Ho conosciuto una donna di quarant’anni, sofferente di depressione da più di diciassette, che non è mai stata accettata dalla famiglia e con un passato difficile alle spalle. Lei non si è potuta realizzare come insegnante, perché la sua malattia non glielo ha permesso: per diventare insegnante bisogna vincere dei concorsi. Lei non li ha mai vinti! Avrebbe dovuto studiare con un professore ed essendo povera non poteva pagarsi le lezioni private. Si sentiva inutile, o meglio l’hanno fatta sentire inutile schiacciandola, come una cosa da buttare. Era depressa, stava tanto male da non riuscire neanche a mangiare. E’ stata tenuta in vita con flebo per circa quattro anni. Quattro lunghi anni di prigionia fermata a letto, con una vita buia senza colore, una vita tutta in bianco e nero. Durante queste sofferenze ha ricevuto insulti, botte e poi è stata anche accusata che la sua malattia era solo una finzione. Io l’ho conosciuta, non era affatto una finzione era diventata di 42 kg e ha rischiato anche la morte. Gli altri non capivano e continuavano ad incolparla che lei era incapace di tutto, perfino di lavarsi, purtroppo era vero! Una volta al mese sua madre la lavava con modi bruschi. Più la insultavano e più diventava fragile, appunto come una carta velina. L’unica sua occupazione era la lettura. Leggeva tutto quello che trovava nei cassetti, nell’armadio, in casa ed aveva un’amica che le prestava dei libri.
All’improvviso ebbe un giorno il coraggio, di guardarsi allo specchio, vide il volto scavato ed ebbe paura. E ricominciò a mangiare, a mettere in ordine la casa, e pian piano riuscì anche a lavarsi. Rimase ancora prigioniera nella sua tana per molti mesi. Non ricordo bene quale fu il giorno che riuscì ad uscire. Ammirò il cielo azzurro e sentì il tepore del sole sul suo viso, le gambe erano ancora un po’ tremolanti; ma era libera, finalmente libera di vedere i colori della città, i colori della vita e del creato.
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Aveva vinto la sua lunga battaglia pur rimanendo fragile come la carta velina. Ancora oggi lo è, e se qualcuno la insultano, lei si sente lacerata e si “rompe” come un foglio di carta velina. In fondo questa donna sono io.
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Lincubo
di una visione
La forza devastante
di una allucinazione
di Enrica Sorrentino
Tutto accade in una notte di febbraio del 2002, mi ero coricata da poco, quando volgendo lo sguardo verso la porta d’entrata lo vidi per la prima volta e fu subito uno shock, lui mi guardava, era l’ombra ben distinta di un cane ed io non riuscivo a capire se era sogno o realtà e non potevo fare a meno di chiedermi se anche gli altri avevano la capacità di vederlo ma, per non creare scompiglio nella mia famiglia, aspettai che scomparisse e cercai di riaddormentarmi. Credevo che la cosa fosse tutta lì, invece era l’inizio di un incubo. Un paio di giorni dopo l’accaduto fui ricoverata all’ospedale Apicella per una cura più forte in seguito ad un mio aggravamento, fu lì che le visioni ripresero con mio terrore, compresi che non si trattava di un cane buono, ma di un cane nero dai lineamenti sfigurati dalla violenza di un diavolo. Lo vidi la seconda volta di sera accanto al mio letto, era immobile,
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mi fissava con quell’espressione malvagia e da quel momento continuò a presentarsi frequentemente, fino a che mi vidi costretta a parlarne con i medici i quali avvertirono gli infermieri di starmi accanto nell’eventualità che “lui” si presentasse e constatare se anche loro
vedessero. A questo punto ho avuto un’enorme delusione, perché mi sono resa conto che nessun altro poteva vedere quel mostro e che l’incubo era solo mio! Questo ha aggravato il mio stato d’animo, dando vita a molte crisi perché non ero creduta, nessuno poteva vedere e di conseguenza per loro nulla esisteva ma, davanti ai miei occhi “Lui” si presentava sconvolgendomi ogni volta. Dopo due mesi di degenza tornai a casa e quello che per me è il diavolo in persona non si limitò alle solite apparizioni, ma prese ad attaccarmi in un modo più diretto, facendomi addirittura sentire la potenza dei suoi denti affilati in un morso che non ha lasciato segni, ma di cui ho sentito tutto il dolore, addirittura mi parla e le sue parole ogni volta mi fanno star male; mi rimbombano continuamente nella mente! “Sono venuto per distruggerti”.
Ormai mi sento sfinita e demoralizzata da chi non mi crede e, per paura che lui mi distrugga davvero, ho cercato più volte di spegnere la mia vita e mettere fine a quest’incubo per trovare finalmente la mia pace. E, come vedete, sono ancora qua a raccontarvi la mia storia.
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La mia solitudine
Il sentimento che squarcia l’animo
di Maria Pasqua Di Donna

Tenete presente un ghepardo, un leone o una tigre, che potrebbero aggredirvi e divorarvi? La mia solitudine è proprio così.
Questo sentimento compare e voi siete lì e vi sentite talmente soli, che vorreste morire. Ti senti in uno stato di sconforto e di tale abbandono che non te ne accorgi nemmeno, vorresti solo scomparire, non ti viene in mente niente, ti senti inutile e mille dubbi tormentano la tua mente. Un pugno allo stomaco si presenta con tutta la sua violenza e ti strizza le viscere, vorresti urlare, avverti il panico e speri che questo tutto scompaia al più presto. E’ tale la tristezza che ci si sente nel buio più profondo e nulla sembra darti sollievo. Quando finalmente il “male oscuro” ti libera, riaffiora il coraggio di reagire, la vita finalmente si colora, sboccia in te un desiderio di emergere, provi una pace interiore che ti rigenera, ti senti fiduciosa e sei in armonia con gli altri.
Tutto allora è più bello e quel malessere interiore che ti opprimeva l’esistenza scompare come neve al sole, ti accorgi che era solo un brutto capitolo e tutto il mondo ti sorprende all’improvviso con un bel sorriso.
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