medioevo, ma periodi a
cavallo del secolo scorso. Certo siamo lontani dall'infibulazione ed altre
pratiche che addirittura annientano la donna.
Concetto di Mari: Eva su condanna di Dio ha bisogno di procreare la sostanza e
di assumere la morte come pena e come riscatto alla sua disubbidienza.
Concetto di Aniello: Maria SS. incomincia con l’Annunciazione, interrompe la
genealogia e compie la sua missione con l’assunzione in cielo.
Tra Eva e Maria, nella Bibbia, la questione e l’enigma donna vengono esposti
con altre storie, con altre figure che si susseguono a partire dalla logica dell’ebraismo
fino al loro compimento con il cattolicesimo, con Maria e con le donne di
Gerusalemme, testimoni della resurrezione.
Come vedi, Aniello è difficile scindere la donna Santa dalla donna demonio
sotto l’aspetto degli archetipi fino ad un immaginario collettivo perpetuato
ancora oggi. Caratterialità endemiche affondano pure da lontane radici quando
c'è il rifiuto del progresso e l'ignoranza dell'uomo. Sì perché è l'uomo con
il suo bisogno egemonico che tiene la donna sottomessa che condiziona sotto
sotto la sua personalità collettiva di genere ed il suo modus vivendi di logica
comune.
Luomo vesuviano (senza generalizzare) baffuto e grinzoso con le mascelle in
fibrillazione, per darsi aria di macio, con l’occhio eternamente inchiodato
sui decollete, quando non ha più potuto con le proprie donne, evolute e
rivendicate dal femminismo, ripiega con le donne dell'est europeo, le quali si
assoggettano al maschilismo di vecchio stampo. I casi di ragazza-anziano stanno
lasciano il posto a coppie coetanee. Non è il primo trentenne che lascia moglie
e figli per la "straniera" bionda e disponibile, (vedi statistiche
comunali),
in certi casi un’alternativa al paradiso letale delle sniffate. Alcuni uomini
vesuviani accettano straniere dell'est con abitudini aborigene che prevedono
delle sottomissioni tra cui il lavaggio dei piedi. (In privato posso essere più
dettagliato). Dimmi Tu se questo non è condizionamento dell'uomo sulla donna.
Quello tra l'uomo e la donna, nell'aria vesuviana (sempre senza generalizzare)
è inconsciamente una lunga secolare guerra fredda combattuta con la maternità
dall'una e con la presunta virilità dall'altro. Non ci offre altro la natura,
al di la del danaro, ma quest’ultimo favorisce solo lotte surrogate,
marginali.
Nell’Antico Testamento, tra le leggi ebraiche c’è quella del levirato: è
una legge non scritta che impone, quando un uomo muore, al fratello dell’uomo
di sposare la vedova, perché venga conservato il suo nome attraverso la
discendenza del fratello. È un mito curioso cui la Bibbia dedica più figure,
ma senza mai accostarle al male, all’incesto, al peccato.
Tu mi insegni, “dottore cattolico”, che tra le donne spiccano i personaggi
di Ruth, la straniera, moglie del figlio di Noemi, che muore. Ruth, segue Noemi
e Noemi trova un espediente affinché Ruth sposi Booz, il parente più prossimo.
C’è poi Tamar, che giace con il suocero, e Sara, figlia di Raguel di
Ecbàtana, che perde, uno dopo l’altro, sette mariti uccisi da Asmodeo, l’angelo
devastatore. Nessuno di questi mariti avrebbe potuto, secondo il levirato,
sposare Sara. Sara sarà liberata da Asmodeo, quando sposerà Tobia: secondo la
legge, colui che doveva sposarla. Un po’ differente la storia delle figlie di
Lot.
Fare una lettura originaria e cattolica della Bibbia è estremamente difficile,
qua e là si ritrovano metafore, metonimie e catacresi che richiedono la
disposizione e l’umiltà dell’ascolto. Così intervengono altre figure di
donne: Betsabea con Davide, Dalila e Sansone, la regina di Saba e Salomone,
Giuditta e Oloferne, Erodiade e Salomè, Ester tra Assuero e Aman.
In nome del popolo ebraico, Giuditta taglia la testa a Oloferne mentre Ester
salva la sua stirpe dall’annientamento. Salomè chiede la testa di Giovanni e
Dalila pretende di scoprire il segreto di Sansone.
Nel Vecchio Testamento, Dio sembra permettere massacri, perversioni,
deragliamenti e sembra usare le donne per questo.
Ma è con il Nuovo Testamento che s’instaura il tempo con la sua la violenza,
lo squarcio, la Pentecoste.
Con il mito di Maria non c’è più incesto, non c’è più peccato, non c’è
più male e la madre non è più la morte e non deve preservare dalla morte.
E' questa l'ottica, caro Gastone fortuunato, con cui ti vedi la donna vesuviana.
Purificato e felice che sei Dottor Langella. Ti invidio per questo, perché hai
capito che i nodi della storia conviene ignorarli. Affrontarli per capirli è
utopia e sofferenza. “Chi capisce patisce”.
Povera, tapina e negletta donna vesuviana vista qui come non mai nelle midolla
delle sue origini della creazione.
Cosicché l’uomo meridionale scaltro, vigile e attento scinde il concetto
donna in madre e sorella nell’accezione del deistico-verginale dei Vangeli
Sinottici (cito i sinottici perché più attendibili) e le altre donne, quelle
“desiderabili” inevitabilmente smarrite nell’archetipo della donna biblica
figlia di Eva. |
Ma la donna che è costretta a vivere in quelle aree geografiche dove i
pregiudizi che affondano non già nel medioevo ma in lontani millenarismi dell’origine,
vivono nella incertezza e nel dubbio di una identità sempre incerta. Ipotesi
suffragata da una famosa frase di Freud presente negli annali: “Sono trent’anni
che studio l’animo femminile e devo ammettere di non averci capito
nulla!".
Possiamo, caro Aniello, io e te, io diavolo e Tu Acqua Santa sbrogliare la
matassa in questa discussione sulle donne vesuviane, premettendo che oggi si
sono aggiunte problematiche epocali provenienti da vessazioni dei mass-media con
modelli sociali subdoli che vanno dalla dissoluzione del matrimonio dei big,
alla tossicodipendenza, all'anoressia devastante come una moderna peste?
Tuo umile Luigi Mari
Id. 1428
CARLO BOCCIA
Carlo,
cosa sarebbe Torreomnia senza di Te? Un albero spoglio del vesuviano autunno
inoltrato.
E i mestieri antichi, e le icone votive, e la storia delle strade, e i
personaggi, e le foto di scuola, arrivate a 20, tra elementari e superiori,
grazie a te.
Cos'altro hai in serbo tra una biella e un cuscinetto a sfere? Tu che abbracci
un motore ancora sbuffante e lo poggi sugli scranni con la sola forza della
volontà. Perché il tuo pensiero s’invola, dedaleggiando lungo i feraci
pascoli corallini delle tre raccolte l’anno. Non è un motore che hai
afferrato, ma il Vesuvio della tua terra, ancora fumante. Le tue nari
s'inebriano dei vapori ignei che diventano innocui e salutari per rispetto del
tuo cuore intorno al quale vanno ad adagiarsi come un demonio che diventa angelo
per amore.
Sei impagabile, instancabile. E poi, l'amore vero alligna sempre nelle persone
semplici. Come Ciro Adrian che talvolta prende il suo "Prof." e ci
gioca a palla, e poi se lo inforca sugli occhi come una protesi ottica per
l'assimilazione convenzionale delle norme didattiche, per il sociale degli
educandi, lasciando inalterati i precordi facendosi beffa, con la maturità,
delle seriosità e dei dottorati, facendo del proprio senile un ricettacolo di
saggezza e di ravvedimento. Per questo voglio bene Ciro, per la ritrattazione
delle vecchie croste endemiche per l’aderenza agli sbocchi, all’apertura
mentale. Non è difficile penetrare così a fondo nell’animo umano quando
questi è provato dagli eventi e dall’inesorabile andamento del tempo che ti
conduce per mano alla saggezza o alla dissoluzione del comportamentale, senza
vie di mezzo.
Il mio amore, invece, è corrotto, è complice del pensiero, giace sotto il
giogo asettico delle dottrine; il tuo, Carlo, è complice del cuore, la sua
dimora autentica. Non ne conosci altri.
Vedi, Carlo, (nome che deriva dal germanico “karla” che significa "uomo
di condizione libera"), vedi quali sono i discorsi di Libertà? Il
nichilismo personale diventa una salvaguardia sociale. Immolarsi per la
libertà! Senza i firework, le lame affilate e i denti aguzzi dei culturalismo,
figlio depravato della cultura.
Per questo feci l'apologia alle tue mani di lavoratore "prima
maniera". Per questo il mio progresso etico pende dal tuo labiale, dal Tuo
mondo acculturato quanto basta, fuori dalla storia e dagli "ismi",
alieno di esistenzialismi togati.
Vedi come è lineare il tuo appello? Tanto è adottrinato e retorico, tanto più
è sincero e sentito. La semplicità delle tue parole svergognano le mie
"prediche" da barbassoro, mi strappano dal pulpito dei nodi culturali
e mi lanciano nella geenna del superfluo. Il valore di Torreomnia sta nella tua
capacità di vivere il sociale nell'essenza e non nella forma quasi sempre
corrotta da sindrome di varia natura. Senza Te, come alter ego, come
servo-coscienza, io non sarei nulla, sarei un prodotto librario, un ciarlatano
delle idee, uno che ostenta di sapere sempre una pagina più del libro. Tu mi
redimi e mi assolvi, amico mio, per questo benedico quelle due-tre ore dei
nostri sabato pomeriggio, che mi purificano dal veleno delle incomprensioni solo
e nient’altro che per ostinazione.
Luigi Mari
Id. 2353
LETTERATURA VESUVIANA
Buona notte.
Ribadisco! La letteratura vesuviana intesa come narrativa langue, anche perché
il veicolo della scrittura basisce sempre di più per fare posto al multimediale
e all'interattività.
Nel mio libro "Da Magonza a Torre del Greco" cartaceo autoprodotto e
distribuito gratuitamente nel 1998; scaricabile oggi in rete, in Torreomnia, si
trova questo testo.
"Sono ormai lontani i tempi della priorità teofilosofica culturale che
caratterizzava il periodo della nascita delle Università in tutta Europa. La
cultura napoletana in seno all’Università di Napoli vede, alla fine del
secolo scorso, sotto il Ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis,
personaggi come Settembrini, De Blasiis, Spaventa, ecc. Ma, a far ruotare a
tutto spiano le piano- cilindriche tipografiche vesuviane furono personaggi come
lo scrittore popolare Francesco Mastriani, con i suoi 115 romanzi, Vittorio
Imbriani, che si distinsero nel periodo letterario della fine del secolo scorso.
Più in luce la giornalista scrittrice Matilde Serao, coi suoi famosi Ventre di
Napoli e Paese di Cuccagna. Redattrice a Roma del Capitan Fracassa, seguì, poi
le orme del marito Edoardo Scarfoglio col suo Corriere di Napoli e Corriere di
Roma. Autrice dei noti Mosconi sul Mattino di Napoli, fondò infine Il Giorno.
Il tarantino Scarfoglio fondò Il Mattino e scrisse saggi e varie prose.
Tartarin influì positivamente il suo allievo Roberto Bracco, valido critico e
giornalista, sprovvisto persino di licenza elementare. Esempio emblematico di
autodidatta, fu deputato e persino candidato al Premio Nobel.
Soprassedendo su Croce e Flora, Pasquale Villari, alla fine del secolo scorso
compose diverse opere di critica e di storia, altrettanto Ruggiero Bonghi che
fondò, tra l’altro, La Stampa di Torino. Studi di Storia Letteraria
Napoletana e Manuale della Letteratura Napoletana, furono, invece, valide opere
di Francesco Torraca".
Nel Libro Magonza qui vengono citati i narratori, i poeti, i parolieri vesuvuani:
"Una specie di lazzarone letterato fu invece Ferdinando Russo, poeta
dialettale di vivace realismo, come pure, anche se in maniera più pacata,
Raffaele Viviani col suo teatro. Quindi Rocco Galdieri, che espresse nelle sue
opere quel suo triste umorismo nel Monsignor Perrelli, pubblicato a cavallo fra
i due secoli. Ernesto Murolo, invece, scrisse molte poesie in vernacolo, diverse
delle quali furono musicate. Ancora Libero Bovio ed il crepuscolare Eduardo
Nicolardi, nonchè il famoso poeta Giovanni Gaeta, altrimenti detto E. A. Mario,
che scrisse La Leggenda del Piave e la canzone Balocchi e Profumi. Dopo la Serao
ritornarono a Napoli i tentativi ben riusciti di narrativa. Negli anni trenta
Carlo Bernari pubblica I tre operai. Di Bernari sono Guerra e pace, Vesuvio e
pane, fino al Foro nel parabrezza degli anni 70".
"Nel periodo tra le due guerre si distingue Anna Maria Ortese con Città
involontaria, i racconti Angelici dolori, fino a Il mare non bagna Napoli, degli
anni 50. Intorno al secondo conflitto mondiale il narratore napoletano di spicco
è Giuseppe Marotta col suo famoso L’oro di Napoli, quindi Gli alunni del
sole, San Gennaro non dice mai no, ecc. Dopo la guerra esordisce Domenico Rea di
Nocera Inferiore, con Spaccanapoli, Una vampata di rossore, ecc. Quindi Michele
Prisco, di Torre Annunziata, coi famosi racconti dell’esordio La provincia
addormentata, poi Figli difficili, ecc".
"Altro romanziere del secondo dopoguerra sarà Luigi Compagnone che esordì
con La Festa, poi La vita nuova di Pinocchio, L’onorata morte, ecc. Infine
Mario Pomilio con Il testimone e Il cimitero cinese, L’uccello nella cupola,
ecc. Vi sono molti altri intellettuali napoletani di rilievo nel campo della
filosofia, della critica, del giornalismo, della filologia che, secondo me,
vanno citati in trattazioni specifiche più ampie, di natura critica,
antologica, storiografica, per cui discrepanze od omissioni spero saranno qui
tollerate.
Un ultimo autore contemporaneo, però, degno di menzione, è il poliedrico
Luciano De Crescenzo, filosofo, umorista e scrittore di cristallina fattura, che
insieme a tutti gli altri intellettuali napoletani, citati o meno, ha
contribuito allo sviluppo dell’editoria non solo napoletana".
E in Magonza qui finisco la rassegna di autori.
Vive ancora De Crescenzo, Prisco e qualche altro e che il Signore dia loro lunga
vita.
Ma le nuove leve quali sono?
Benvenga la citazione di "Quel giorno sul vesuvio"di Simonetta
Santamaria, dell'iscritto torrese Antonio Pavesi. Anche se si tratta sicuramente
di un genere non tradizionale, giocoforza, perché bisogna andare a braccetto
con i tempi. Ne acquisterò una copia.
Luigi Mari
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