Storia
del Carnevale
di Antonella Tarotto
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Nell’ottocento anche i ricchi uscivano dai loro saloni dorati e si confondevano con il popolino in festa, sentivano il bisogno di lasciare le mogli a casa, dimenticandosi il comportamento di un anno intero. Sembrava impossibile che persone tanto serie avessero potuto partecipare a quella grande baldoria ed avere il coraggio di travestirsi in quel modo. Le città stesse si mascheravano: erano pronte ad una battaglia di fiori, coriandoli e confetti.
Oggi giorno non si hanno più le orge sfrenate del paganesimo, ma con la festa di S. Antonio Abate, patrono del fuoco e degli animali, si inizia il Carnevale; festa del travestimento.
In questo periodo nasce il piacere di nascondere il viso con una maschera, oppure col semplice trucco, per trascorrere giorni di puro divertimento e di sana allegria.
L’uomo per poter essere se stesso, per dar sfogo ai suoi istinti più nascosti e per poter essere felice senza limiti, abbandona quella vera maschera che indossa tutti i giorni e per ironia ne indossa una finta che gli permette di essere ciò che realmente è.
A Carnevale finito e Quaresima entrata, con le Ceneri la chiesa ci ricorda che tutti saremo ridotti in polvere. I carri ritornano dove erano stati allestiti, mentre le maschere riprenderanno il loro posto in soffitta, nel baule dei costumi delle feste, e tutti noi, a
malincuore, rientreremo nelle nostre vesti quotidiane, e senza
accorgercene, indosseremo quella maschera formale che ci accompagnerà
fino al prossimo Carnevale.
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A sentire gli accademici della Crusca, la parola Carnevale deriva da Carna-Aval, perché anticamente si mangiava molta carne. Altri, invece, pensano che significhi un “Addio Alla Carne” e cioè Carne-Vale. Qualunque sia il significato etimologico della parola, pare che sia sempre legata al concetto di carne. Le origini della festa sono comunque religiose. I popoli antichi solevano celebrare l’inizio dell’anno con cerimonie che augurassero buoni auspici.
A Roma la festa fu chiamata Strani, forse da Strenia, la dea dei doni; si raccoglievano rami di verbena da offrire agli amici insieme a frutta e focacce indolcite col miele, chiamate gianicali.
In onore di Dioniso, il dio dell’ebbrezza, tutti coloro che amavano esageratamente il vino, di cui il dio si diceva dispensatore (Dionisio in seguito, per gli artisti divenne Bacco, il dio del vino), facevano grandi feste che degene
ravano in orge. Infatti, nel mese di Gamaleone, che potrebbe paragonarsi al nostro periodo
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carnevalesco, tutti godevano di libertà sfrenata.
I “Baccanali” avvenivano per le strade di Roma già con maschere che rappresentavano quelle che poi divennero d’uso comune. Le prime maschere furono in realtà dipinte sul viso con feccia di vino e succo di more, e solo in seguito, come ci fa sapere Virgilio, furono fatte con corteccia di alberi, cuoio e perfino con fine metallo. Le maschere carnevalesche servivano probabilmente per nascondere il viso e potersi dare ad ogni genere di nefandezze senza essere riconosciuti.
Dopo l’avvento del Cristianesimo le feste, col passare dei secoli, persero sempre più il loro carattere profano; ciò nonostante, conservarono quel sapore godereccio, che portava a galla tutto ciò che viene tenuto a freno dalla spiritualità della religione.
Nei secoli seguenti il Carnevale è sempre stata la festa del piacere e del divertimento, ed anche se in alcuni paesi c’era la neve, il sangue bolliva ugualmente, proprio in previsione che presto sarebbe cominciata la vita grama del digiuno quaresimale.
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D
o l c i e d a l l e g r i a
Chiacchiere, Castagnole, Krapfene e Vin Santo
di Mimmo Matrone
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Ogni festività ha il suo rituale culinario. La nostra tradizione c’insegna a gustare lasagne al sugo di pomodoro, ragù, alla bolognese, in bianco con la Besciamella o rosé. In ogni paese si cucinano salcicce di maiale, ariste al forno, frittelle di Carnevale, e a Napoli si prepara il “Sanguinaccio”, il cui nome deriva da un particolare ingrediente, che potrebbe far rabbrividire il lettore. La crema era preparata in passato con latte zucchero, cacao, spezie aromatiche e… sangue di maiale! Da qualche anno, per motivi igienico-sanitari, è stata proibito l’impiego di quel liquido rosso ed è stato sostituito con una ricca e densa crema di cioccolato,
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cacao, vaniglia, cannella, cedro e scorvetta d’arancia. Posso assicurarvi che è talmente buono che merita almeno un assaggio. Le “Chiacchiere”
fanno anch’esse parte della tradizione dolciaria napoletana e c’è chi assicura che si chiamano così perché composte d’ingredienti poveri quali: farina, poco zucchero, scorzetta di limone, margarina, lievito di birra sciolto in un po’ di birra o in un mezzo bicchiere di vino bianco, giusto il tempo di far lievitare l’impasto vengono fuori tanti dolcini leggeri e croccanti.
Per concludere le cosiddette abbuffate, anche se sono inevitabili per la tentazione, non giovano alla salute, ma fanno bene all’umore perché mettono allegria.
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Ummmm...
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